CAPITOLO 2

Una mattina Cole indossò la tuta e caricò lo snowboard in macchina partendo per la montagna.
Il meteo prometteva bene: alcuni fiocchi di neve solo nel pomeriggio e cielo limpido durante il mattino.
Era il cinque gennaio, una settimana stava per passare in fretta nonostante l'allontanamento dagli amici fosse stato estenuante, in un certo senso, per Cole.
Aveva ripreso poco i contatti solo con Dumbie, il poveraccio del gruppo che subiva continuamente provocazioni da Logan. Dumbie, quel soprannome se lo sarebbe tenuto a vita, insistette nel far uscire Cole di casa ma questi non volle sentire ragioni: incontrare gli altri, vedere altre facce, gente felice, era appena oltre lo stomachevole. Riuscì solo a non pensare alla sua ex ragazza, per un attimo o due, passando gli occhi qua e là sulle riviste sebbene l'interesse scendeva mano a mano che scorreva le pagine.
Mettendo in ordine la camera scorse un vecchio pacchetto di sigari in un comodino vuoto, così se li portò con sé e, nel mentre guidava, inalò fumo e catrame sentendosi apparentemente libero e estasiato.

Quella mattina la strada era piuttosto trafficata, l'autostrada se non peggio; Cole si stava alterando, suonando ogni tre per due, neanche si trovava all'ingresso per prendere il biglietto. In quel mucchio di ferri arrugginiti cominciava a penare il caldo, egli stesso si tolse la giacca per respirare e, finalmente, la coda parve muoversi.
Arrivò in autostrada e pochi metri dopo essa sembrò sparire e Cole accelerò per godersi la pista e l'aria fredda colpirgli il volto. Aveva raggiunto i centotrenta chilometri orari e si stabilì su quella velocità, godendo a pieno della vista della montagna sulla quale sarebbe salito a breve, completamente innevata, che sembrava aspettare solo lui. Inalò un'altra volta dal suo sigaro ma l'ebrezza del fumo si vedeva a tratti, polverizzata dal finestrino aperto e la velocità devastante. Cole ghignò, sentendosi libero, libero di andare nella sua oasi. Stringeva forte la mano sul volante, l'altra sullo sportello che seguiva perfettamente l'attrito, a proprio agio.

Non diminuiva la velocità, l'auto sfrecciava sull'asfalto, noncurante delle altre. Cole tirò un'altra boccata di fumo ma, nella distrazione, pensando a buttare della cenere dal finestrino, non vide una macchina sfrecciare ad alta velocità, appena entrata in autostrada, quasi di fianco a lui, troppo di fianco a lui, e neanche il clacson e le urla del ragazzo servirono a fermarlo, finché questi si buttò letteralmente addosso, schiantandosi contro il muro, all'entrata di una galleria.

Cole era immobile. Intrappolato tra lo sterzo ed una portiera bloccata. Dall'altra parte, l'urto dell'auto fece sì che il ragazzo rimase schiacciato da tutti i lati, mentre dal cofano iniziò ad uscire del fumo.

Qualcuno urlò, un'auto che aveva raggiunto da poco l'ingresso della galleria si fermò dietro i due e ne uscì una signora di mezza età con una bambina affianco. Ordinò alla figlia di restare in macchina e chiamò immediatamente i soccorsi, attendendo lì con disperazione, mentre la piccola stringeva a sé il suo peluche e guardava con occhi sbarrati quanti pezzi e vetri rotti c'erano a terra.

«Adesso, capisco la vostra preoccupazione ma potete stare tranquilli. Non è nulla di grave, si rimetterà presto il ragazzo.» Comunicò un dottore piuttosto anziano.
Il gruppo di ragazzi si distanziarono appena dal lettino d'ospedale, uno di loro tirò un sospiro di sollievo.

«Sta aprendo gli occhi!» Annunciò a voce alta uno, avvicinandosi in fretta al ragazzo ed ignorando le parole appena pronunciate dal dottore.

«Mi raccomando, lasciatelo riposare. Anche se non ha subito ripercussioni sul corpo, l'incidente che ha avuto lascerebbe tutti un po' scossi ancora».

«Grazie mille, dottore», concluse una voce femminile e molto graziosa, proveniente dall'unica ragazza del gruppo.

«Amico, come ti senti?»

«Fallo respirare!»

Aprì gli occhi e si ritrovò in una stanza d'ospedale, apparentemente anonima, bianca, su un lettino ciano e le lenzuola dal forte profumo di lavanda. La luce fredda posta al soffitto lo colpiva in pieno e aspettò qualche secondo per focalizzare meglio i particolari.
Tre ragazzi erano ai piedi del letto e guardavano lui con felicità, attendendo una sua parola.

«Cosa mi è successo..?»

Tirò fuori quelle parole ma si sorprese dal timbro di voce tanto diverso: era pulito, chiaro, non rovinato dal fumo di tabacco. Si sentiva stranamente più alto, tanto che quel letto gli sembrava stretto. Ora che aveva posato lo sguardo sui suoi tre amici, non ne riconosceva neanche uno, neppure la ragazza.
Due di loro erano molto simili, entrambi avevano occhi scuri e capelli castani e mossi, lineamenti morbidi sul viso ed il naso poco a punta. Probabilmente erano fratelli. Il terzo ragazzo, più distante da lui, era biondo grano ed il suo sguardo lo gelava, non accennava alcuna emozione. La ragazza era tremendamente bella - fu il primo pensiero di Cole - il viso chiaro ed ornato da poche lentiggini, gli occhi azzurri ed i capelli ramati, ora raccolti in una coda di cavallo. Ella sembrava guardarlo con amore, stringendo appena la sua mano sinistra per un po' di conforto.

Appena Cole poggiò gli occhi sul suo braccio lo vide strano.
Pochi peli chiari sull'avambraccio ed un tatuaggio sul polso raffigurante una coda con spine, vagamente una coda di drago. Non capiva. Cercò di alzarsi volendo andare in bagno, ma quando poggiò le gambe fuori dal letto si ritrasse colpito alla vista di muscoli ben evidenti, di gambe che non erano le sue. Barcollò cercando disperatamente il bagno finché non vi si chiuse dentro.

Si sciacquò con violenza il viso sobbalzando una volta che i suoi occhi incrociarono quelli speculari di fronte. Si tastò ogni centimetro del volto, dalla barba rasa che mai aveva tenuto così in cura, chiara, ai ciuffi ribelli che andavano sulla fronte, sparpagliati, di un castano chiaro quasi rame. Le sopracciglia più sottili delle sue ed occhi scuri e vispi che non riflettevano affatto la sua persona.
Non era lui, quella immagine non ritraeva Cole. Che fosse uno scherzo? I suoi amici si erano voluti vendicare così? Ci avevano messo tanta inventiva, a quanto pareva. Dovevano essere parecchio arrabbiati con lui.

Toccò l'oggetto davanti a sé vedendo come il ragazzo di fronte copiava le sue mosse e trapelava angoscia, quanto Cole.

Nessun poster, nessuna foto.
Un semplice specchio rettangolare posto al centro di un bagno bianco latte, con solo un'ampia finestra che ritraeva un panorama surreale, raffigurante una città enorme, minuziosamente pulita, limpida e decine di aiuole con glicini quasi spogli animati dal vociare allegro di un viavai di gente.

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