9.

*L*

Conclusa l'esperienza poco soddisfacente con il fumo – dopo i primi due tiri, il ricciolino aveva lasciato che la sigaretta si consumasse da sola fino al filtro – Louis lo invitò in casa per una più rassicurante tazza di tè.
Mentre attendevano che l'acqua bollisse, lo spilungone recuperò il telefono vibrante dalla tasca e rimase a fissare lo schermo con un'espressione severa. Louis seguì con attenzione ogni suo gesto: il sospiro, lo scatto rabbioso con cui rifiutò la chiamata, l'espressione scocciata mentre digitava rapido un messaggio prima di rimettere in tasca il cellulare.
«L'ennesimo ammiratore che non si rassegna?» provò a scherzare.
Louis aveva la sensazione che non si trattasse di questo ma voleva cancellare quel flusso di emozioni negative che stava attraversando il volto del suo ospite e pensò che un po' di leggerezza non avrebbe fatto male.
Lui scosse la testa. «Mia madre».
Dal disappunto che la sua voce e la sua faccia sprigionavano, Louis intuì fosse qualcosa di più di un tipico battibecco tra madre e figlio come gli capitava di avere quasi sempre con la sua. Le principali recriminazioni che gli rivolgeva riguardavano il suo non rispondere mai alle chiamate e il non andare a farle visita con una frequenza ritenuta da lei accettabile. In questo caso doveva esserci molto di più.
Louis versò il tè bollente in due tazze senza dire una parola. Voleva offrire all'altro la possibilità di tirarsi indietro e cambiare argomento. Questa era la scusa ufficiale. In realtà, avrebbe voluto proporsi come amichevole-ascoltatore/metaforico-sacco-da-boxe contro cui sfogarsi ma non credeva di avere nessun diritto di avanzare una simile richiesta.
«Mi ha tenuto nascosta una cosa per quindici anni» gli rivelò prendendo la tazza che Louis gli stata porgendo.
«Una cosa del tipo non sono la tua vera madre, sei stato adottato o più tipo il criceto che avevi da bambino non è scappato, l'ho inavvertitamente schiacciato io
Riuscì a farlo sorridere e questa gli sembrò già una vittoria.
«Perché ho la sensazione che la storia del criceto non sia del tutto inventata?»
Louis prese un lungo sorso di tè. «Trevor, pesce rosso amato e accudito da me per ben due mesi prima che mia madre facesse cadere l'acquario e senza volere lo risucchiasse con l'aspirapolvere che stava passando in camera mia».
Scoppiò a ridere. «Povero Trevor».
«Già, a nulla sono serviti i soccorsi, non c'era più nulla da fare» raccontò con voce grave e impostata, come il presentatore di un telegiornale che fa un tragico annuncio. «Ho accusato mia madre di pescicidio per mesi. Il tuo che animale era?»
«Nessun animale» ammise sottovoce, lo sguardo piantato a terra.
Nel silenzio, si poteva udire il rumore del telefono che aveva ripreso a vibrargli in tasca. «Forse è meglio che vada».
Lasciò la tazza sul bancone della cucina, intatta, e si diresse all'ingresso.
«Scusa, non volevo essere invadente» disse Louis seguendolo.
«Non lo sei stato».
«Perché te ne stai andando, allora?»
«Ho già approfittato abbastanza della tua ospitalità».
Louis non sopportava di vederlo in quello stato. Lo stava facendo di nuovo, lo stava tagliando fuori come aveva cercato di fare la sera prima quando Louis era riuscito a tenerlo con sé abbracciandolo. Dubitava che un secondo abbraccio sarebbe stato efficace, in quella circostanza serviva qualcosa di più.
«E la tua offerta di prepararmi il pranzo? Prima mi illudi con la promessa del pasto più buono della mia vita e poi te ne vai?»
