Parte due

Suonò la sveglia alle 07:15 .
Come di consueto, ogni primo dell'anno Cole viaggiava verso la montagna per sciare in piena solitudine.
Arrivò verso mezzogiorno, il tepore del sole scaldava le sue pallide gote e pareva illuminare l'inchiostro nero dei suoi capelli.
Scese dalla macchina, già in tuta a sua volta nera con strisce verdi orizzontali sul petto, raccogliendo borsone e snowboard con gli stessi motivi verdi sulla tavola.
Inspiró con calma l'aria fresca, ammirando il paesaggio lindo e bianco. Gli veniva spontaneo sorridere ancor prima di essere su in cima; la sola compagnia di pochi altri sciatori contribuiva nel render quel luogo casa.

Solo in quel giorno, per l'occasione speciale, invitò un vecchio amico; il punto di incontro doveva essere lo chalet principale. Cole si guardò intorno, analizzando i pochi gruppi presenti ma sentì subito una voce alle sue spalle:

«Buongiorno, Martin. Ammetto che hai sempre avuto più stile di me, nulla da fare».

Al ragazzo scappò un sorriso, si voltò verso un uomo alto e ben più in avanti negli anni; curava molto l'aspetto, lasciando il viso quasi immacolato se non per alcune rughe e la ricrescita della barba. I suoi occhi di un verde chiaro ornavano anche il perenne sorriso, infondendo una certa gioia per chi gli fosse accanto.
Indossava una tuta bianca e rossa, in più un cappellino in lana che lasciava scoperti alcuni ricci biondo cenere.

«È fantastico rivederla, professor Simpson! Ah ma no, non credo affatto», ridacchiò Cole.

L'imbarazzo iniziale scemò all'istante e subito il professore lo abbracciò dandogli in più una pacca alla schiena.
Si diressero verso la cima e non ci fu un momento in cui Cole ignorò l'ospite, guardandolo con una certa luce negli occhi.

«Ora puoi chiamarmi anche solo Duncan, via le formalità! Mi fanno sentire così vecchio...» Scacciò con la mano, fingendosi offeso.

«Va bene, Duncan. Comunque sono contento che tu sia venuto qui, ci tenevo a mostrarti questo posto», sorrise il ragazzo, guardando poi in silenzio l'orizzonte.

«Te ne sono davvero grato, la vista da qui è... Spettacolare direi.»

Duncan Simpson era un professore americano di fisica e conobbe Cole nel primo anno di università, al quale, però, quest'ultimo si era ritirato per numerosi problemi.
In quel seppur breve periodo tra i due si consolidò un rapporto bello, toccante, quasi da padre a figlio, poiché prima Cole chiedeva sempre tanto sulla fisica per poi ascoltare i consigli anche sulla vita, sentendosi come al sicuro con lui.
Simpson individuò subito Cole Martin, data la sua innata capacità di non relazionarsi al cento per cento con altri e di restar più sulle sue a pensare e ripensare riguardo la scienza, lo spazio, la realtà che lo circondava, rendendolo bizzarro agli occhi di un po' chiunque.
Egli lo distinse come un ragazzo curioso, amante della scoperta, finché non cominciò a fumare erbe strane e inalare polvere col naso, entrando in quel pessimo circolo vizioso nel quale era rimasto per svariati mesi. Si sentiva come uno psicologo per Cole, quasi paragonandolo a Zeno e la sua ossessione verso il fumo.
Per merito di Duncan, Cole era vivo e in sesto dopo fiumi di droghe e quest'ultimo non avrebbe mai finito di ringraziarlo abbastanza.

«Ho riflettuto sul perché tu mi abbia invitato qui a sciare, Cole. Volevi mostrarmi ciò che ti rende felice», sorrise soddisfatto Duncan. Si trovavano all'inizio della pista libera dove si apriva un'immensa discesa innevata che attendeva solo di essere percorsa e vissuta a pieno. Con la coda dell'occhio scorse un piccolo sorriso dalle sottili labbra del ragazzo.

