4.

*L*

Lo spilungone gli indicò di aspettarlo all'ingresso e si diresse al bancone per l'ordinazione. Il locale non era molto spazioso ma curato, i pochi tavoli all'interno tutti occupati. Un gruppetto di ragazzi si era radunato a mangiare attorno a una delle panchine all'esterno, incuranti della temperatura di quella nottata insolitamente rigida di inizi aprile.

Louis notò il ragazzo moro dietro il bancone salutare il ricciolino con innegabile – e a suo avviso eccessivo – calore. Gli aveva rivolto un sorriso enorme e aveva aggirato l'ostacolo che lo divideva da lui per abbracciarlo con un trasporto che non era passato inosservato ai suoi occhi.
Mentre parlavano, il ragazzo aveva rivolto il capo nella sua direzione scrutandolo con sguardo severo. Aveva poi annuito tornando a guardare lo spilungone e si era allontanato fino a sparire in quella che doveva essere la cucina.

Il ricciolino tornò da lui subito dopo e passò i minuti successivi a evadere le domande che lui gli poneva con insistenza. Più Louis chiedeva cosa stessero aspettando e dove fosse il suo panino, più l'altro non sembrava avere intenzione di svelare il benché minimo dettaglio. Voleva farlo bruciare dalla curiosità e mettere alla prova la sua pazienza? Aveva già intuito che fosse piuttosto limitata? Louis era talmente concentrato a scucire informazioni al ricciolino che notò il moro solo quando questo gli invase il campo visivo.

«Lumière e Tockins, seguitemi».

«Come?» chiese Louis aggrottando le sopracciglia, confuso.

Lo sconosciuto non lasciò che iniziasse a brontolare di nuovo, gli coprì la bocca con una mano e con l'altra gli afferrò il braccio per indurlo a seguirlo. Cosa che non fermò Louis dal produrre l'ennesimo, rumoroso sbuffo di protesta.

«Puoi smettere di trovare ogni scusa per mettermi le mani addosso?» gli disse direttamente all'orecchio, per non farsi sentire da quello che aveva appena rinominato Culo-a-papera. Era la prima cosa che aveva notato quando il moro aveva dato loro le spalle: ancheggiava con il sedere volutamente sporto all'indietro in un patetico tentativo di attirare l'attenzione del ricciolino.
Proprio in quel momento, lui mise il braccio sulle sue spalle, per nulla intimorito dalla sua scontrosità.

«Non ho ancora capito se la tua ostilità dovrebbe infastidirmi o eccitarmi».

Il fatto che il ricciolino non mostrasse nessun interesse per Culo-a-papera riempì il petto di Louis di orgoglio. Era come se ci fosse una sorta di tacita sfida tra lui e il moro e Louis era sempre stato, fin da bambino, molto competitivo. Indipendentemente dal premio in palio, lui doveva vincere.
«Dovrebbe spaventarti» spiegò, addolcendo il tono.

L'altro scoppiò a ridere e Louis, quella volta, non protestò.

Culo-a-papera li stava guidando attraverso la cucina e, prima che Louis potesse fare una qualunque domanda, si ritrovò all'aperto, in quello che sembrava un giardinetto privato, stretto intorno a un muro su ogni lato. Al centro, era posizionato un gazebo in ferro battuto nero, ricoperto da un telo impermeabile di un tenue color panna, e quattro teli laterali dello stesso colore legati ai sostegni della struttura.

«Accomodatevi, torno tra poco» li invitò il moro indicando il tavolo sotto il gazebo. Era in legno, circondato da quattro sedie coordinate, con un enorme cuscino su ciascuna di esse.

Si sedettero uno di fronte all'altro. Louis, pur notando come lo spilungone lo osservasse con curioso interesse, prese a guardarsi attorno, attratto dalle lucine appese su tutto il perimetro del gazebo.

«Hai avuto un incontro ravvicinato anche con lui?» ruppe il silenzio riportando lo sguardo sul ricciolino.

