15.

*L*

«Ehi» salutò con un accenno di sorriso salendo gli ultimi gradini.
Niall, appena uscito di casa, incrociò lo sguardo di Louis ma non ricambiò il saluto. «Harry sta facendo la doccia» disse con un ghigno, poi sbatté la porta dietro di sé, afferrò il trolley ai suoi piedi e superò Louis come se non esistesse.
«Siamo già a questo punto» borbottò Louis prima di suonare il campanello. Non si aspettava di essere accolto con entusiasmo ma sperava di poter aver con lui un breve scambio di convenevoli. Essere ignorato non rientrava nei parametri affinché questo avvenisse.
Passò quasi un minuto ma Harry non venne ad aprire. Louis riprovò a suonare ma l'unico rumore che proveniva dall'appartamento era della musica in sottofondo. In quel momento capì che l'espressione compiaciuta di Niall aveva senso. Non gli era bastato lanciargli uno sguardo sprezzante, impedirgli di entrare in casa e passargli accanto come fosse trasparente, si era anche divertito a lasciarlo sul pianerottolo sapendo che Harry non lo avrebbe sentito.
Sospirò e inviò un messaggio per avvertire Harry del suo arrivo e sperò che controllasse il cellulare appena uscito dalla doccia. Non era da lui essere in anticipo ma era nervoso neanche dovesse incontrare la regina in persona. In quella settimana lui e Harry si erano visti ogni giorno: la sera dopo il lavoro Louis rientrava e trovava Harry ad aspettarlo seduto sul divano accanto a Liam. In qualunque modo fosse andata la giornata, Louis dimenticava tutto non appena incontrava gli occhi sorridenti di Harry, così lo trascinava in camera e finivano a passare l'ora e mezza successiva a baciarsi, stringersi e scoprirsi. Quando Harry si infilava le scarpe, segno che il tempo a loro disposizione era scaduto, Louis provava a trattenerlo. Odiava separarsi da lui e saperlo in giro di notte da solo lo agitava. Harry, se pur visibilmente a malincuore, rifiutava. Gli aveva spiegato che non aveva senso svegliarlo – Louis sentiva subito l'assenza di Harry al suo fianco e apriva gli occhi prima che lui riuscisse a sgattaiolare fuori dalla stanza – alle sei del mattino quando avrebbe potuto dormire almeno un altro paio d'ore e che passare a casa per cambiarsi e prendere le sue cose prima di andare a lezione era piuttosto scomodo. Louis lo sapeva, ma gli chiedeva lo stesso di restare perché sperava che cambiasse idea. Harry lo abbracciava e, forse per rendere la separazione più dolce, gli ricordava che avrebbero passato l'imminente weekend insieme.
A metà settimana, appena scoperto che Niall sarebbe tornato dalla sua famiglia, Harry aveva invitato Louis a raggiungerlo venerdì sera per una cena cucinata da lui e per Louis l'attesa sembrò più accettabile.
Così venerdì, appena terminata la lezione che teneva nella palestra a pochi isolati da casa sua, era corso a prepararsi come se qualcuno lo stesse cronometrando, aveva rubato una bottiglia di vodka dalla scorta di Liam e si era diretto all'appartamento di Harry senza controllare l'ora.
«Lou, aspetti da molto?» Harry lo accolse con indosso solo dei boxer neri e un asciugamano arrotolato in testa come un turbante. «Scusa, non mi sono ricordato di dirti che questo campanello non funziona, pensavo che avresti suonato il citofono esterno».
«Ho trovato il portone aperto e... apri la porta sempre svestito così?»
L'idea che chiunque potesse indugiare sulle sue linee, sulla sua pelle ricoperta di tatuaggi, gli procurava una fitta allo stomaco.
«Preferivi la prendessi con più calma e ti lasciassi qui fuori?» sorrise scostandosi per farlo passare e richiuse la porta alle loro spalle.
Louis si allungò sulle punte. «No» soffiò contro le sue labbra prima di unirle in un bacio leggero.
