1 #Workers - Il capello nel piatto

Quando entro al ristorante i proprietari sono sempre in fibrillazione, prendo le prenotazioni a mio nome, il blogger più conosciuto in città. Ordino lo speciale sul menù, il pesce misterioso, dubito che sia legale nascondere l'identità ittica, è il motivo per cui l'ho scelto: Pesce illegale in ristorante tre stelle, sarà un titolo profittevole e nemmeno tanto clickbait.

Seduto al tavolo, guarda caso mi hanno assegnato quello con vista mare, pregusto già il testo dell'articolo e tutte le congetture che potrei scrivere: che sia carne di serpente, di iguana, di cetaceo, di qualche bestia proibita che non mangerei mai, o peggio, che sia un'alternativa vegana aromatizzata con chissà cosa.

Mi portano il piatto, l'odore è quello marino, al punto da dirsi pungente. Escludo l'ipotesi vegana. Sciacquo la bocca con un sorso dal bicchiere e prendo un boccone. Carne dal colore chiaro, succulenta, delicata, mi si scioglie sulla lingua. Ricorda un canto inebriante, ipnotico, ma invece di ascoltarlo coi timpani lo seguo con le papille gustative e la melodia prosegue nel mio stomaco.

Realizzo di essere arrivato già a metà del piatto quando qualcosa mi pizzica l'ugola. Do un colpo di tosse, mi infilo le dita tra i denti e stretto tra pollice e indice tiro fuori un lungo capello, lo sento tornare su per l'esofago mentre striscia nella mia gola.

Sul punto di rimettere sul piatto, mi accorgo che si tratta di un capello di colore viola. Chiuderei un occhio su qualche spina, su un chicco di sale in più, addirittura su un granello di sabbia sfuggito al lavaggio, ma su un capello no.

«Cameriere?» La bozza dell'articolo nella mia testa è appena diventata una confusione totale. «Cameriere!»

«Sì?»

«Mi mandi il proprietario.»

L'uomo in camicia e grembiule si allontana spedito, forse ha visto cosa tengo tra le dita e lo metto bene in mostra anche quando arriva il proprietario che inizia subito a balbettare:

«Ha trovato nel piatto un...»

«Ho trovato un capello», lo aiuto io a dirlo e nemmeno tanto a bassa voce, «nel vostro pesce misterioso. Ora voglio sapere chi del vostro staff porta i capelli lunghi e tinti di viola.»

«Viola?»

«Non faccia tanto il sorpreso, cominciamo con la solita solfa: "ce l'hai messo tu, ce l'ho messo io, chi ce l'ha messo?" Arriviamo subito al punto.»

«Sono mortificato.»

Mortificato traducibile in un sostanzioso sconto, ma questa volta la gentilezza non mi sta addosso. Il pesce misterioso era delizioso, troppo delizioso, quel capello mi ha risvegliato da un sogno. Ero arrivato dubbioso, mi sono ricreduto, poi ho ripreso a dubitare, con quel capello. Insomma non so più cosa accidenti scriverò. Devo andare più a fondo.

«Mi porti in cucina.»

«Le chiamo lo chef?»

«Mi porti in cucina, scusi se non mi fido sulla parola ma desidero verificare che non ci sia nessuno coi capelli viola.»

Il proprietario si asciuga la fronte con la punta delle dita, io gli sventolo il capello davanti. Un minuto dopo mi trovo in cucina, con una schiera di cuochi, aiuto-cuochi, chef e controchef in riga davanti a me. Forse dovrei provare imbarazzo invece mi sento potente. Tra loro però nessuno porta i capelli viola, tanto meno lunghi, tutti raccolti in crocchie e code nascoste sotto cappelli e cuffie. Non faccio caso al loro viso, sento il loro respiro costretto, i loro piedi fremere sul posto, mi interessa guardare oltre le loro spalle. Sui banchi della cucina conto il riflesso lucido dei coltelli, il colore delle verdure lasciate a metà sul tagliere, due bollitori che fumano sui fornelli e poi una padella, poggiata nel lavabo col manico che spunta fuori. Lo chef intercetta il mio sguardo:

«In quella padella ho preparato il vostro pesce.»

«Non c'è bisogno di spiegarlo, posso vederla?»

«Non ci sono capelli.»

«Suppongo l'avrebbe detto anche riguardo il mio piatto.»

Osservo lo chef raccogliere la padella e ispezionarla a capo chino mentre mi raggiunge. Me la porge.

«Non c'è nulla, se non il profumo.»

«Di shampoo?» Lui abbassa di nuovo lo sguardo, per vergogna o forse per digrignare i denti, non mi interessa. Mi interessa molto di più quello che gli sento dire dopo.

«Se vuole le faccio sapere dove vado a prendere il mio pesce misterioso, questo potrebbe dare credito alla genuinità di ciò che...»