«Come?»

«C'è stato qualcosa tra te e Culo-a-papera?»

La domanda uscì molto più velenosa di quanto volesse o avesse il diritto di fare, così cercò di camuffarla tamburellando le dita sul tavolo e sistemandosi meglio sulla sedia. Aveva d'istinto abbassato lo sguardo sulla sua mano ancor prima di terminare la domanda, temeva di leggere negli occhi dell'altro qualcosa che non gli sarebbe piaciuto o che gli sarebbe piaciuto troppo.

«Culo a p...» scoppiò a ridere l'altro. Batté ripetutamente una mano sul legno mentre con l'altra si teneva la pancia.

Louis ammirò quella scena per qualche secondo e si lasciò contagiare dall'allegria del ricciolino abbozzando un sorriso.

«Ma l'hai visto come camminava?» spiegò, come se il motivo del nomignolo fosse ovvio.

«No, non gli ho guardato il culo».

«Lui te l'ha guardato, invece. Più volte. E poi ha cercato di attirare la tua attenzione mettendo in mostra il suo» commentò fingendo disinteresse.

Lo spilungone strinse le labbra e arricciò il naso. Poi, appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo e si sporse in avanti, verso Louis. «È questo che ti dà fastidio?»

Lo scricchiolio della porta del locale interruppe i loro sguardi e li fece spostare sulla figura che li stava raggiungendo. Il moro portava due piatti su un braccio e una lattina di birra e una bottiglietta d'acqua con l'altra mano. Sistemò entrambi i piatti davanti al ricciolino, poi si occupò delle bibite.

«Lumière» esordì porgendogli l'acqua con un sorriso smagliante e forse la speranza di riceverne un altro in cambio. Il ricciolino, però, lo ringraziò allungando appena le labbra, senza scoprire i denti in un vero sorriso.

«Tockins» si rivolse poi a Louis, con una visibile smorfia di fastidio, mentre gli tendeva la birra.

Louis non lo ringraziò né lo guardò oltre. Attese che il moro si allontanasse, poi ispezionò con cura il cibo di fronte a sé. Aveva un aspetto molto invitante: il doppio cheeseburger era più grande di quanto si aspettasse e la porzione di patatine era talmente abbondante da riempire un intero piatto a parte, con maionese e ketchup che ricoprivano gran parte dei bastoncini dorati, proprio come piaceva a lui. Sentì lo stomaco gorgogliare in segno di apprezzamento e rimase in attesa di veder spuntare di nuovo il moro con in mano il suo cibo. Invece, appena la porta della cucina si richiuse, lo spilungone spinse i piatti nella sua parte di tavolo, augurandogli buon appetito.

Louis lo guardò con espressione confusa.

«Chris è sempre molto generoso nelle porzioni quando sono io a ordinare» ammise con un po' di imbarazzo.

«Ma davvero?»

Era palese che Chris volesse compiacerlo con ogni mezzo a sua disposizione, quello che davvero colpiva Louis era che il ricciolino sfruttasse la sua cotta a proprio favore, non gli sembrava proprio il tipo.

«Prova a prenderti per la gola, oltre che mettendo in mostra il didietro, e tu lo ripaghi approfittando della sua generosità per far colpo su un altro» addentò un paio di patatine come nulla fosse.

«Sto solo ripagando il mio debito, non ti montare la testa» spiegò l'altro con tono deciso e un ghigno divertito.

«Però hai scelto proprio questo posto. Cos'è, vuoi farlo ingelosire con la mia presenza?»

«Chris non mi interessa, ma qui fanno i migliori panini di Londra e, per rispondere alla domanda di prima: no, non c'è mai stato niente tra noi».

Fissò a lungo Louis con sguardo serio. Così intenso che Louis smise di masticare e, per un attimo, si perse nei suoi occhi. Notò, grazie alle luci che illuminavano l'intero gazebo, che erano verdi come la felce e il muschio, come il bosco dopo la pioggia.