«Vedo che hai portato un'amica» Harry si discostò appena accarezzando il polso con cui Louis sorreggeva la bottiglia. «Festeggiamo qualcosa?»
Louis alzò le spalle. «Ero indeciso tra questa e un mazzo di fiori ma alla fine mi è sembrata la scelta più appropriata».
«Vuoi farmi ubriacare di proposito?»
«Forse. Sono sicuro saresti un ubriaco molto divertente».
«E non hai ancora visto quanto posso esserlo da sobrio...» gli mormorò all'orecchio come fosse un segreto.
L'aria tra di loro si caricò di un'improvvisa elettricità. Harry attaccò il collo di Louis, lambendolo con labbra e lingua mentre risaliva fino al lobo. Le gambe di Louis cominciarono a tremare, la presa sulla bottiglia a indebolirsi. Con la mano libera prese il mento di Harry e fece scontrare di nuovo le loro bocche, con più urgenza. Indifferente alla mancanza di ossigeno, continuò a divorare il suo respiro finché l'asciugamano di Harry cadde a terra liberando i lunghi capelli ancora bagnati.
«Devi smettere di provocarmi in questo modo ogni volta che esci dalla doccia».
«Dovrebbe essere un vantaggio: ci sono meno vestiti da togliere» sorrise lascivo.
Illegale. Le fossette a fare da cornice a quelle labbra peccaminose creavano dipendenza istantanea e non potevano che essere messe al bando. Ma di tutte le droghe che Louis aveva provato, questa era la più potente, la più economica e quella dai maggiori benefici per il corpo e la mente.
«Vai ad asciugarli» lo incitò con una pacca sul sedere. «Io metto in frigo questa».
Louis accettò l'invito di Harry a mettersi comodo e aprire una birra. Con il rumore del phon come sottofondo si mise a dare un'occhiata all'ambiente, alla ricerca di qualcosa che appartenesse a Harry. Quella era la prima vera occasione per Louis di farlo.
Osservando la fila di dvd sulle mensole non lontane dalla porta d'ingresso, sentì bussare. Attese qualche secondo ma il rumore dell'asciugacapelli non si fermò e un nuovo colpo lo convinse ad andare ad aprire. Magari Niall aveva dimenticato le chiavi e offriva a Louis la perfetta occasione per vendicarsi della sua inospitalità.
No, non si trattava Niall. Era la copia del sorriso di Harry quello che Louis vide spegnersi tra le labbra della donna sul pianerottolo. Stesso naso, lunghi capelli neri, occhi blu.
«Salve».
«Oh, ciao. Trovo... Harry è in casa?»
«Sì, certo» si fece da parte affinché entrasse. «Si sta asciugando i capelli» indicò col pollice il rumore proveniente dall'altra parte del corridoio.
Lei annuì e accennò un sorriso. «Io sono Anne, sua madre».
«Louis, piacere» rispose allungando la mano.
Non poté non notare gli occhi della donna sgranarsi e le labbra schiudersi in sorpresa ma non commentò e lei si ricompose in fretta.
«Si metta comoda, nel frattempo vado ad avvis—».
«Lascia che finisca. Anzi, forse è meglio che ripassi un'altra volta» fece un passo indietro, lo sguardo puntato al piccolo tavolo adiacente alla cucina, già apparecchiato per due.
«Aspetti. Dopo tutte le ore di viaggio che si è fatta, lasci almeno che Harry sappia che è qui».
Lei rilassò le spalle, rilasciando tutta insieme l'aria nei polmoni. Louis le fece cenno di seguirla fino al divano.
«Lou, con chi stai parl... mamma?!» Harry li sorprese alle spalle prima che potessero sedersi.
«Ciao, tesoro» esordì Anne, tutta la dolcezza del mondo contenuta in un saluto.
«Che ci fai qui?» rispose Harry distogliendo lo sguardo dal viso di sua madre e incrociando le braccia al petto.
Louis poteva vedere l'affetto sgorgare dagli occhi feriti di entrambi e sentì il senso di colpa prendere a calci il suo cuore.
«Io... sono qui per parlarti. Non ho avuto modo di spiegare...» lanciò un'occhiata a Louis, titubante.
