Meriti di essere felice.
30 Marzo.
Simone è ancora steso a letto e non ha alcuna intenzione di alzarsi.
Il rumore delle notifiche di messaggi che si susseguono gli ricorda quasi violentemente una data che lui non vuole ricordare: oggi è il suo compleanno.
La gente ama festeggiare gli anni.
Ama sentirsi al centro dell'attenzione, ricevere gli auguri, fare foto, scartare regali.
Ma per Simone quella non è mai stata la normalità.
Anzi.
Quando era piccolo, i suoi compleanni erano motivo di litigio tra i suoi genitori.
Non ne capiva mai il motivo ma la cosa si ripeteva ogni anno.
Ogni anno, per il suo compleanno, suo padre spariva.
E il fatto che spariva veniva seguito puntualmente da urla al telefono da parte della sua mamma che gli intimava di tornare e da visite inaspettate dai nonni che finivano col tradursi in mini riunioni familiari dalle quali lui veniva escluso.
Dopo avergli fatto gli auguri e dato qualche bacio fin troppo appiccicoso, i grandi si chiudevano in salotto a parlare e lui restava nella sua cameretta a giocare e ad origliare i discorsi.
Non capiva granché dei discorsi fatti ma spesso finiva col piangere perché quelle urla si facevano forti e a lui facevano paura.
Con il passare degli anni, Simone si era semplicemente rassegnato al fatto che quel 30 Marzo avrebbe fatto meglio a scomparire dal calendario.
E alla luce di quanto successo durante il suo sedicesimo compleanno e nei giorni a seguire, ne era ancora più convinto.
Non poteva biasimare la madre, che non riusciva ad esser felice.
Non poteva più biasimare il padre, per non aver mai festeggiato quello che in teoria avrebbe dovuto essere il suo giorno.
Perché semplicemente, non lo era.
Quello non era il suo giorno, quello era il giorno di Simone, sì, e di Jacopo.
È ancora lì, steso a letto e non può fare a meno di pensare a quanto possa esser stata dura per i suoi genitori vedere crescere un figlio che costantemente gli ricorda che l'altro, uguale a lui, non ce l'ha fatta.
Uno che compie gli anni: quattro, cinque, sei, sette, otto......diciassette.
E l'altro no.
Sta per essere inghiottito da quel vortice di pensieri, quando il cellulare squilla.
Per l'ennesima volta.
Questa volta però, la suoneria non si ferma.
Deve essere sua madre che lo chiama, per fargli gli auguri.
Allunga un braccio sul comodino per prendere il cellulare, lo fa senza nemmeno guardare, tant'è che urta la lampada che barcolla un po' ma non cade.
Non guarda nemmeno il nome sul display, risponde.
«ciao mamma.»
«Mamma!? Va bene che sò più grande di te ma non è che mò sembro tu madre.»
«Manuel?»
«Eh! Buongiorno principessa! L'età te da alla testa vedo»
Simone sbuffa una risata.
«Pensavo fossi mia madre, lei mi chiama sempre la mattina»
«Si si»
«Guarda che sto passando da te. Fatte trovare pronto. Te prendo e t'accompagno a scola, del resto noi mamme famo così»
Simone riesce a distinguere il rumore della moto di Manuel che viene trascinata fuori dal box, seguito dal rumore delle clip del casco che vengono chiuse.
«L'ho letto su MAMMA OGGI, anzi sai che te dico? oggi me fermo pure a parlà con le amiche fuori su che merenda è più sana pe' er pupetto mio» continua Manuel, canzonandolo.
Parla così veloce che sembra essere un fiume in piena, con uno strano ed eccessivo entusiasmo, per essere solo le 7 del mattino.
«Hai finito di fare il cretino,Manuel?»
«Si»
«Però tu vedi de alzarte, che tra dieci minuti sono sotto casa tua...e non fa colazione!»
Ed è davvero così. Dieci minuti dopo Manuel è sotto casa di Simone.
È passato al bar a prendere una piccola tortina che ha ordinato la sera prima, sulla quale ha fatto scrivere una piccola S e due cappuccini caldi.
Non sa nemmeno grazie a quale legge della fisica sia riuscito ad arrivare a casa Balestra senza aver riportato un'ustione a causa dei cappuccini caldi che ad ogni buca sembravano essere sul punto di rovesciarsi sopra le sue gambe.
E soprattutto non sa in che condizioni sia la torta dopo esser stata chiusa nel bauletto della moto.
Sfoggia comunque il suo sorriso migliore, si spruzza un po' di profumo e sta per scendere dalla moto quando «Manuel!»
La voce di Dante lo fa scattare sull'attenti.
«Professore, che sorpresa»
«Beh. Io vivo qui.»
«G-giusto. No è che io- io- cè. Io sono qui per Simone.»