*H*

«Lumière e Tockins?» si schiarì la voce prima di riportare lo sguardo al panino, preparandosi ad addentarlo.

«Sì, perché?» risposi con una fastidiosa vocina da cartone animato.

«Un candelabro e un orologio».

Mi stupì riconoscendo ancora una volta i personaggi, senza incertezze.

«Sì, perché?» ripetei con la stessa intonazione.

«Glieli hai suggeriti tu?» sporse il mento verso la porta della cucina, a intendere chi ci aveva servito pochi minuti prima.

«Sì, perché?» replicai la vocina ancora, instancabile.

«Smetti di imitare Olaf, sei ancora più irritante di lui» borbottò prima di deglutire ciò che aveva in bocca.

Restai a bocca aperta. Non mi aspettavo che uno come lui fosse informato sui personaggi dei cartoni, che fosse addirittura in grado di riconoscerne uno solo dalla mia, neanche troppo fedele, imitazione era del tutto impensabile.

«Non provare a offendere Olaf, è il mio personaggio preferito».

«Ti si addice, in effetti. A parte per l'altezza» bofonchiò a bocca piena, tenendo il panino a mezz'aria.

«Non sarà mica un complimento, vero?»

«Certo che no» ridacchiò, guadagnandosi un innocuo calcio allo stinco per cui non mancò di lamentarsi.

«Se vuoi puoi essere Sven, è l'unico modo che hai per essere più alto di me» lo stuzzicai rubandogli qualche patatina.

«Ecco, mancava la renna. Mi hai praticamente affibbiato un intero zoo. Vuoi aggiungere anche Iago, il pappagallo?»

«No, lui è cattivo per gran parte del tempo. Tu non lo sei».

Lui sospirò. «Come fai a dirlo? Non mi conosci».

«Hai gli occhi buoni».

Si rifugiò dietro un lungo sorso di birra e si diede una leggera pacca sul petto come per facilitare il passaggio del boccone lungo l'esofago. Gesto che non mi distrasse abbastanza da non notare il rossore apparso sulle sue guance. Quanto tempo era che quel ragazzo non riceveva apprezzamenti sinceri?

«Tu non prendi niente?» cambiò subito discorso, evitando con attenzione i miei occhi che lo scrutavano con curiosità.

«Non ho fame».

«Non sarai uno di quelli fissati con il conteggio delle chilocalorie?»

«Cosa te lo fa pensare?»

«Sembri uno che sta attento alla linea» lanciò uno sguardo alla bottiglietta che avevo appena riappoggiato sul tavolo dopo aver preso un sorso.

«Questo è un modo per dire che mi trovi in forma?»

L'idea che avesse osservato il mio corpo mi piaceva da impazzire, non volevo restargli indifferente. Volevo che lui provasse la mia stessa assurda e prematura voglia di toccarlo, di baciarlo. Che anche lui sentisse una mano invisibile spingerlo nella mia direzione, come una calamita che ha trovato il suo polo opposto.

«Mi piace mangiare sano ma non sono ossessionato dall'idea di prendere peso» chiarii cercando di mettere un freno alla mia immaginazione.

A dimostrazione della mia tesi, presi un'altra patatina dal piatto. «A quanto vedo, neanche tu» aggiunsi rubandogliene una seconda.

«Perché non te ne fai portare una porzione dal tuo amico Culo-a-papera invece di rubare le mie?» brontolò, circondando il piatto con il braccio.

«Bastano per almeno due persone» protestai quando il terzo attacco venne bloccato.

Alzò le spalle e continuò a mangiare proteggendo gelosamente il piatto.

Appoggiai la schiena alla sedia, concedendogli una tregua. Attesi pazientemente che tornasse a dedicarsi al suo panino e lasciasse il suo obiettivo incustodito per poi agire.

«Sei più ingordo di Gas Gas» lo accusai prima di fiondarmi sul piatto, afferrare una bella manciata di patatine e allontanarmi di nuovo.