«Io vado» annunciò lui, capendo di essere di troppo.
«No» obiettò Harry sbarrandogli la strada. «Ha avuto ben quindici anni per parlare e adesso sono io che non ho voglia di ascoltarla».
«Harry, non fare il difficile. Noi possiamo vederci domani».
«Louis, no» gli posò una mano sul petto, il respiro improvvisamente affannato. «Tu non te ne vai».
In Louis scattò qualcosa. La voce incrinata di Harry, il calore della sua mano che sembrava espandersi ben oltre il suo torace, gli occhi inquieti. Quella non era una semplice presa di posizione per un torto subito ma un vero e proprio grido d'aiuto. E Louis non si sarebbe certo tirato indietro, non quando era Harry a chiamarlo.
Posò la sua mano sopra quella di Harry e rivolse lo sguardo ad Anne. «Perché non si ferma a cena con noi?»
Harry si lasciò andare a una specie di singhiozzo. Louis era certo che Harry non avrebbe approvato ma aveva un piano per provare a sistemare le cose.
Anne cercò gli occhi di suo figlio ma non vi trovò alcun segno di conferma. «Non credo sia il ca—»
«Insisto» le sorrise Louis prima di guidarla verso il piccolo tavolo. «Harry avrà cucinato per almeno quattro persone. È un peccato sprecare tutto quel ben di Dio».
In realtà, stava improvvisando. Gli riusciva sempre piuttosto bene e sperava che quell'occasione non costituisse un'eccezione.
Lanciò un'occhiata alle sue spalle, Harry li seguiva con la testa bassa, l'espressione di chi non riesce a darsi pace.
Prima che la cena finisse di riscaldarsi in forno, Harry aveva apparecchiato per sua madre, stappato una bottiglia di vino e svuotato metà calice in assoluto silenzio.
«Allora, Louis» fu lei a prendere in mano la situazione, lanciando occhiate timorose al figlio, intento a far roteare il liquido rosso scuro nel bicchiere. «Anche tu studi qui a Londra?»
«No, lavoro come istruttore di arti marziali. Un mix di karate, taekwondo e altre discipline meno conosciute».
«Partecipi anche a qualche campionato?»
«Non più, ho gareggiato in passato ma il confine tra benefici ed effetti collaterali diventa molto sottile se non si è nel giusto stato mentale».
«Qualcosa di buono devono averlo fatto se ne hai fatto una professione, no? Ti si legge la passione negli occhi» gli rivolse un sorriso dolce, era come quello di Harry e Louis ricambiò d'istinto. «Hai cominciato da piccolo?»
«Avevo dieci anni e mi ero da poco trasferito con la mia famiglia in...» deglutì, improvvisamente consapevole del territorio in cui si stava addentrando, «in Thailandia e...» con la coda dell'occhio vide Harry stringere la presa sul bicchiere. Anne sussultò appena. Louis si accinse ad attraversare quello spazio come chi viene sorpreso da un acquazzone mentre rientra a casa: a testa bassa e di corsa.
«C'era questo posto non lontano da dove vivevamo, era una palestra improvvisata con le vetrate impolverate e ogni volta che ci passavo davanti sbirciavo all'interno. Spesso trovavo una coppia di atleti lottare a piedi nudi, con addosso solo calzoncini e guantoni ma è stato quello che poi ho scoperto essere il rituale pre-combattimento a colpirmi davvero. Dopo una prima fase di meditazione e concentrazione, i combattenti eseguivano dei passi di danza lenti e precisi come segno di rispetto e ringraziamento nei confronti del proprio maestro. È proprio la sicurezza e la forza che emanavano in quei momenti che mi sono rimasti più impressi e quando siamo rientrati in pianta stabile in Inghilterra ho cominciato a seguire dei corsi».
«Anche la tua famiglia vive a Londra?»