Incredibile come tutto fosse cambiato in poche ore. Era Louis quello diffidente e chiuso, da avvicinare con la massima cautela per non farlo scappare. Ora, invece, si ritrovava a inseguire uno sconosciuto, a non voler interrompere il loro tempo insieme. L'idea di lasciarlo scivolare via così non era nemmeno contemplabile.
«Non ti ho mai promesso niente del genere. L'ora di pranzo è passata da un pezzo e non avevi detto di non avere niente?» precisò con calma il ricciolino, l'ombra di un sorriso che si affacciava sulle sue guance.
«Ho un intero reparto di surgelati. Puoi fermarti per cena».
Il ragazzo scosse la testa, un chiaro sorriso stampato in volto. Ora che era riuscito a fare breccia nelle sue difese, Louis non voleva dargli tempo di chiudersi nuovamente in se stesso.
«Resta» soffiò a un passo dalla sua bocca, gli occhi che lo supplicavano, le mani sui suoi avanbracci a impedirgli di scappare.
«Io...»
Louis non volle sentire altro. Desiderava assaggiare le sue labbra da quando aveva messo in scena tutto lo spettacolino con la cannuccia. Aveva fatto di tutto per trattenersi, distrarsi, scacciare quella voglia che tornava a riempirgli la pancia ogni volta che posava gli occhi su quel ragazzo. E aveva mentito a se stesso scacciandoli come pensieri fugaci. Il tentativo di bacio della notte precedente, finito prima ancora di poter essere definito tale, non aveva fatto altro che intensificare quell'attrazione. Non aveva più forza di continuare a negarsi quel piacere, poteva e voleva immergercisi e lasciarsi trasportare dalla corrente. Anzi, sperava che lui fosse la corrente, l'abile timoniere capace di evitare la tempesta anche con la sua piccola nave malconcia.
Si allungò sulle punte e lo baciò infilando entrambe le mani tra i suoi ricci. Proprio come si era immaginato fin dall'inizio.
Sentì le mani dell'altro stringergli i fianchi e avvicinarlo al suo bacino mentre il bacio si intensificava.
«Ok, ti darò un assaggio delle mie doti culinarie ma a una condizione...» gli soffiò sulle labbra.
«Quale?»
«Andiamo a fare la spesa».

*H*

Chiusi la telefonata con Niall prendendo un profondo respiro. Dovevo arieggiare i pensieri oltre che ai polmoni.
Se rassicurare il mio amico di essere ancora vivo senza spiegare dove o con chi fossi era stato estenuante, comunicargli che non sarei tornato per accompagnare mia madre alla stazione e salutarla prima del suo rientro a casa era stato desolante. L'idea di far star male mamma mi tormentava ma l'ipotesi di andare da lei e comportarmi come niente fosse mi faceva sentire ancora peggio.
Mi sembrava di essere tornato indietro a quattro anni prima, quando le avevo comunicato la mia intenzione di allontanarmi da lei andando a studiare a trecentocinquanta chilometri da casa. Come allora, starle lontano era l'unico modo per capire quale strada intraprendere senza i suoi continui interventi. Che di danni ne aveva già fatti abbastanza.
Avevo bisogno di staccare la mente dal passato e godermi il presente, per una volta. Presente che aveva le sembianze di un corpo tonico, agile, viso da eterno ragazzo nonostante la leggera barba e occhi di un blu che non riuscivo a spiegare.
«Sei allergico o intollerante a qualcosa?»
«No» sbuffò.
Io lo ignorai, troppo preso a selezionare le zucchine migliori. Adoravo fare la spesa. Spingere il carrello e muovermi tra gli scaffali canticchiando mi rilassava.
«Non posso crederci» gridò lo sconosciuto.
«Cosa?»
«Ti si sono illuminati gli occhi come a un bambino nel reparto delle caramelle».
«E allora?»
«Siamo davanti a delle cazzo di verdure!»
«Cos'hai contro le verdure? A me piacciono molto».
«Le guardi come io guardo le patatine fritte o gli hamburger».