«Di sicuro sarei soddisfatto», subodoro l'opportunità. «Ormai l'ha detto, dove prende il pesce misterioso?»

«Al mercato del pesce.»

«Tutto qui?»

Lo chef si mastica la lingua un paio di volte prima di aggiungere: «C'è un pescivendolo che non partecipa alle aste del pesce comuni. Presentati a lui facendo il mio nome.»

Me ne vado stizzito, ma uscito sorrido e dal ristorante mi dirigo al mercato. Di trovare un colpevole non me ne importa nulla, cosa me ne farei? Ho una pista sul pesce misterioso, dev'essere così che si sente un blogger d'inchiesta, quello che avrei voluto sempre essere se solo il cibo non tirasse più lettori.

Al mercato del pesce cerco qualcuno coi capelli viola prima di chiedere qualcosa, nulla. Nessuno di quei banchi mi ispira qualcosa di misterioso, nessuno ha voglia di parlare finché, al banco scarno di un pescivendolo defilato, faccio il nome dello chef e il proprietario mi risponde di conoscerlo.

Gli spiego la situazione, «lo chef in questione ha un grave debito d'onore con me e mi ha promesso di svelarmi da dove venga il pesce misterioso che è sul suo menù.»

Il pescivendolo mi ignora, ghigna mentre dice: «Il blogger è un mestiere?»

Non lo degno di risposta, dimostra l'ignoranza di un'acciuga davanti a uno squalo, ma lui insiste: «Anche la mia nipotina fa la stessa cosa.»

«Senta, se non la smette le mando l'igiene», ride ancora, «se non la smette affondo lo chef che compra da lei.» Nemmeno questo lo spaventa finché non gli mostro il capello: «Ho trovato questo nella mia pietanza, vedi bene che non si tratta di un debito qualsiasi, in particolare con me.» Il pescivendolo impallidisce, non credo che i blogger gli facciano impressione, credo sia per il capello.

Mi manda a un peschereccio ormeggiato da qualche parte tra i moli, non ne conosce il nome ma di una cosa è certo: "l'unico che ha l'acqua anche a bordo". Mi pare assurdo ma non ho voglia di ribattere. Mi restituisce il capello solo quando glielo strappo di mano.

Il porto si trova qualche minuto più in là. Arrivato di fronte alla foresta di alberi e bighe da pesca che riempie il bacino d'ormeggio, seguo il primo molo che parte dalla banchina. Lo percorro finché la salsedine e l'odore di pesce non mi attrae verso un peschereccio senza reti ma con una manciata di uomini a bordo, sulla fiancata leggo Partenope, per qualche motivo mi attrae.

Mi presento all'estremità della passerella che porta a bordo, chino la testa, sotto gli occhi di quegli uomini mi manca la voce, ma nessuno di loro mi ferma quando azzardo un passo e raggiungo il ponte.

Allungo il piede a bordo e la scarpa affonda nell'acqua. Fresca, noto ai loro piedi dei grossi stivali, l'acqua riempie tutto il ponte. Ora sono certo di aver trovato il peschereccio giusto.

«Salve, cercavo il capitano.»

Uno di quelli fa un cenno della testa verso prua, dietro la porta aperta della cabina di comando, intravedo l'ombra di una persona. Mi avvicino e proteggo gli occhi dai raggi solari per non inciampare nel gradino del portello, entro e batto le palpebre.

L'ombra si dipana eppure mi sembra di non vedere con lucidità: seduta sullo sgabello da timoniere una donna, o meglio, e non riesco a crederci, metà pesce, dalla pinna caudale ai fianchi e metà donna, dall'ombelico ai capelli color viola. Indossa una maglietta lercia di salsedine e sangue, la bocca impegnata a succhiare una lisca e in mano un coltello da pesca col quale leva le scaglie a un trancio di pesce senza testa.

Mi mancano le parole, le mostro il capello viola, ormai so a chi appartiene, e le dico: «Mi sono trovato questo nel piatto.»

Lei raccoglie una bottiglietta di plastica e me la lancia in faccia. «E io sai quanta plastica trovo nel mio? Ti ci fossi strozzato. Vaffan...»

Scendo da quel peschereccio prima di sentirla gridare, trovo il coraggio di voltarmi solo posate le mie suole bagnate sulla pietra della banchina, lontano dal molo.

Dovrei fare più caso alla realtà che c'è attorno al mio piatto. Ho sempre pensato che un singolo capello possa fare la differenza nel destino di un lavoratore di cucina, ma forse do troppa importanza al mio piatto e troppo poca a chi l'ha preparato.


*(Per vedere tutti gli sketch del MerMay2022 di Opihan segui il link Instagram nei commenti o nel profilo dell'autore. Grazie del supporto!)*

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