«Ma quanti cartoni conosci? Ce n'è uno che tu non abbia visto?»

Il tono sembrava essere accusatorio ma l'espressione con cui mi guardava era piuttosto un mix tra sorpresa e curiosità.

«Sembra che tu sia preparato quanto me».

«Io ho quattro sorelle e un fratello, tutti più piccoli di me. La tua scusa qual è?»

Lo sapevo. Sotto tutta la freddezza, la determinazione che voleva spacciare per arroganza e lo sguardo annoiato di chi sembra non stupirsi più di fronte a niente ma che invece nasconde la ricerca di qualcosa che non riuscivo ancora a comprendere, ero sicuro ci fosse la parte più vera di lui. La stessa che scorsi nella dolcezza del suo sguardo mentre nominava i fratelli.

Volevo vederla mille altre volte, quella luce. Volevo che accendesse quegli occhi blu oceano e regalasse loro una sfumatura chiara come quella del cielo.

«Parlami di loro» lo invitai, senza preoccuparmi di risultare invadente. Ero affamato della sua storia, di tutto ciò che avrebbe accettato di condividere con me.

«Perché?»

«Perché no?»

Mi preparai a elencare una lunga serie di motivazioni con cui convincerlo a raccontare qualcosa della sua famiglia, sarei stato disposto a pregarlo se non fossero bastate. Ma lo sconosciuto, contro ogni aspettativa, cominciò a parlare senza bisogno di ulteriori insistenze. E più parlava, più a illuminarsi non erano solo i suoi occhi ma anche il sorriso e l'intero volto.

Non riuscimmo ad avviare un vero e proprio scambio di confidenze però, perché Chris apparve con un sorriso così ampio da fare concorrenza allo Stregatto interrompendo il racconto dello sconosciuto di quando aveva portato al parco i suoi fratelli l'ultima volta che era andato a trovarli.

«Ragazzi, tutto a posto? Posso portarvi altro?»

Avevo sempre trovato piacevole scambiare quattro chiacchiere con Chris ma non quella volta.

«Benissimo. Grazie, Chris» mi sforzai di rispondere educatamente nonostante la finta e per niente disinteressata gentilezza che ci stava riservando. Perdere tempo con lui era davvero l'ultima cosa che volevo fare.

Sentivo su di me lo sguardo di entrambi i ragazzi ma gli occhi di cui mi importava davvero non erano quelli che ero costretto a guardare in quel momento.

«Vi dispiace se mi unisco a voi per la mia pausa sigaretta?»

Lanciai uno sguardo allo sconosciuto, l'espressione rilassata di pochi istanti prima sembrava un lontano ricordo. La facciata di indifferenza e altezzosità era tornata al suo posto insieme alla mascella contratta. Era giunto il momento di porre fine a quella situazione scomoda.

«In realtà io e Tocky stavamo proprio per andarcene» dissi alzandomi in piedi. «Grazie ancora, Chris».

Non gli diedi modo di pronunciare più di un verso di sorpresa che avevo già preso lo sconosciuto per un braccio e lo stavo trascinando verso la porta che riconduceva alla cucina.

Lui sembrò sollevato per quella via di fuga ma non si lasciò sfuggire nessun ringraziamento. Anzi, ritrasse il braccio come se la mia mano fosse infuocata non appena rientrammo in cucina e tenne la testa bassa mentre ripercorrevamo il locale a ritroso.

«Così è questa la tua tattica» dichiarò con freddezza una volta toccato il marciapiede davanti all'ingresso.

Era distaccato o almeno era quello che voleva dare a vedere – ormai avevo capito che quello fosse il suo modo di difendersi – ma quando mi fermai a osservarlo con più attenzione notai qualcos'altro nei suoi occhi. Sembrava... delusione?

«Tattica?»