La sua espressione era uno spasso, dovetti sforzarmi per non ridergli in faccia.
Mi sfuggì comunque un sorriso. Mi era difficile non sorridere in sua presenza. Anche quando era l'ultima cosa che avrei voluto fare. Con lui mi sembrava fosse tutto sottosopra.
Non sapevo come gestire il modo in cui mi faceva sentire, non mi era mai capitato prima. Non mi ero neanche mai svegliato a casa di uno sconosciuto senza averci fatto sesso la sera prima e anche quello era successo giusto un paio di volte. In entrambi i casi ero sgattaiolato via alle prime luci dell'alba con un nome in più in testa e nessun timore di non rivedere il corpo che avevo lasciato a letto. Questa volta, invece, c'era stato a malapena un bacio e mi era bastato per desiderare ardentemente tutto il resto. Di quel ragazzo conoscevo molte cose, le più importanti le avevo apprese senza che lui me le avesse raccontate perché le aveva tutte scritte sulla pelle come i tatuaggi che gli ricoprivano le braccia.
Mi concentrai quindi sugli ortaggi di fronte a me, ancora indeciso su cosa preparare per cena. «Continuo a non capire quale sia il problema».
«Me lo stai chiedendo davvero? Hai in mano dei broccoli» sbraitò scandalizzato. «Perché cavolo hai in mano dei broccoli?»
Mi era chiaro che lui tendesse per carattere a reagire alle situazioni in maniera eccessiva, di solito in senso negativo, ma cominciavo anche a credere che provasse un certo gusto nell'esagerare ogni minima cosa.
«Mi chiedo come tu faccia a restare agile e in forma visto il rifiuto che hai nei confronti del cibo sano». Scossi la testa e lasciai perdere i broccoli, rassegnato.
«Devo ricordarti che passo gran parte delle mie giornate in palestra per vivere?» ribatté lasciando cadere un sacchetto di arachidi nel cestino. Mi guardai intorno disorientato. Per quale assurdo motivo la frutta secca si trovava accanto a frutta e verdura fresche? Fui sul punto di commentarlo ad alta voce ma lui riprese a parlare: «E a cosa pensi che mi serva Liam?»
«Sant'uomo» borbottai dedicandomi alla scelta delle carote.
«Cosa vorresti insinuare? Neanche lo conosci».
«Conosco te e so che ci vuole un'enorme pazienza per sopportare i tuoi capricci» replicai senza incrociare il suo sguardo.
«Spero che la tua bravura in cucina comprenda anche la pasticceria perché una semplice cena non è sufficiente per ripagarmi dei cereali e tutto il resto, mi devi anche un dessert».
Sorrisi. Gli avrei con piacere preparato colazione, pranzo e cena per il resto dei miei giorni se me l'avesse permesso. Indipendentemente dai cereali e tutto il resto.
«Bella scusa. Voglio proprio vedere cosa ti inventerai per farmi restare anche a dormire».
«Illuso. Ti caccerò non appena avrai finito di cucinare senza nemmeno farti mangiare».
Era così facile stare in sua compagnia. Il continuo punzecchiarci a vicenda era sì divertente, ma anche confortante. Per quanto dovessi mantenere la mia mente sempre vigile e pronta a controbattere, sentivo il corpo più leggero ogni minuto che passavo in sua presenza.
Avrei continuato a battibeccare con lui per ore ma eravamo ormai arrivati alla cassa. Incapaci di lasciarci in pace, portammo avanti lo scontro a colpi di sguardi e mezzi sorrisi mentre posizionavamo gli articoli sul nastro.
«Servono delle buste?» chiese la cassiera.
«Sì, un paio. Grazie» confermai rivolgendole un veloce sorriso.
Presi i sacchetti che mi stava porgendo e mi posizionai in fondo al nastro, pronto a recuperare i prodotti.
