20.
*L*
Come aveva potuto andarsene in quel modo? Senza combattere. Tirandosi indietro prima ancora di iniziare. Si era presentato senza calzoncini né guantoni e dopo un'occhiata si era rifiutato di salire sul ring e aveva lasciato l'arena. Non poteva essere considerata una sconfitta, né un vero e proprio abbandono. Sembrava piuttosto che si fosse reso conto di essere nel posto sbagliato, come se lui e Louis praticassero due sport diversi. Pugilato contro scacchi. Taekwondo contro pattinaggio sul ghiaccio.
Se non fosse stato per l'innata e irrecuperabile goffaggine di Harry, Louis l'avrebbe visto bene a pattinare: la sua figura slanciata che si librava nell'aria gelida della pista, le sue lunghe gambe messe in risalto dai pantaloni attillati, i suoi capelli accarezzati dal vento.
Sorrise ma non durò che un breve istante. La leggerezza che sentiva ogni volta che pensava a Harry veniva presto spazzata via da un opprimente senso di rabbia e tristezza.
Tornò a prestare attenzione a ciò che la sua bay window aveva da offrirgli ma non vi trovò conforto. C'era di nuovo il bambino con i capelli chiari a caschetto, quello che gli ricordava l'Harry di molti anni prima, chiuso con lui in uno scantinato umido.
Sbuffò e batté un paio di volte la fronte contro il vetro, nel tentativo di concentrarsi su qualcosa che non riguardasse lui ma come avrebbe potuto quando era seduto sulla panca della finestra che Harry amava tanto?
«Suggerisco di provare contro il muro e con maggiore forza. Se vuoi posso darti una mano».
Quella voce fragorosa gli strappò la brutta copia di un sorriso ma la sorpresa di trovarselo di fronte offuscò la gioia di rivederlo. Non che glielo avrebbe mai confessato ma... in fondo gli piaceva la sua compagnia. Era chiassoso e spesso troppo attivo per i suoi gusti, ma anche fonte inesauribile di allegria. «Niall».
«Vedo che te la passi bene» lo punzecchiò.
«Benissimo» confermò Louis prima di tornare a osservare il parco. Non aveva voglia di affrontare anche lui, gli bastavano le continue occhiate di disapprovazione di Liam.
«Devo dire che sono un po' deluso».
«Non è vero». Niall l'aveva accusato dal primo istante di essere un opportunista, ora non poteva essere sorpreso di come erano andate le cose. «L'hai detto fin dall'inizio, no?»
«Pensavo di trovarti al sicuro, avvolto nella tua bolla di strafottenza, pronto a ridermi in faccia per essere riuscito a prenderci in giro tutti, a farci credere di essere qualcuno che non sei e invece...»
Louis non disse niente, lo sguardo puntato sempre oltre il vetro.
«Tu non lo sai più chi sei» continuò Niall. «Forse non l'hai mai saputo ma senza Harry non riesci più a riconoscere neanche il tuo riflesso, non è così?»
Proprio perché sapeva chi era, Louis aveva allontanato Harry. Ma Niall non poteva capire.
«Perché sei qui, Niall?» alzò gli occhi su di lui, la rabbia che stava montando come lava in fondo a un vulcano in procinto di eruttare. «Dimmi che avevi ragione, che sono lo stronzo approfittatore che hai sempre pensato io fossi e facciamola finita».
Niall lo guardò quasi con tenerezza. «Sono venuto a portarti questa».
Si avvicinò alla seduta su cui Louis era rannicchiato e posò un foglietto ai suoi piedi. «Attaccala allo specchio del bagno così ogni mattina potrai ricordarti ciò che avevi e che hai buttato via».
Era una foto: al centro, lui e Harry erano seduti sul microscopico divano di quest'ultimo. Sul margine sinistro Niall, ripreso per metà e di lato, stava tentando di scappare dopo aver rubato il pacchetto di patatine dalle mani di Harry che, visibilmente contrariato, si era allungato verso l'amico nel tentativo di bloccare la sua fuga. A destra invece, erano visibili solo le gambe di Liam, in fase di caduta, perché Louis l'aveva appena spinto fuori dal bracciolo su cui si era appollaiato mentre stringeva una bottiglia di birra e sorrideva all'obbiettivo come nulla fosse. Non era una foto da album, una di quelle in cui tutti si abbracciano e sorridono al fotografo perfettamente impostati. Era un'istantanea della loro spontaneità, della naturale confusione delle loro serate di cazzeggio.
Louis sospirò. «Non posso tornare con lui».