«Ottimo cibo, semplice e non impegnativo, gazebo sul retro, luci soffuse, atmosfera romantica. Poi arriva il tuo amico a disturbare e tu diventi l'eroe che salva la principessa dall'orco cattivo e lei per ringraziarti ti dà il bacio della buonanotte o ti invita direttamente al suo castello».

Non me lo aspettavo. No, proprio non mi aspettavo di scatenare una reazione del genere. Il suo ragionamento era così assurdo da farmi rimanere qualche secondo a fissarlo senza parole. E quando, oltre la delusione, vidi un barlume di speranza in fondo ai suoi occhi, capii che mi stesse mettendo alla prova. Voleva testare quanto fossi disposto a sopportare. Ma perché? Aveva forse incontrato solo stronzi che l'avevano ferito in passato e ora teneva a distanza chiunque per difendersi da eventuali altri stronzi, trasformandosi a sua volta in uno stronzo?

«Wow. Ti impegni sempre così tanto a travisare la gentilezza altrui o è una dote naturale?» sospirai amareggiato. Scossi la testa nel tentativo di scrollarmi di dosso la frustrazione prima di continuare. «Non sono le lucine a rendere romantico un luogo, sono le persone che hai attorno; è il modo in cui ti fanno sentire in quel momento a fartelo percepire romantico e quindi a renderlo tale».

«Tutto merito tuo, certo» ribatté con sarcasmo.

«Se fossi stato con una delle tue sorelle o con un tuo amico, l'avresti considerato ugualmente romantico?»

«Sì» rispose velocemente. Forse troppo perché la risposta sembrasse debitamente ponderata.

«Stai mentendo, e lo sai» sorrisi ma tornai subito serio.

Fino a quel momento avevo scherzato, abbozzando e sopportando i toni e gli atteggiamenti spinosi dell'altro ma, essere accusato di averlo ingannato per tutto il tempo solo per portarlo a letto, era davvero ingiusto e non potevo liquidare la cosa con una semplice battuta o una risata. «Avevamo pattuito un panino in cambio del tuo aiuto per liberarmi di Nick e un panino è quello che ti ho offerto. Ti ho portato in giardino solo perché il locale era pieno e non volevo farti mangiare in piedi. E sì, lo ammetto, volevo scambiare due parole con te e il gazebo mi sembrava il luogo perfetto per evitare di dover urlare per sentirci ma, se preferisci, puoi pensare che fosse tutto organizzato e crogiolarti nell'idea che tutti quelli che incontri siano dei bastardi che vogliono ottenere qualcosa da te. Di sicuro, però, sei tutto fuorché una principessa in pericolo e mi sembra che tu sappia difenderti da solo da qualunque orco cattivo. Persino quando l'orco non c'è».

Usai un tono neutro, senza alcun entusiasmo e senza rancore. Ci ero rimasto un po' male, sì, ma avevo intuito che quel ragazzo fosse spaventato come un felino che viene braccato e finisce in un vicolo cieco. Attaccarlo lo avrebbe fatto agitare di più. Io, invece, volevo dargli una via d'uscita e fargli capire che se non teneva sotto controllo gli artigli, era in grado di fare ancora più male dei suoi stessi bracconieri e rischiava di colpire anche a chi non stava cercando di catturarlo.

«Io non—»

«Lascia stare» con un debole sorriso alzai una mano a bloccare qualsiasi cosa stesse cercando di dire. «È stato un piacere, Tocky. Almeno per me. Buonanotte».

Mi strinsi nel giacchetto e, senza aspettare un saluto in risposta, mi allontanai.

Stavo andando dalla parte sbagliata, seguivo un istinto. Appena usciti dal locale, lo sconosciuto aveva mosso qualche passo verso quella direzione e volevo giocarmi il tutto per tutto. Avrei continuato a camminare per un po' e, se la mia intuizione fosse stata corretta, lui mi avrebbe seguito per rientrare a casa, cosa che mi avrebbe dato un'altra occasione per parlarci e magari scoprire qualcosa in più sul suo conto. Non sapevo perché, ma sentivo di non doverlo lasciare andare.

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