Non avevo mai fatto acquisti in quella zona della città ma ero sicuro che una cassiera esperta non avrebbe mai impiegato tutto il tempo che ci stava mettendo quella ragazza. La osservai qualche istante: era molto giovane, vent'anni al massimo, lunghi capelli biondi, viso rotondo e labbra ricoperte di un rossetto rosa che non le si addiceva proprio. Non era affatto impacciata nei movimenti, come ci si sarebbe aspettati da una persona alle prime armi, era solo molto lenta e la cosa non sembrava impensierirla. Anzi, sembrava volesse accentuare la sua lentezza.
«Sono cinquantasette e ventitré» dichiarò dopo quella che mi parve un'attesa infinita. Si stava rivolgendo a me, senza degnare di uno sguardo il "mio" sconosciuto.
«Amore, ce l'hai tu il mio portafoglio?» intervenne lui catturando l'attenzione di entrambi.
No, non stavo sognando. Mi aveva appena chiamato amore e il sorriso della ragazza era scomparso prima ancora che fosse pronunciata l'ultima lettera.
Stavo ancora pensando a come formulare una risposta quando me lo ritrovai a meno di un passo, una mano che frugava all'interno delle mie tasche vuote, senza incertezza, come fossero abituate a toccarmi liberamente, e l'altra che mi accarezzava la nuca. Un attimo dopo avevo le sue labbra che si muovevano sulle mie in un bacio rapido ma amorevole.
«Ah no, che sbadato... Ce l'ho io» dichiarò prima di estrarre un rettangolo di pelle scura dalla tasca della sua tuta. «Ecco qui» si voltò verso la cassiera e le allungò tre banconote da venti.
La ragazza le prese con mani tremanti e il viso di un vistoso rosso peperone. Provai a lanciarle un ultimo sorriso di saluto dopo aver preso le buste ma lei si era voltata a occuparsi del cliente successivo.
«Cos'è appena successo?» chiesi fuori dal negozio.
«A cosa ti riferisci?» finse di non capire.
«Era solo una scusa per palparmi o stavi marcando il territorio?»
«Di cosa stai parlando?»
«Di nulla, amore» gli rifeci il verso.
Sbuffò. «L'ho fatto per lei. Qualcuno le doveva dire che non ha alcuna speranza con te».
«Per lei, certo. Era necessario metterla in imbarazzo in quel modo?»
«In imbarazzo ci si è messa da sola con i suoi occhi languidi, il tono di voce accondiscendente e quell'orribile rossetto» scosse la testa inorridito. «Si sarebbe strappata i vestiti di dosso se gliel'avessi chiesto».
Aveva le spalle curve in una linea innaturale, il passo si era fatto più veloce quasi volesse scappare e stava evitando il mio sguardo. Ma fingeva indifferenza, come sempre.
«Non puoi essere serio». Non volevo darlo a vedere ma la sua reazione mi lusingava e divertiva. Mi eccitava pure un po'.
«Ringraziami, stavo per chiederti a voce alta se avessimo ancora preservativi e lubrificante a casa. Quello sì che sarebbe stato imbarazzante».
Lasciai andare un verso strozzato prima di scoppiare a ridere. «Cosa?»
Non mi divertivo così tanto a stuzzicare un ragazzo da... sempre. Non era mai successo, non avevo mai incontrato nessuno che mi intrigasse in questo modo, nessuno che mi avesse mai fatto desiderare di passare del tempo – molto tempo – insieme, anche solo a parlare.
«Preferivi lasciarle credere di avere una possibilità così che ti scrivesse il suo numero di telefono sul retro dello scontrino?»
Il tono era sprezzante ma colsi una sfumatura rabbiosa che sapevo di dover punzecchiare ed esplorare.
«Perché dai per scontato che io non possa essere interessato?»
Lui si voltò di scatto mantenendo l'espressione neutrale, lo sguardo impassibile, ma avvertii qualcosa agitarglisi dentro come se il corpo fosse il mio, un'inquietudine a cui non sapevo o non volevo ancora dare un nome.