«Il fatto che tu veda lui prima di ogni altra cosa dovrebbe già farti capire tutto ma è un'altra la persona in primo piano e io mi riferivo a quella».
L'unico a essere stato immortalato per intero e frontalmente era proprio Louis. Aveva un sorriso così ampio e genuino da risultare quasi abbagliante. Forse era il calore della mano di Harry appoggiata alla sua gamba a farlo risplendere così, o forse era la semplicità di una caotica serata tra amici. Non ricordava quale fosse la causa, ma ricordava di essersi sentito completo, appagato come mai prima di allora.
«Ci vediamo, Louis» lo salutò che era già di spalle.
«Aspetta» lo richiamò Louis. «Lui come sta?»
«Benissimo» ripeté la stessa parola che Louis gli aveva rifilato poco prima.
Sventolò la mano in aria mentre usciva dalla stanza e Louis tornò a fissare il rettangolo tra le sue dita.
*H*
«Ripetimi cosa ti ha detto esattamente» lo pregai.
«Quello che ho finito di dirti circa dieci secondi fa e che ti ho già ripetuto un milione di volte» rispose Niall, seccato, dal sedile del passeggiero davanti.
«Dimmelo ancora» insistetti. «Una volta in più che differenza fa?»
Si girò sbuffando e mi mise una mano sopra il ginocchio per fermare il movimento incontrollato della gamba sana. «Ti devi dare una calmata». Non era un suggerimento, né un tentativo per tranquillizzarmi. Mi stava minacciando di buttarmi fuori dall'auto in corsa se non ci avessi dato un taglio.
«Come se fosse facile» borbottai sottovoce, sperando non mi sentisse.
«Infatti non saresti dovuto venire. Liam ha volutamente chiamato me, indovina perché?» ribatté spazientito.
I ruoli si erano invertiti per la prima volta da quando io e Niall ci conoscevamo. In quel momento, ero io la spina nel fianco e lui quello che cercava di farmi ragionare. Non ero abituato a lasciarmi dominare totalmente dalle emozioni e la cosa mi mandava fuori di testa al pari dell'eventualità che lui fosse nei guai. Ero cosciente che non fosse affar mio – non più – ma non riuscivo a tenere a bada l'agitazione che mi stava attanagliando lo stomaco. Ed essere così in pena per qualcuno che mi aveva respinto con modalità e tempistiche da vigliacco, mi faceva sentire patetico. Terrorizzato a morte e patetico. Un'accoppiata che non pensavo avrei mai conosciuto.
Quella sera avevo ceduto all'invito del mio coinquilino di condividere con lui una molto poco salutare cena take away dal suo pub preferito guardando una delle commedie che tanto amava. Visto che la gamba ancora in guarigione non mi permetteva di uscire all'infuori delle sessioni di fisioterapia, non potevo non concedergli un po' di compagnia almeno nel weekend.
Mi aveva permesso di passare svariati giorni in un silenzio quasi totale, nessuna battuta per tirarmi su il morale, nessun te l'avevo detto e, soprattutto, neanche una parola sull'accaduto a mia madre. Avevo davvero apprezzato il suo inaspettato tatto, mi sembrava giusto ricambiare.
Mi stavo lavando le mani in bagno dopo aver divorato la mia abbondante porzione di patatine fritte quando l'avevo sentito rispondere al cellulare. Non avevo idea di chi fosse il suo interlocutore ma il repentino cambio nel suo tono di voce mi aveva allarmato. Dal solito frizzante e rumoroso accento irlandese a un inedito parlottare grave e sommesso in un battito di ciglia.
Zoppicando verso il salotto, avevo trovato Niall intento a infilarsi le scarpe e a scorrere la rubrica del cellulare alla ricerca del numero della compagnia di taxi con un'urgenza che non gli avevo visto nemmeno quando aveva rischiato di perdere l'aereo per tornare in Irlanda per la festa di S. Patrizio, una colpa paragonabile, a detta sua, a un delitto efferato.
In attesa di parlare con un operatore, mi aveva rifilato un'affascinante storia secondo la quale un suo amico era in difficoltà e gli aveva chiesto di raggiungerlo in un locale. Storia tutto sommato credibile ma che non spiegava la sua crescente inquietudine e il suo imprecare quando aveva scoperto che non ci fossero mezzi a disposizione prima di un'ora.
«Non puoi andare in metro?» suggerii raccattando i cartoni del take away sul tavolo.
«No, il posto è fuori città e la metro chiude tra poco».
Potevo vedere gli ingranaggi del suo cervello girare all'impazzata, il cortocircuito dietro l'angolo.
