Quali ricordi mi resterebbero? [2/2]

La follia precedette Cole, agendo senza pensarci due volte, si gettò nel letto e prese un angolo di lenzuolo immacolato serrando la bocca, cosicché non potesse uscire uno spiffero. Strinse i denti e, con furia, affondò la testa nel cuscino bloccando anche il naso come ultima via respiratoria. Non trovò altro modo per uscirne, i secondi passavano e sembrava non cambiare nulla, gli attimi trascorrevano indenni sulle lancette dell'orologio provocando, nonostante tutto, un rumore troppo assordante per lui. Poggiò anche le mani sulle orecchie per evitare di udire le sue stesse urla, frustrato più di prima e sudato ovunque, ottenendo il contrario di ciò che voleva. Non riusciva a farlo. Non riusciva a morire.

Arrivò alla seconda ipotesi, ovvero quella che non sarebbe potuto morire poiché sarebbe già morto nell'incidente in autostrada. Non avrebbe immaginato, però, che ad accogliere la sua anima ci sarebbe stata la visione di una vita parallela. No, non aveva alcun senso.

Seguendo tale ipotesi, cosa voleva significare possedere l'identità di qualcun altro? Magari qualcuno o qualcosa voleva che vedesse il mondo da un altro punto di vista. Ma allora, non era vero che non sarebbe potuto morire, aveva semplicemente il terrore di provare quel dolore, perché, effettivamente, le sensazioni le percepiva sulla propria pelle ancora, rancore, angoscia, frenesia. Non avrebbe avuto senso percepire così differenti emozioni dopo la morte, una volta che il corpo si sarebbe separato dall'anima. Sì, adesso era più razionale il suo discorso, Cole non era morto ma nemmeno riusciva a vivere in quello stato.

Si guardò intorno e la stanza sembrò girare come una giostra, così anche i vari libri e poster che la adornavano, finché il ragazzo non bloccò la testa chiudendo gli occhi e rigettandosi a peso morto sul materasso.

Due sere dopo si ritrovò all'entrata di un ristorante con una vista sul mare a dir poco incantevole. Tutti quei paesaggi non appartenevano alla sua città, non esistevano vie con nomi così insoliti, cifre strane, neanche il clima era mai stato tanto mite.
Si sistemò la giacca e seguì i tre amici che, poche ore prima, lo avevano letteralmente pregato di uscire, prendere aria, notando quanto Hayden fosse diventato strano dopo esser tornato a casa dall'ospedale.

Una volta entrati, furono accolti da un cameriere piuttosto giovane in divisa bianco latte, così anche un paio di guanti. Dopo un breve inchino, mostrò loro il tavolo prenotato e nel quale era già presente Klara.
Il ragazzo si fermò al centro della stanza, restando impalato nel fissarla e notando quanto fosse carina con un lungo abito da sera bordeaux e i capelli ramati raccolti morbidamente in uno chignon, risaltando il suo profilo maturo ed il suo sguardo contrastante, dolce e sincero.
Ella sembrava pienamente soddisfatta di rivedere il suo ragazzo, spuntò un bel sorriso sulle sue labbra rosee e le guance presero appena del colore quando le distanze diminuirono.

«Sei molto bella», si complimentò Cole impacciato e calò un imbarazzante silenzio.

«Ti ringrazio.» Inclinò di poco la testa lei, osservando un punto preciso del volto del ragazzo, sul quale voleva poggiare le sue labbra. Cole capì ma non riuscì a fare altrettanto, così rimase immobile e fissò i suoi occhi in quelli di lei senza aggiungere altro.

Una pacca sulla spalla salvò i due dalla scena, finché tutti si sedettero e brindarono gioiosi alla loro lunga e fantastica amicizia. Il tavolo rotondo vestito di una lunga tovaglia a sua volta bianca, era adorato da un grazioso mazzo di fiori misti, elemento molto presente nell'intero ristorante, su ogni tavolo, bancone, anche nel corrimano verso i bagni al piano inferiore; molteplici candelabri illuminavano la vasta sala.

«Questo è il migliore ristorante fuori città, ho letto tutte le recensioni e sono tutte con stelle piene!» Esultò Marcus, guardando fiero lo stupore negli occhi dei suoi amici. Per l'occasione si era naturalmente ben vestito anche lui, con una giacca dai rimandi floreali.

«Già... Hayden, tu che prendi?» Si rivolse a Cole il fratello di Marcus, Mitch, a prima impressione più maturo dell'altro. In abiti meno vistosi, risultava a suo modo elegante quanto gli altri.

Cole si risvegliò dai suoi pensieri, buttando un occhio sul menù digitale e notando un primo piatto a caso in quella eterna lista: degli spaghetti con verdure e frutta secca. Notò il prezzo e la valuta monetaria era veramente strana: due simboli incrociati che formavano una sorta di onda. La carta contenuta nel portafogli di Hayden riportava lo stesso simbolo, in più il codice annesso lo aveva trovato in camera.

«Ma sei allergico alle noci, amore.» Appuntò Klara, seduta alla sua sinistra. Poggiò una mano su quella di Cole ma lui non ne diede considerazione.

«Ah, sì, non avevo visto...» Rise scambiando uno sguardo con lei e Mitch. Scelse, poi, un altro piatto casuale che effettivamente potesse mangiare, godendosi in parte quella serata.

Era ricco e stava gustando del cibo raffinato all'odore della brezza marina e in allegra compagnia; tutto cominciò a sembrargli meno estraneo in quel momento, compiacendosi dei sensi che lo attraversavano.
Man mano, il senso di colpa e di frustrazione cominciava a scemare, lasciando posto a un enigmatico Hayden che amava raccontare e raccontarsi, apparire, essere, in sostanza, un ragazzo perfetto, a cui tutti dovevano ambire.

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