Parte tre

«Io non li considerei "frivoli problemi"» Affermò il professore. Chiuse la cerniera della tuta per poi uscire dallo chalet.

Aveva già smesso di nevicare, il Sole fioco baciava le chiome degli alberi, illuminando appena anche i capelli corvini di Cole e quelli biondi di Duncan. Si fermarono a una staccionata sentendo passare giù per la pista adiacente adulti e bambini con gli scii.

«È un qualcosa che tu hai dovuto affrontare e che stai affrontando adesso; alla tua portata. Niente è a caso, sai?» Si rivolse vagamente al suo interlocutore, portando poi lo sguardo all'orizzonte.

«Allora... Cosa dovrei fare, secondo te?» Cole alzò appena il tono, tradendo la sua solita e apparente fermezza.

«Nulla. Lascia correre. Esattamente come quando sei sulla pista, Cole.» Incrociò le braccia al petto, deglutendo appena «non conviene rimuginare sulle cose passate, non avrai tutte le risposte che cerchi e rischi soltanto di chiuderti in un qualcosa senza fine. Ogni situazione ha un suo perché, una sua precisa collocazione nel tempo e nello spazio.» Rispose troppo poco esaustivo per il giovane che cercava altro attraverso il suo sguardo. Cole pendeva dalle sue labbra e analizzava il profilo stoico dell'uomo in attesa di opzioni più concrete da seguire, da comprendere.

«Quindi... Quindi cosa intendi..? Che è tutto già programmato o una roba così..?»

«In un certo senso, sì. Ti consiglio vivamente di passarci oltre, non si può cambiare il passato e non siamo mai pronti ad affrontare tutto ciò che ci si pone davanti. Possiamo saltare più velocemente nel futuro ma non ci è permesso sbirciare, venire a conoscenza di cosa ci aspetta. E non possiamo crogiolarci nei dubbi, nei ricordi passati, negli sbagli, altrimenti ciò che vivi nel presente è solo finzione e non muoverà nulla mai in tuo favore». Si limitò in un discorso difficile da comprendere per il ragazzo che a sua volta annuì soltanto, poco convinto.

Duncan sospirò appena, stiracchiandosi la schiena e ridacchiando «comunque avevi ragione, mi sento già molto meglio, è stato purificante».

«Per me è magico, non so spiegarlo... Ma ne sono contento, Duncan. Forse, solo tu riesci a capirmi, sai?»

«Solo io?»

«Gli amici con cui esco... Loro non riescono a comprendermi, seppur ci provino da moltissimo. Non so, forse sarà colpa mia, non riesco a sentirmi parte di questa realtà, di questo mondo. Non so sinceramente cosa ho... Davvero», gli scappò una risatina nervosa «non so perché sono così...»

«Cole, pensa che brutto se fossimo tutti ''omologati''. Per come la vedo io, sei un ragazzo davvero interessante, con belle passioni e dal carattere diverso rispetto ai propri amici ma non c'è nulla di male in questo, ti sono vicino, ti vogliono bene e avrete tante cose comuni che permettano un solido legame», gli poggiò una mano sulla spalla aggiungendo fermamente «ti ripeto, lascia correre.»

«Questo è il tuo motto, professore» Cole si abbandonò a un gracile sorriso, con sguardo vago verso il basso. Rifletté più e più volte sulle parole dell'amico, anestetizzando tutti i pensieri negativi almeno momentaneamente.

La giornata passò poi in fretta e i due dovettero già salutarsi, ai piedi della montagna. Fu Duncan quella volta a invitare Cole per trascorrere un'altra piacevole giornata, magari in città, in giro per Vancouver, in cui Duncan ci teneva ora a condividere alcuni suoi hobbies quali cinema, teatro.

Quando il ragazzò tornò a casa crollò immediatamente sul letto, stanco, dormendo fino a quella notte, svegliandosi di soprassalto.

Non ricordò di aver sognato nulla di particolare, ma il cuore palpitò incessantemente, bloccando il ragazzo sul posto. Si sentì in un primo momento perso ma lentamente focalizzò gli oggetti circostanti riconoscendo la sua camera per intero. Ogni cianfrusaglia era rimasta così come l'aveva lasciata: la giacca sullo schienale della sedia in legno, alcune riviste ai piedi della scrivania, l'orologio accanto, poggiato sul comodino, segnava le 03:00 del mattino.