«Perché non chiedi al tuo amico dell'università... quello che porta sempre il cappello anche d'estate...?»
«Colin?»
«Sì, Colin. Chiedigli di prestarti la sua auto, se non sbaglio abita a pochi isolati da qui».
«L'ha venduta un mese fa» si passò una mano tra i capelli con frustrazione. «Cazzo, cazzo, cazzo».
Qualcosa non tornava. La situazione che mi aveva descritto non dava l'dea di essere, almeno sulla carta, così grave da causare una reazione del genere.
«Qual è il problema del tuo amico?»
«Ha bisogno di me» tagliò corto muovendosi in circolo nel piccolo spazio davanti al divano.
«Se si sente male forse è il caso di chiamare un'ambul—»
«Harry, ti prego. Mi serve solo una dannata auto!»
«Ok, ok» alzai le mani in segno di resa. «Liam possiede una macchina» la buttai lì, con finta noncuranza, scacciando l'inevitabile pensiero corso a Louis. Sapevo che Liam e Niall continuavano a frequentarsi di tanto in tanto quindi non sarebbe stata una richiesta assurda da parte sua.
«È a Manchester con la sua macchina proprio in questo momento, accidenti!» sbraitò il mio amico.
«Come fai a sapere tutti questi dettagli?» mi venne spontaneo chiedere mentre riponevo le posate e i bicchieri sporchi nel lavello. Quando mi voltai e incrociai i suoi occhi, il velo di ingenuità che aveva filtrato la nostra conversazione fino a quel momento cadde.
Se avessi avuto qualcosa tra le mani, sarebbe caduto anche quello. «Era Liam al telefono» borbottai assorto, come nel mezzo di un calcolo fatto ad alta voce. «È successo qualcosa a Louis e lui non può raggiungerlo».
«Harry, no».
«Niall! È Louis che ha bisogno di aiuto? Dimmi dov'è».
Per quanto si affannasse a negare e inventare scuse, sapevo di non sbagliarmi e a quel punto sarebbe stato impossibile per lui nascondermi la verità.
Incurante della sua voce che mi ripeteva di starne fuori e che se ne sarebbe occupato lui, avevo afferrato il mio telefono e chiamato l'unica persona che poteva aiutarci.
~
Il tragitto fino al locale fuori città dove Louis, ubriaco, aveva scatenato una specie di rissa ed era stato buttato fuori, fu interminabile. A quanto pareva, era stato un frequentatore assiduo di quel posto in passato e uno dei buttafuori aveva chiamato Liam, come ai vecchi tempi, perché andasse a riprenderlo prima che si mettesse in guai peggiori. Purtroppo Liam non era a Londra quella sera così, disperato, si era rivolto a Niall sapendo che si sarebbe mosso senza troppe obiezioni. Gli aveva chiesto di non coinvolgermi, vista la situazione tra noi, e Niall ci aveva provato davvero ma l'unico che poteva tenermi lontano da Louis, era Louis stesso.
Il J&J's era in una zona industriale poco frequentata, non ti ci potevi imbattere per caso, lo trovavi solo se sapevi dove andare. Sbagliammo strada un paio di volte prima di ritrovarcelo davanti, con la sua insegna rossa illuminata a intermittenza. Assomigliava a uno di quei squallidi motel dei film.
Repressi l'inaspettato senso di nausea che aggredì il mio stomaco all'idea che Louis fosse solito andare in quel locale e che fosse ricaduto nelle vecchie abitudini; mi concentrai nell'uscire dall'auto senza inciampare nelle maledette stampelle che Niall mi aveva costretto a portare con me.
Il buttafuori all'ingresso ci indirizzò verso il vicolo alla nostra sinistra e fu lì, abbandonato a terra contro il muro accanto ai bidoni della spazzatura, che lo trovammo.
«Louis».
Camminai poggiando entrambi i piedi, quasi sul punto di abbandonare le stampelle a terra nonostante le fitte di dolore alla gamba ancora fasciata.
Ignorai Niall che mi intimava di non sforzare la gamba e mi accovacciai come potevo accanto al corpo semi cosciente di Louis. «Lou» lo richiamai scuotendolo per le spalle.
Niall lo schiaffeggiò un paio di volte prima che lui si muovesse e aprisse incerto gli occhi.
«Harry» biascicò non appena mise a fuoco. Puzzava di alcol, aveva un livido sulla guancia destra e un filo di sangue rappreso che gli colava da un labbro. «Che ci fai qui?»
«Ti portiamo a casa» dissi cercando di non far trapelare il dolore che sentivo nel vederlo in quello stato.