«Lo trovi lì»
Manuel sembra pietrificato dall'imbarazzo, sotto lo sguardo stranito di Dante che sventola una mano davanti ai suoi occhi per riportarlo alla realtà
«Manuel, ti devi girare»
Solo allora sembra destarsi dall'incantesimo e girarsi appena per scorgere la figura di Simone, ancora in pigiama, che si sbraccia per farsi notare.
«Gli avevo detto di farsi trovare pronto» mormora, come a maledirlo
«Non l'ha fatto - Io vado ora. Senti, non è che mi presti la moto?»
«S-si» gli risponde, un po' confuso.
Guarda il professore salire sulla sua moto e quasi lo fa cadere quando di colpo gli intima di fermarsi.
Stava per dimenticare la torta.
«Fermo! Un attimo!»
Recupera dal bauletto il piccolo pacchettino ritirato al bar, nota subito che il fiocco si è un po' rovinato e spera le condizioni della torta siano migliori.
«Sei molto carino nei suoi confronti, io però mò- fossi in te- mi avvicinerei» lo prende in giro Dante, facendogli l'occhiolino e spingendolo piano in direzione di Simone.
«vado!»
Manuel si avvicina a piccoli passi, un po' quasi barcolla.
Non è abituato a dimostrare affetto e questa cosa quasi lo spaventa un po'.
E se per telefono riesce a mantenere un tono spavaldo, di presenza le cose sono ben diverse.
«Ti ho portato un dolcino.»
Non riesce nemmeno a guardare Simone negli occhi, per quanto è intimorito.
Allunga il pacchetto verso l'altro che lo prende con aria altrettanto imbarazzata.
«Ma grazie, non dovevi disturbarti»
«E ho portato anche i cappuccini»
Gli allunga anche il sacchetto contenente i due bicchieri di carta.
«Ora sono freddi. Ma te lo giuro, erano caldi»
Simone lo guarda. Non sa nemmeno come reagire a questa versione così dolce e premurosa di Manuel. Sa solo che lo trova semplicemente adorabile, che vorrebbe abbracciarlo forte, che si sente fortunato ad averlo accanto.
Continua a guardarlo con un sorriso stampato sul volto.
«Ti credo, Manuel.»
«Beh, se vuoi sederti..» gli indica una sedia e fa per prendere posto anche lui
«Buon compleanno Simo» Per pronunciare quelle parole a Manuel sembra quasi di aver dovuto trovare tutto il coraggio di cui è umanamente possibile munirsi.
Si avvicina all'altro e lo abbraccia.
Lo stringe a sé come fosse l'ultima cosa preziosa a cui aggrapparsi.
Lo culla un po' in quell'abbraccio e quasi si commuove, nel sentire il suo profumo invadergli le narici.
Simone profuma di buono, di casa, di quel calore che gli è sempre mancato e che ha rischiato di perdere.
Si libera lentamente dall'abbraccio e si siede sulla sedia accanto al tavolino. Sospira forte e cerca di ricomporsi in una piccola risata isterica, ripetendo a se stesso un appena mormorato "riprenditi idiota riprenditi"
«Ma è stupenda! Grazie!»
Simone ha appena scartato il pacchettino contente la torta.
É una torta piccolina, rigorosamente alle fragole, come piace a Simone.
Manuel la guarda di sottecchi, spaventato dall'ipotesi si fosse distrutta durante il viaggio ma per fortuna è andata meglio del previsto, è ancora perfetta.
«Grazie Manuel» ripete Simone, abbassandosi quanto basta a lasciare un bacio sulla sua guancia dell'altro.
«Non ho mai amato questa giornata»
«mh?»
«Il giorno del mio compleanno, dico, non l'ho mai amato, anzi.»
«Da piccolo, i miei genitori litigavano sempre, poi papà se n'è andato-»
«-poi ho scoperto di Jacopo.» la voce inevitabilmente si incrina.
Prende un attimo fiato per ricomporsi e ricacciare dentro le lacrime
«Mi dispiace tanto Simò. » si avvicina ad accarezzargli una guancia.
«La vita è stata tanto ingiusta, 'o so. Però questo non vuol dire che non può migliorà. »
«Perché dovrebbe?»
«Perché tu meriti di essere felice, Simò.»
Le labbra del più piccolo si incurvarono in un piccolo sorriso. Manuel era la prima persona a dirgli una cosa così profonda: che lui meritasse un po' di felicità.
«Simone, ascoltami bene: tu sei speciale»
«Lo pensi davvero?»
«Si. Lo penso- e sò sicuro che 'sta felicità, da qualche parte, c'è.» il maggiore scatta in piedi, lo prende per mano e lo fa alzare.
Sono uno di fronte all'altro, a distanziarli pochissimi centimetri.
«E tu? Tu non te la meriti la felicità?»
«La mia felicità sei tu, Simò.»
Manuel si alza sulle punte per raggiungere il viso del più piccolo.
Lo bacia.
«Buon compleanno, amore.»
Si stringono forte.
Sono felici.
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