Harry emise uno squittio. «Come se non conoscessi la risposta» accompagnò il malcelato commento a un lungo sorso di vino prima di dare le spalle al tavolo e dedicarsi al cibo in forno. Anne ritrasse lo sguardo dalla schiena del figlio come se si fosse scottata, le labbra tremanti di parole non dette. Louis tentò di salvaguardare il velo di normalità che si era illuso di riuscire a mantenere per tutta la cena e manipolare a favore di una riappacificazione di Harry e sua madre. «No, loro sono ancora a Doncaster, città natale di mia madre».
Harry sbatté la pirofila ancora rovente sul tavolo e ne porzionò il contenuto prima di trasferirlo su tre piatti. Si sedette e senza incontrare lo sguardo di nessuno, mormorò un «buon appetito» e si mise a mangiare. Gli altri due lo seguirono e in un attimo l'atmosfera si fece soffocante, il silenzio spezzato solo dal rumore delle posate sui piatti.
«È molto buono, tesoro».
«Davvero ottimo, H» confermò Louis. Harry gli rivolse un sorriso tirato ignorando sua madre.
«E devi sentire i suoi dolci» intervenne Anne, speranzosa. «Ha sempre adorato prepararli più che mangiarli. Ha cominciato che non arrivava neanche al tavolino, saliva su una sedia e con grande attenzione seguiva le mie indicazioni, instancabile. Credo di avere un intero album di sue foto mentre mescola o aggiunge gli ingredienti con una spruzzata di farina in testa».
«Una sua versione in miniatura, riesco a immaginarla senza sforzo» Louis rise spostando lo sguardo su Harry. Aveva smesso di mangiare e fissava qualcosa di fronte a sé, perso in pensieri inaccessibili.
«Ai miei occhi è sempre lo stesso bambino, solo un po' più alto e coi capelli ricci» Anne strinse gli occhi in un sorriso d'orgoglio. «Quelli gli sono spuntati quando aveva dieci anni, prima erano liscissimi e corti».
«Lo sa» si inserì Harry, il tono secco. «Forse dimentichi che lui era lì con me».
«Harry».
«No, Louis. Evidentemente mia madre non ha capito chi sei. Questo è Louis, mamma. Quello che mi ha salvato la vita, ricordi?»
«Tesoro» lo pregò Anne, con le lacrime agli occhi.
«Proprio quello che mi hai detto che era morto» infierì ancora.
«Mi dispiace, mi disp—»
«Se proprio ci tieni a fare un viaggio nei ricordi, allora racconta a Louis di come mi hai praticamente rinchiuso in casa dopo il mio ritrovamento». Guardò Louis dritto negli occhi prima di continuare. «Niente scuola, niente amici, niente attività all'aperto se non in giardino e una città diversa ogni sei mesi per quasi due anni».
Anne prese a singhiozzare.
«Sono passato dall'essere rapito da una banda di criminali all'essere sequestrato da mia madre».
«Harry, non dire così, ti prego» si disperò Anne.
«Dai mamma, raccontagli di come papà ha dovuto minacciarti di chiedere l'affidamento esclusivo per farmi rientrare in Inghilterra e permettermi di avere una vita più normale».
Louis pensò che non sarebbe più riuscito a muoversi per quanto quelle parole pesavano.
Harry si alzò in piedi, un luccichio di perfidia che non si addiceva alla dolcezza dei suoi occhi. «Sai, anche io ho una cosa da rivelarti: ho fatto domanda in almeno dieci college americani solo per starti lontano, perché forse a duemila chilometri di distanza avrei smesso di sentire la tua presenza addosso. Se non sono andato è solo perché me l'ha chiesto papà».
Louis gli si piazzò davanti, una mano sul petto. «Harry» gli sussurrò, «basta».
Harry coprì la mano con la sua ma non distolse lo sguardo dalla sagoma di sua madre, piegata sul tavolo in preda agli spasmi del pianto. «Ho provato a giustificarti, mi ripetevo che era il tuo modo malato di tenermi al sicuro ma ti sei trincerata nella tua paura e non ne sei più uscita. Non hai messo il mio bene al primo posto ed è tempo che io smetta di pensare al tuo a discapito del mio».
Fece un passo indietro lasciando scivolare via la mano di Louis, si voltò e si chiuse in camera.