Solo allora sembrò rendersi conto della presenza di Niall al mio fianco. «Gnomo, anche tu qui?»
«Finalmente qualcuno riesce a dartele, non potevo perdermelo per nulla al mondo» scherzò per alleggerire l'atmosfera e forse anche il peso al centro del mio petto.
«Perché non hai visto in che condizioni è l'altro» ribatté lui con un mezzo sorriso.
Avrei voluto cancellarglielo a furia di baci. E poi disinfettargli le ferite e accarezzargli la pelle escoriata, lavargli via lo sporco dai capelli e l'odore di vomito e spazzatura dai vestiti prima di stringermelo addosso e addormentarci sotto le stesse coperte. Invece, mi raddrizzai e schiarii la voce. «Vieni, Lou. Appoggiati a me».
Lo presi per un braccio e provai a tirarlo verso l'alto. Non riuscii a trattenere una smorfia di dolore mentre mi rialzavo e cercavo di mantenere l'equilibrio sulla sola gamba sana.
«Lasciami» disse Louis con un filo di voce. Sembrava esausto.
Quando però provai ad avvicinarmi di nuovo, non trovai stanchezza nei suoi occhi. «Ho detto lasciami». Era arrabbiato.
Perché? Il senso di sollievo che avevo captato nella sua voce quando mi aveva riconosciuto era solo frutto della mia immaginazione?
«Louis, voglio solo aiutarti ad alzarti».
«Non l'hai ancora capito? Non voglio il tuo aiuto, Harry. Vattene!» scacciò malamente il mio braccio.
Guardò Niall in una muta supplica e non mi calcolò per il resto del tempo. Non mi rivolse una parola mentre Niall lo rimetteva in piedi e gli circondava il busto per tenerlo dritto, né un'occhiata dopo essersi piegato a vomitare qualche passo più in là. Rifiutò persino il fazzoletto che avevo provato ad allungargli, preferendo darsi una ripulita con la manica del giacchetto di jeans chiaro che io adoravo.
Mi stava rifiutando in ogni modo possibile ma l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che arrivasse a casa sano e salvo. Non mi importava del pugnale stretto tra le sue mani che continuava a trafiggermi le costole a cadenza regolare, volevo solo togliergli i vestiti umidi di dosso e riscaldare il suo corpo gelido.
Rimasi a distanza, adattandomi alla loro andatura come una guardia del corpo – malandata – che segue il suo vip. Non obiettai quando Niall mi disse di salire davanti lasciando che lui e Louis si sistemassero nei sedili posteriori.
Chris ci attendeva davanti all'ingresso con l'auto ancora in moto. Aspettò che l'ultimo sportello si chiudesse e ripartì senza dire nulla ma non potei non notare la sua espressione di disgusto quando vide Louis accasciarsi contro il finestrino.
«Tutto ok?» bisbigliò nella mia direzione posandomi una mano sulla coscia.
Feci cenno di sì ma non osai aprir bocca.
Pochi secondi dopo Louis scoppiò a ridere. Una grassa e prolungata risata isterica. «Guarda guarda chi abbiamo qui, il buon vecchio Culo-a-papera ci ha onorati della sua presenza, ma che gentile».
Trasalii.
Chris mi lanciò un'occhiata furente, pronto a controbattere e demolire quello scricciolo di uomo ingrato. «Ti prego» mimai con le labbra e scossi la testa.
Louis rise di nuovo. «Mascella d'asino dove l'hai lasciato, Harry, nel bagagliaio? Pensa, avresti tutti gli uomini della tua vita in un'unica auto».
Mentre lui mi feriva, ancora e ancora, io riuscivo solo a pensare che di uomo della mia vita ce n'era uno solo, o almeno così avevo creduto.
Non mi girai, non volevo mostrargli quanto le sue parole mi stessero facendo male. Ero già provato dall'indifferenza con cui mi aveva lasciato due settimane prima e dalla rabbia che mi aveva riservato nel vicolo, oltre che fisicamente indebolito dall'incidente.
Vidi Chris serrare la presa sul volante e sentii un verso di disapprovazione risalirgli la gola. Allungai un braccio verso la radio e alzai il volume in modo da coprire le risa di scherno e la voce di Niall che gli intimava di piantarla.
«Un tuo cenno e lo faccio a pezzi» disse Chris.
«Lascia stare» lo supplicai.
Mi spostai meglio contro il vetro in modo che la gamba fosse distesa, chiusi gli occhi e lasciai che un paio di lacrime mi rigasse una guancia.
