Vi prego di comprendermi [2/2]

Passarono altri giorni e ogni sera Cole alternava le uscite tra ragazzi o con Klara, ridendo, scherzando, parlando di moto tra un bacio e un sorriso sincero col quale si sentiva in pace. Aveva cominciato a compiacere tali benefici scacciando le frustranti domande che gli rimbombavano in testa dal primo istante.
L'arroganza fuoriuscì dal suo guscio, lasciò spazio per rimorsi, pensieri soffocanti. Tentò di rinchiuderli e gettarli via nel lato più remoto del suo subconscio.

Ma il vaso di Pandora non scampò al fato e, una volta aperto, tutto vi uscì, come un agglomerato pesante e nocivo che strozzava Cole e lo inseguiva senza vie di scampo, tra mondo a sé e mondo onirico.


Quella sera tornò a casa tardi, chiuse la porta d'ingresso alle spalle e si immerse nell'acqua calda dell'ampia vasca.
I grandi specchi si appannarono totalmente, in automatico si attivò una spia esterna da quelle mura per moderare l'umidità della casa, contando ogni singola stanza.
Cole rimase immerso fino alla punta del naso per circa venti minuti.
Si erse dalla vasca, fischiettando e tastando coi piedi nudi i vestiti che isolavano il suo corpo dal pavimento freddo, in contrasto con l'aria compatta.

Godeva nell'usufruire di accessori così innovativi come un diverso phon per capelli, dal getto più tenue ma caldo, un design minimale, senza cavo, che lasciava i ciuffi castani librarsi nell'aria, in una danza quasi ipnotica.

A poco a poco, il vetro prosciugò l'opaca visione permettendo a Cole di salutare con un ghigno la figura riflessa, sempre immancabilmente ammaliante.

Quel ghigno scemò lentamente e il riflesso cominciò a osservarlo flemmatico, con le sottili sopracciglia inarcate, al di sopra dei suoi occhi scuri e profondi.

«Sono pazzo. Non voglio più vederti», lo rimproverò aspramente e abbassò poi lo sguardo, abbandonando il bagno con alcune gocce d'acqua sul pavimento.

Sentiva un continuo freddo alla nuca con l'asfissiante sensazione che qualcuno o qualcosa arrivasse da un momento all'altro, irrompendo in casa e aggredendo Cole.
Si voltò.
Nulla.
Lo avrebbe quasi sperato. Qualsiasi occasione pur di non restar solo.
Solo non con sé stesso ma con quella immagine migliore che gli rinfacciava ogni giorno di quanti difetti avesse il suo vero io. Se per giorni aveva ingannato gli altri, non poteva ingannare sé stesso né ora né mai.
Come fantasmi del passato, tornavano e tornavano, costantemente, nuovamente e inesorabilmente, il circolo vizioso nella sua testa lo tormentava senza termine.

Si voltò di nuovo. Questa volta lo aveva sentito, sì. Un suono, una voce. Non seppe distinguerla ma essa si stagliò nella sua mente, con frasi sconnesse.

Che senso ha? Non lo sapeva, era inutile ripeterglielo. Non aveva mai trovato un senso a tutto quello.

Tornò ad ammutolirsi nuovamente, mentre tutto in quella casa cadde al rovescio, imitando la furia di un tornado.
I quadretti baciavano le superfici e la giacca era buttata sul divano da giorni, prendendo la sua forma.

Poi, qualcosa accadde.

Quando si risvegliò, dopo una lunghissima notte passata a girarsi più e più volte nel letto, qualcuno lo fissò, facendolo sobbalzare.

A poco la vista tornò a fuoco e Cole fissò impietrito Hayden davanti a sé, ai piedi del letto. Schiuse le labbra in procinto di dire qualcosa ma l'altro lo precedette nell'immediato:
«Comodo, vero?» Il ragazzo in piedi ridacchiò infastidito mentre Cole si strofinò frettolosamente gli occhi.

Guardando le sue mani vide il contrasto tra la sua carnagione e quella del castano, realizzando di essere tornato il vero Cole, nel suo e suo soltanto corpo.

Si alzò a fatica mentre la figura di Hayden lì irremovibile lo turbava. Guardava con un sopracciglio alzato ogni suo minimo spostamento, mentre Cole uscì lentamente dalle coperte ritrovandosi un pigiama diverso da quello indossato la sera precedente.