Louis non credeva sarebbe potuta andare così male. Aveva previsto un po' di resistenza da parte di Harry ma non tutto il rancore a cui aveva assistito. Aveva dimenticato che lui e Harry in realtà erano poco più che estranei e che ognuno di loro aveva un'intera vita di cui l'altro non era a conoscenza ma per lui averlo ritrovato era un po' come non averlo mai perso. Come se fossero sempre stati lontani ma insieme e ora potessero camminare uno accanto all'altro per lo stesso sentiero.
«M-mi dispiace» balbettò crollando sulla sedia accanto a Anne. Le passò un tovagliolo e attese che si asciugasse il viso. «Non immaginavo che... speravo di darvi un'occasione per un inizio di chiarimento...»
«Non è colpa tua, Louis» tirò su col naso. «Mio figlio ha ragione, ho sbagliato la prima volta che gli ho mentito e ho continuato a sbagliare per i quindici anni successivi. Sono stata una sciocca a presentarmi qui senza preavviso, è una settimana che ignora le mie chiamate». Posò una mano sul ginocchio di Louis, quasi volesse consolarlo. «Sarà meglio che vada» annunciò alzandosi.
«Gli dia tempo, sono certo che la perdonerà».
«Grazie, tesoro» annuì, «sono contenta che ti abbia ritrovato, le mie paure si sono rivelate del tutto infondate e mi dispiace avertelo tenuto lontano per tutto questo tempo» gli accarezzò una guancia e, prima che Louis potesse replicare, uscì.
Louis si voltò a fissare il fondo del corridoio, indeciso: raggiungere Harry o lasciargli un momento per sé e aspettare una sua mossa?
Percorse la brevissima distanza e si fermò davanti alla porta, un pugno sospeso a mezz'aria. Bussò. «Harry, posso entrare?»
Non ricevette risposta ma entrò lo stesso. Gli ci volle qualche secondo per abituarsi all'oscurità e trovare Harry steso sul letto a fissare il soffitto. Il materasso a una sola piazza sembrava troppo piccolo per contenere la sua lunghezza ma allo stesso tempo lo abbracciava come i petali di un fiore con la sua corolla.
«Scusami, non era mia intenzione metterti in difficoltà, non avevo il diritto di invitare tua mad—»
«Lo so. Non preoccuparti».
Louis sospirò, tornò di corsa in cucina a prendere la vodka e spegnere tutte le luci per poi raggiungere Harry sul letto. «Sapevo di aver fatto la scelta giusta» cantilenò agitando la bottiglia davanti ai suoi occhi. Si guadagnò un sorriso appena accennato e Louis si ritenne già soddisfatto.

*H*

«Non è possibile» sbottai. Era la terza volta quel mese.
Feci dietrofront e tornai sul marciapiede esterno. Pigiai il secondo pulsantino dall'alto sulla colonna di destra e aspettai la sua risposta.
«Ciao Cynthia, sono Harry. Il postino ha di nuovo inserito una lettera per te nella mia cassetta. La metterei nella tua ma sembra che non ci sia spazio».
Cynthia abitava al quarto piano, era separata da suo marito ma felicemente sposata con il suo lavoro. Non sapevo di cosa si occupasse di preciso, qualcosa nel mondo della finanza, ma avevo evitato di chiederle informazioni aggiuntive perché mi sentivo sempre un po' a disagio in sua presenza. Lavorava da casa ed era famosa per non uscire mai – a quanto pareva io ero uno dei pochissimi eletti che l'aveva vista dal vivo, per tutti gli altri era una specie di leggenda, a metà tra vampiro e fantasma – e per la sua cassetta sempre stracolma di posta.
«Ciao Harry, ti dispiacerebbe portarmela su? Una delle tue è finita tra le mie ma me ne sono accorta solo stamattina».
Presi un bel respiro intonando un ohmmm muto nella mia testa. «Certo».
Rientrai, evitai l'ascensore – l'avevano sistemato da poco ma tendeva a rompersi con molta frequenza e non volevo rischiare di restare bloccato proprio quella sera – e scalai le otto rampe di scale il più in fretta possibile trascinandomi dietro le buste del take away.