*L*
Era la terza doccia della giornata. Si sentiva ancora sporco nonostante avesse messo a lavare sia i vestiti che le lenzuola su cui era crollato la sera prima tra un insulto e l'altro dello gnomo irlandese. Meritati tutti dal primo all'ultimo.
Non ricordava le esatte parole, ma sapeva di essersi comportato da vero stronzo con Harry. E lui proprio non se lo meritava. Non solo per tutto quello che gli aveva dimostrato nei mesi passati insieme o per l'amore con cui l'aveva sempre trattato, ma anche per non avergli voltato le spalle neppure nel suo momento più basso, quando avrebbe avuto il diritto di farlo e di godere della sua caduta.
Louis l'aveva ripagato maltrattandolo, scacciandolo come fosse una mosca fastidiosa, infierendo più volte su un'anima e un corpo già provati, sempre per causa sua.
Sentiva catrame al posto della pelle e l'unica cosa che voleva fare era lavarlo via insieme alla serata precedente e infilarsi in una delle tute di Harry rimaste nel suo armadio.
Quando andò a cercarle e non ne trovò nessuna, quasi impazzì. Era certo di averle viste un paio di giorni prima sul ripiano a destra e di non averle toccate da allora. Come potevano essere sparite?
La notte passata era stato Niall a riaccompagnarlo in casa e a scortarlo fino alla sua camera, possibile che Harry fosse salito con loro e avesse ripreso i vestiti senza che lui se ne accorgesse? Certo, non avrebbe potuto biasimarlo visto come si era comportato, ma non ce lo vedeva Harry che si intrufolava di nascosto e cancellava così le ultime tracce della sua presenza. E gli sembrava ancora più strano che avesse incaricato Niall di farlo al suo posto.
No, non era possibile. Quelle tute dovevano essere lì da qualche parte.
Svuotò i cassetti, fece cadere i vestiti appesi alle grucce e liberò tutti i ripiani: nessun indumento appartenente a Harry. Con un gemito strozzato si accasciò a terra, stremato. L'aria divenne improvvisamente rarefatta e la stanza buia.
Si accorse di Liam alle sue spalle solo quando udì la sua voce. «Che diavolo stai combi...? Louis, stai bene?» si accovacciò al suo fianco.
Louis non rispose, troppo impegnato a cercare l'ossigeno per riempire i polmoni. Stringeva tra le mani la sciarpa che Harry gli aveva regalato perché diceva che metteva in risalto i suoi occhi. Quella era l'unica cosa che gli era rimasta di lui. E, come sempre, era solo colpa sua.
«Ok, Louis, io sono qui vicino a te. D'accordo?» riprovò Liam con tono fermo.
Cenno affermativo.
«Se vuoi, ti aiuto ad alzarti» aggiunse, sistemandosi meglio al suo fianco.
Cenno negativo.
«Va bene. Allora che ne dici di concentrarti sul mio respiro? Puoi provare a seguire il mio ritmo?»
Cenno affermativo.
Liam aveva assistito a uno dei suoi attacchi di panico solo un'altra volta ma in passato l'aveva tirato fuori da situazioni altrettanto delicate e riusciva sempre a non perdere la testa.
La scena restava comunque allarmante: due ragazzi, seduti sul pavimento di una cabina armadio messa a soqquadro, la schiena di entrambi appoggiata allo scheletro di una cassettiera, intenti a inspirare ed espirare come due sub prima di immergersi a grandi profondità.
Allarmante ma significativa. Era il perfetto specchio dello stato d'animo di Louis: tutto il suo mondo era crollato, riverso in pezzi attorno a sé mentre lui annaspava alla ricerca d'aria.
Poi, come l'argine di un fiume che si rompe, scoppiò a piangere. Di un pianto disperato, come quello di un bambino che ha perso la mamma e strilla per essere ritrovato.
Si portò le mani al volto e continuò a singhiozzare finché Liam non gliele scansò.
«È tutto sbagliato, Liam. Ho distrutto tutto con le mie stesse mani e non ho idea di come rimettere a posto le cose. Io... ho bisogno del tuo aiuto» ammise per la prima volta in vita sua.
Liam sorrise teneramente prima di abbracciarlo. «Direi di cominciare con l'alzarci da qui».
Quando Louis uscì dalla sua quarta doccia, più tardi, e vide la cabina armadio sistemata meglio di quanto fosse in precedenza e il biglietto da visita di uno psicologo sopra il letto, capì di dover smettere di viaggiare da solo perché in compagnia gli ostacoli facevano meno paura.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top