«È uno scherzo?!» Domandò il ragazzo dai capelli neri, mentrè imitò l'altro nel sedersi sul bordo del letto, involontariamente.

«Mah, io dovrei chiederlo a te. Mi sono trovato un estraneo in casa», replicò Hayden a tono, rivelandosi un completo sbruffone. Sedeva con una gamba accavallata all'altra e guardava fisso negli occhi Cole per il gusto del metterlo a disagio.

«Non ho chiesto io di stare qui.» Strinse i lembi della coperta, irritandosi, e in quell'esatto momento il telefono vibrò ma solo Cole gli rivolse lo sguardo, sospirando al nome e la foto di Klara sullo schermo bianco.

«Intendi rispondere?» Chiese Hayden con stizza.

«No... Da quanto state insieme?»

«E a te che importa, vuoi anche la mia ragazza oltre alla mia vita?» Animò le sue parole alzando le braccia, sbuffando col solito sorrisetto che lo rendeva, purtroppo, anche più affascinante.

Cole aveva troppe domande ma ne uscirono solo di banali, scontate, e a fatica ogni parola pesava come se intendesse smettere o aggredirlo.

Hayden tornò immobile come una statua e poco Cole scorgeva il suo petto gonfiarsi ritmicamente e le sue palpebre sbattere rapidamente.

«Sai cosa è successo? Perché ero te? Tu dove sei stato fino ad oggi? In che cazzo di anno siam...» Hayden bloccò le riluttanti domande di Cole con un indice a pochi centimetri dalle sue labbra, una smorfia di disgusto deturpò appena il suo candido viso. Ridusse ulteriormente la distanza tra lui e il ragazzo moro, poggiando la fronte sulla sua divertito dalla situazione. Cole finì col diventare la preda succube dei suoi giri di parole e occhiate assassine, impietrito dallo sguardo duro e buio dell'altro ragazzo.
Contrasse i muscoli nell'istinto di volerlo ferire ma non riusciva.

«Divertiti pure ad imitare la perfezione ma non durerà così tanto a lungo, Cole», il tono tagliente causò mille brividi lungo la schiena del ragazzo, soprattutto all'udire il suo nome.
Hayden lo tormentò ancora, fece una breve pausa, analizzò il suo sguardo, forse sentì anche il suo altalenante battito, percependo poi il calore sul corpo dell'altro. Aggiunse con tono più rigido e basso: «un fallito così non può eguagliarsi a un uomo di successo, lo sai anche tu, non è vero?»

La vibrazione del cellulare ruppe il tedioso gioco di sguardi ed Hayden si allontanò, interessandosi solo ora al contatto presente sullo schermo, ridendo un'ulteriore volta.

«A lui neanche vuoi rispondere? Si offenderà».

Cole rabbrividì vedendo la foto e il nome di Logan nella chiamata, incapace di muovere un dito.



Tirò fuori il respiro come da un lungo stato di apnea, tossendo un paio di volte con la sensazione di sputare sangue. Quando si alzò dal letto ritrovò il pigiama della sera precedente e nient'altro di diverso da come lo aveva lasciato. Corse verso il bagno, sbattendo agli spigoli senza curarsene minimamente fino a quando un urlo non si soffocò nella sua gola vedendo l'immagine riflessa perennemente esasperata dalla sua situazione assurda. Tastò come la prima volta i capelli castani e le connotazioni del viso, dalla manica rialzata da cui poteva sempre scorgere quel maledetto tatuaggio sul polso. Nulla era cambiato, nulla si era concluso.

I suoi occhi scuri e gonfi chiedevano pietà, non voleva più tormenti nei suoi sogni, addirittura dal divenire così verosimili e sfacciati.

Continuò a fissarsi allo specchio, incapace di un'altra singola smorfia. A macchiare i suoi zigomi si apprestarono le lacrime salate, piene di rimpianti e di scelte sbagliate, convincendosi che quella pena bastasse come una punizione divina e anche sadica agli estremi.
Un continuo tormento che non faceva distinzione tra il giorno e la notte, lo perseguitava senza tregua per rammentare la sua vera identità, penosa e disadattata, che non avrebbe potuto trovare pace neanche in un guscio meraviglioso.



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