Suonai il campanello di Cynthia con il fiatone e, ignorando il suo sguardo che mi scansionava dalla testa ai piedi, procedetti allo scambio delle lettere e la salutai.
Presi a scendere le scale, solo due rampe mi separavano da casa. Quella giornata era stata infernale e speravo di farle prendere tutt'altra piega con l'arrivo di Louis che, come ormai ogni venerdì, veniva a cena da me dopo i suoi corsi. Messo un piede sul pianerottolo tra la penultima e l'ultima rampa, dei forti colpi mi fecero sobbalzare, qualcuno stava bussando con insistenza a una porta. L'appartamento più vicino alle scale era il mio, così mi fermai e mi sporsi verso il corrimano in modo da sentire meglio senza essere visto.
«Se non volevi farmi entrare, perché hai aperto il portone esterno?» riconobbi subito la voce di Louis.
«Ma tu non ce l'hai un casa?»
«Ciao anche a te, Niall».
Qualche istante di silenzio.
«Allora, che vuoi fare?» udii di nuovo Louis. «Mi fai entrare o mi lasci qui fino all'arrivo di Harry come la scorsa volta?»
Scorsa volta? Era già abbastanza strano sentire il mio migliore amico usare un tono così scortese, per di più con qualcuno che sapeva essere importante per me, scoprire che non fosse nemmeno la prima volta mi lasciò interdetto.
L'odore di pollo in agrodolce mi ricordò che era tempo di muoversi. C'erano già state troppe interruzioni.
Entrando in casa, li trovai ai lati opposti della piccola zona soggiorno, se si stavano dicendo qualcosa si erano interrotti appena avevano sentito girare la chiave nella toppa.
Li salutai e mi diressi subito al tavolino dove svuotai le buste posando uno alla volta tutti i contenitori di carta delle pietanze ordinate.
«Niall, non mi hai detto se hai impegni per cena ma ho preso da mangiare anche per te».
Non mi avrebbe mai perdonato se non gli avessi riportato almeno una porzione dei suoi adorati ravioli al vapore. E io, oltre a quelli, avevo preso molto altro, perché il suo esile corpo era in grado di ingerire e smaltire quantità di cibo inimmaginabili.
Louis aprì il frigo, tornò con tre bottiglie di birra già stappate e si sedette. Io portai le buste vuote in cucina e lo raggiunsi al tavolo.
«Niall, non ti siedi?»
Il mio coinquilino, rimasto fino a quel momento immobile a lato del divano, prese uno dei contenitori dal tavolo, andò al frigo da cui sfilò un'altra birra e, senza dire una parola, se ne andò in camera sua.
«Niall!» urlai ma non ricevetti risposta.
«Wow, questa sì che è un'uscita di scena» sorrise Louis.
Sospirai. «Non avevo idea che le cose fossero così gravi».
«Brindiamo» suggerì afferrando la sua bottiglia.
«A cosa, la mia cecità di fronte all'evidenza?»
Avrei cercato di rimediare il prima possibile. Non sapevo ancora come ma sarei intervenuto.
«Nah» alzò le spalle, «al cibo in più che rimane per noi».
Scoppiammo a ridere all'unisono. Louis afferrò la mia sedia per una gamba e l'avvicinò a sé per baciarmi poi iniziammo a mangiare.
«Sei davvero pessimo con quelle bacchette, H» mi sfotté pochi minuti più tardi, con la bocca ancora piena.
«Solo perché tu sei più veloce di me non significa che io non sia capace» mi lamentai. Lui rise e non so bene come, finii con la sedia appiccata alla sua, la sua gamba sopra le mie ginocchia e le sue bacchette che si spostavano dalla mia bocca alla sua tra un bacio e un altro. Non so dire se fossi più affamato di cibo o delle sue labbra. Alla fine mi saziai solo del primo.
«Basta, non riesco più a mandar giù neanche un sorso di birra» mi accarezzai all'altezza dello stomaco. «Dovremmo camminare un po' per digerire tutta questa roba».