«Tu con una ragazza?» ghignò. «Impossibile».
«È questo che ti scoccia tanto, il fatto che lei non abbia capito che sono gay? O l'idea che qualcuno possa distogliere la mia attenzione da te?»
«Non dire sciocchezze» mi liquidò con un gesto della mano tornando a guardare davanti a sé.
Oh no, mi aspettavo molto di più, molta più convinzione, parole più aspre, persino insulti che negassero quanto avevo appena insinuato. Il ragazzo che avevo conosciuto la sera precedente avrebbe atteso un'occasione simile con impazienza e mi avrebbe azzannato come una tigre a digiuno da giorni gustandosi con un sorriso beffardo la mia disfatta. Questo, invece, si era limitato a un debole ammonimento che odorava di ritirata.
Rallentai appena l'andatura in modo da restare alle sue spalle, indietro di un paio di passi.
«Non hai motivo di essere geloso» gli dissi all'orecchio, arrestando il suo cammino con un braccio intorno alla vita mentre tenevo entrambi i sacchetti della spesa con la mano libera. «Non c'è uomo o donna che possa distrarmi da te». Accompagnai la voce volutamente profonda e suadente a un bacio sul collo, le dita che si stringevano contro la sua pancia piatta. Indugiai con le labbra sulla sua pelle per qualche secondo di troppo prima che lui si divincolasse in malo modo.
«Dio, non vedo l'ora di chiuderti quella bocca» sbottò di frustrazione.
Lo afferrai per il polso facendolo deviare verso un vicolo laterale e lo intrappolai contro il muro. «Fammi vedere come» lo sfidai.
«Non essere rid—»
«Mostrami come» insistetti, spingendomi maggiormente contro il suo corpo, gli occhi incollati ai suoi in un'ostinata richiesta di arrendersi.
Riuscii a vederlo l'attimo in cui lasciò cadere la maschera mostrandosi per l'ammasso di paure, vulnerabilità e passione che era. E poi mi baciò, con un'intensità che sapevo non avrei mai trovato altrove perché nessun altro mi avrebbe baciato come stava facendo lui. Lo sapevo e basta.
Eravamo esattamente questo. Un'eterna lotta tra il desiderarci e il respingerci. La minaccia, la supplica e tutto ciò che sta in mezzo. Ho capito lì, in quell'esatto istante, che saremmo rimasti sempre così, a rincorrerci a vicenda, ad allontanarci fino agli estremi opposti per poi scontrarci di nuovo, incapaci di non volerci.

*L*

Louis strinse con forza i pugni intorno alla camicia oscenamente sbottonata e un po' sgualcita dello spilungone, come se avesse bisogno di appigliarsi a qualcuno e sentire che fosse lì con e per lui. Il contatto si rivelò però insufficiente. Sciolse la presa dalla morbida stoffa nera per affondare una mano tra i suoi ricci mentre l'altra premeva nella parte bassa della schiena. Lo spilungone prese ad accarezzargli un fianco, i maledetti sacchetti della spesa che gli tenevano occupato l'altro braccio e graffiavano le loro gambe poco sotto il ginocchio. Quasi avesse intuito il fastidio di Louis, lasciò cadere i sacchetti a terra e gli prese il viso con entrambe le mani baciandolo con maggior foga.
Louis sarebbe andato avanti a oltranza se la mancanza di ossigeno non lo avesse costretto a separarsi e il fastidioso suono di un clacson in lontananza non avesse rotto la bolla che si era creata attorno a loro.
«Andiamo, starai morendo di fame se per pranzo ti sei accontentato di qualche surgelato» disse il ricciolino giocando con i suoi capelli.
Lo stomaco di Louis si sentì chiamato in causa e si intromise con un gorgoglio di conferma prima ancora che il suo padrone potesse farlo a parole.
«Lo prendo come un sì» sorrise lo spilungone prima di baciarlo di nuovo.