«Corretto, professore» si infilò gli occhiali, «magari sarà una sorta di rinascita anche per te, chissà» terminò la frase con una lieve provocazione.

«Me lo auguro, da questa altezza, poi.» Risero entrambi, prima di scendere.

Partirono e già si notava il distacco tra i due: Cole padroneggiava la tavola con una maestria incredibile, era una scheggia, egli stesso si sentiva in grado di poter fare tutto sopra la neve, in simbiosi con lo snowboard e la natura circostante, come se a guidare il suo corpo non fosse Cole Martin ma un'entità esterna. Scendeva giù in picchiata ondeggiando a piccoli scatti, raggiungendo una rampa innevata che lo aiutò a saltare e sorvolare sulla pista, a un'altezza indescrivibile. Era proprio in quel punto, così in alto, che poteva sentirsi come un dio, una potenza estrema. Non si trattenne dall'urlare di gioia nell'attimo in cui toccò nuovamente la superficie del bianco terreno e continuò il tragitto, prendendo nuovamente velocità.
In fondo si intravedevano alcuni pini che sembravano sfidare Cole ma il ragazzo riuscì a fare uno slalom perfetto tra essi.
Era arrivato. Si fermò alzando la neve e quando si voltò vide la scia che aveva lasciato e non poteva esserne più fiero. Dopo alcuni minuti arrivò anche il professore.

«Complimenti, ragazzo, ammetto di averti un po' sottovalutato.»

«Ahah, ne sono contento!»



Un paio d'ore dopo il mezzogiorno, i due si ritrovarono allo chalet per bere una cioccolata calda. Sedevano a un tavolino di legno in disparte dalla piccola folla. Alcune ciocche nere di Cole ricadevano sulla fronte, mentre gli occhi glaciali guardavano con interesse il professore che parlava del più e del meno, raccontando le sue giornate e di quanto tempo era passato dall'ultima volta che vide l'ex studente.
Cole si era ritirato dalla facoltà di astrofisica per fondi insufficienti, nonostante avesse una bella media -purtroppo lontana dalla borsa di studio- in tutte le materie scientifiche. I suoi genitori lo abbandonarono pochi anni prima in un incidente e non tocco l'argomento mai con nessuno, né con gli amici né col professore stesso.

«Sono infinitamente dispiaciuto che tu abbia dovuto lasciare gli studi, Cole...»
Padroneggiò il silenzio per qualche istante, poco prima che potesse aggiungere: «cosa mi dici di quel lavoro al negozio? Ti è di aiuto?»

«Per sopravvivere, professore. Non per ulteriori beni.»
Picchiettò la tazza con un dito e mandò il focus verso la finestra, osservando come era cominciato a nevicare dolcemente e i fiocchi di neve cadevano adagio sul terreno e sui passanti.

«Se vuoi, posso sempre aiutarti io a cercare un ulteriore lavoro. Sei in gamba e ci sono posti che necessitano di ragazzi come te.»

«No, non preoccuparti, professore. Mi va bene così, davvero. Ultimamente ho molti pensieri che mi invadono la testa e non riuscirei a fare bella impressione a un altro colloquio.»

«Che succede?»

Ma ricevette un profondo silenzio dal ragazzo.

La cioccolata fumante contribuì ad appannare più i vetri. Cole osservava il centro di essa, perdendosi nel moto che quel fluido subì quando mosse di poco la tazza.

«Frivoli problemi, non c'è bisogno di preoccuparsi.»
Sorrise appena ma Duncan non gli diede retta e insistette di più.
«Una ragazza, cioè, la mia ex ragazza. Ci siamo lasciati pochi mesi fa perché mi ha tradito con un altro, non ero abbastanza per lei. So che magari sarà una stronzata ma... Non faccio che pensare a lei, ogni giorno, e chiedermi quali sbagli avrò commesso... »
Fece un respiro profondo ma non volle aggiungere altro.
Pensare a lei gli faceva male. Nelle parole rivedeva i suoi occhi, le sue labbra, la sua voce, ma non poteva raggiungerla e gli faceva male.


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