Lentamente riportò una mano sul petto percependo i battiti del cuore tornare regolari e si calmò pian piano. Forse una paralisi del sonno? Pensò. Tuttavia, non riuscì a riprendere sonno così andò in cucina per prepararsi un panino, accendendo anche la tv per sentire se ci fossero almeno dei notiziari a quell'ora.
Dopo qualche minuto di zapping, trovò un documentario interessante che trattava dello spazio-tempo e di un terzo concetto, la gravità. Ciò che aveva sempre affascinato Cole ed il suo professore: il tempo veniva considerata semplicemente un'illusione, dipendente dalla gravità in una maniera pressappoco allucinante. Qualsiasi concetto è fortemente legato ad essa, indubbiamente senza non esisterebbe la vita stessa.
Cole rimase incollato per almeno un paio d'ore, risentendo concetti che amava divorare come pane tostato a colazione.

Ma improvvisamente il telefono di casa squillò ed il pensiero immediatamente andò ai suoi amici, finiti in qualche guaio. Quando sentì la voce di Logan ubriaco stette per riagganciare ma qualcun altro sovrastò quel continuo lamento chiamando Cole in aiuto: Nolan era a casa di Logan e quest'ultimo era fuori controllo tanto dal risultare pericoloso, capace di farsi male anche da solo.
Il ragazzo si infilò pigramente la giacca e raccolse il mazzo di chiavi, sbuffando due o tre volte, poiché non era certamente la prima volta che doveva andare a soccorrere Logan. Perfino il primo gennaio.

In dieci minuti arrivò al parcheggio adiacente alla casa di Logan, salì di corsa le scale per arrivare al secondo piano e vi trovò i due amici urlare come matti, uno ubriaco e uno esasperato.

«Dannazione, lo sai benissimo come diventa Logan quando beve» lo sgridò prendendo subito il ragazzone per una spalla cercando di farlo sedere sul divano.
Quell'ultimo rideva e aveva un'espressione beata, sparlando qua e là e poi crollando sul divano. Cole rimase a casa sua per circa mezz'ora assicurandosi che null'altro potesse accadere e che la situazione si fosse stabilita, almeno in parte. Nolan lo guardava con rammarico mentre Logan si era addormentato.

«Ottimi propositi per l'anno nuovo», commentò sarcastico infilandosi la giacca, «ti ha ferito? Hai tagli?» Ma l'altro negò col capo.
Non ne poteva più dal nervoso e dalla stanchezza, gli si appesantì la vista e l'unica cosa che voleva fare era tornare a casa e riprendere a dormire.

«Ahah, dai, magari domani usciamo tutti insieme... Senza alcol, però» cercò di recuperarlo Nolan.

«Magari no, invece. Sono stanco, stressato, non è la prima volta che questo coglione si ubriaca e fa casini, strano che non abbia fatto più cazzate del solito, lo avrei menato veramente!» Cominciò uno sproloquio senza fine rendendo Nolan più piccolo metaforicamente.
«...Sto male tanto per Kelly e voi non siete capaci neanche a risollevarmi il morale, neanche un po'!» Si pentì solo dopo di quell'affermazione pungente, mascherandolo.

«Scusaci... Se non siamo perfetti», rispose con lieve stizza l'altro.

«Me ne vado, voglio stare per un po' di giorni da solo. Non chiamatemi.» E con ciò uscì dalla porta senza aggiungere altro. Nolan non provò a fermarlo, rimase allibito poiché non si aspettava neanche una reazione del genere.

Così fu per due giorni. Cole rimase a casa leggendo vecchie riviste trovate nei cassetti della sala, bevendo ripetutamente caffè e guardando alcuni programmi televisivi scientifici e storici, niente più. Il silenzio della stanza lo accoglieva, le mura fredde non erano un problema per lui, affatto. Rimase due giorni interi su quel divano, con lo sguardo catatonico sullo schermo, a tratti bianco e nero, senza pensare, senza preoccuparsi del resto.

«Bell'inizio, questo 2000», commentò gettando una delle riviste a terra. Sentiva che il nuovo millennio avrebbe portato sciagura ed a lui toccò forse tutta.

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