Louis sorrise contro la bottiglia che aveva ancora alle labbra. La abbandonò sul tavolo, si alzò e mi girò intorno fino a posizionarsi alle mie spalle. Si sporse fino a raggiungere il mio orecchio, il suo alito caldo mi solleticava la pelle. Prese a baciarmi il collo mentre con le mani mi accarezzava il petto. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare contro lo schienale, piegando la testa di lato ma lui si staccò di colpo.
«Oppure...» disse, ognuno di quei tre puntini muti suonava come una promessa a cui non ci si può sottrarre.
Mi lasciò lì, abbandonato contro una sedia in salotto, con un primo stadio di erezione, mentre lui si dirigeva in camera mia.
Gli corsi dietro e assalii la sua bocca piegata in un sorriso provocatorio prima ancora di chiudere la porta con una tallonata. Baciare Louis era come andare sulle montagne russe: un alternarsi di mancanza di fiato, adrenalina e trepidazione.
«Oppure?» lo sfidai stendendomi a letto dopo essermi spogliato di ogni strato di stoffa in pochi rapidi gesti.
Accese la piccola lampada sul mio comodino e tornò di fronte al letto. Rimase a guardarmi per un po', sorpreso non so se per la risposta alla provocazione o per l'iniziativa presa. Poi mi raggiunse posizionandosi a cavalcioni su di me. Mi passò un pollice sul labbro inferiore e, prima che scivolasse via, allargai la bocca per prenderlo tra i denti. Richiusi poi le labbra intorno al suo dito e cominciai a farle scorrere su e giù, senza staccare gli occhi dai suoi.
«Siamo impazienti di smaltire la cena, vedo» mi sfotté.
Risposi stringendo i denti in un piccolo morso. Lui si chinò a baciarmi, io presi d'assalto la sua maglietta e lo costrinsi a staccarsi per toglierla. Gli arpionai i fianchi, muovendoli a tempo con i miei finché il respiro di entrambi si fece ansante.
Quando provai a slacciargli i jeans, mi fermò. «Non così in fretta, certi privilegi bisogna guadagnarseli».
Gli piaceva giocare, dentro e fuori dal letto. E io adoravo ribaltare le sue provocazioni a mio favore.
Con un grugnito mi tirai su e invertii le posizioni. Dopo un bacio tutt'altro che delicato, mi spostai alla pelle chiara del collo e poi al petto, senza tralasciare i capezzoli.
«Cazzo, ci stai riuscendo molto bene...» ammise dimenandosi sotto il mio tocco e non riuscii a non soffiare un sorriso contro la sua pancia.
Infilai l'indice sotto l'elastico dei boxer, tirai appena verso l'alto e lasciai la presa, facendolo sussultare.
«Certi privilegi bisogna guadagnarseli» rivolsi a lui la sua stessa frase. Lui mi prese per la nuca, tirandomi a sé in un ennesimo bacio. Percorse tutta la mia schiena con entrambe le mani e prese a stringermi le natiche.
Mi sentivo esplodere, una scossa elettrica percorreva avanti e indietro ogni estremità del mio corpo e l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che volevo Louis, in ogni modo e senso possibile.
Poi sentii uno dei suoi polpastrelli sulla mia apertura e ogni cosa perse forma. Ero così perso in lui che registrai solo qualche dettaglio sporadico: il cassetto del comodino che si chiudeva, la sua lingua che sapeva ancora di birra, i suoi pantaloni che cadevano a terra, le sue labbra che invocavano il mio nome mentre si spingeva in me e il peso delle sue mani dappertutto, anche dove non mi stava toccando.
Mentre i nostri respiri si regolarizzavano, ancora stretti uno contro l'altro sul piccolo materasso, ci accorgemmo della musica ad altissimo volume proveniente dalla camera di Niall.
«Ci sta forse dicendo che non ha apprezzato il nostro concerto?» chiese Louis risentito.
Scoppiai a ridere. «Temo non sia il suo genere».
«Peggio per lui perché adesso c'è il secondo atto» e tornò a baciarmi.

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