Voleva essere un bacio conclusivo, un punto alla fine di un paragrafo prima di andare a capo e riprendere la narrazione, ma Louis non gli permise di allontanarsi. Senza lasciargli il tempo di realizzare, gli circondò la schiena e lo fece girare invertendo le loro posizioni. «Sono ancora indeciso se io abbia più fame del prelibato cibo che mi hai promesso o delle tue dannatissime gambe da giraffa» gli disse a fior di labbra come fosse un'accusa.
«Vorrà dire che dovrai trovare il modo di convincermi a lasciarti assaggiare entrambi». Il ricciolino sgusciò via dalla sua presa con un sorriso malizioso, recuperò le buste e riprese a camminare aggiustandosi il cavallo dei pantaloni.
«Sto morendo di fame» confermò ad alta voce Louis sfilando dalle grandi mani dello spilungone uno dei sacchetti della spesa.
«Comincerei dal cibo, diventi insopportabilmente capriccioso a stomaco vuoto» propose l'altro, neanche lo conoscesse da tutta la vita.
«Che ne sai tu?» sbuffò Louis.
«Sesto senso».
«Sei un veggente ora?»
«Mi sbaglio?»
«Dimmelo tu, visto che sai tutto».
Lo spilungone sorrise. «Evitare di rispondere equivale a confermare».
«Credere di sapere tutto non equivale a conoscere davvero una cosa» ribatté Louis mettendo il broncio.
A quel punto il ricciolino rise per davvero. «Sei davvero permaloso, lo sai? Almeno questo lo puoi ammettere, non ti renderà meno attraente ai miei occhi, né intaccherà in alcun modo l'aura da bad boy che ti sei costruito negli anni».
Era una battuta, Louis lo sapeva. L'ennesima innocente frecciatina nel loro battibeccare quasi incessante.
Louis sospirò. «Non è strano che tu conosca così tanto di me?»
Lo spilungone lo guardò confuso. «Se ti riferisci a quello che ho detto poco fa, stavo solo—»
«No» lo interruppe Louis, «ti ho parlato della mia famiglia, del mio migliore amico, del mio lavoro. Ho detto molto più di quanto abbia mai fatto. E non ti è bastato, sei andato oltre le mie parole, hai notato cose a cui non ho mai permesso a nessuno anche solo di avvicinarsi. Ho tentato di tenertele nascoste ma tu le hai viste lo stesso».
Lo spilungone sgranò gli occhi e arrossì. Louis aveva l'impressione che se gli avesse fatto apprezzamenti sul suo aspetto esteriore non ne sarebbe rimasto altrettanto colpito. Non era solito trovare qualcuno che riconoscesse la sua attenzione ai dettagli, il suo non fermarsi alle apparenze o che non lo ritenesse un difetto.
«Non mi fermo mai alla prima occhiata, tendo a investigare per natura» confermò, un po' incerto. «Se mi sono spinto troppo oltre, ti chiedo scusa».
Louis alzò le spalle. «Hai solo avuto il culo di azzeccare qualche cosa qua e là, non ti montare la testa». Meglio riportare la conversazione su toni più leggeri. Un conto erano le mezze confessioni notturne pronunciate con un moderato quantitativo di alcol in circolo, tutt'altro erano le prese di coscienza alla luce del giorno.
«Anche tu sai molto di me, compresi dettagli intimi, se non ricordo male» gli diede corda il ricciolino.
«Già, dettagli scabrosi della tua vita sessuale ma non il tuo nome».
«Non dirmelo» urlò, fermandosi di colpo sul marciapiede. Louis sussultò e gli lanciò un'occhiata interrogativa.
«Ho la sensazione che non appena me lo dirai, cambierà tutto» aggiunse con un filo di voce, distogliendo lo sguardo come se si vergognasse un po' per quell'ammissione.
«Altro che cartoni animati, sei sicuramente uscito da una stupida commedia romantica» ridacchiò Louis.

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