12.
*H*
Per placare l'inquietudine che continuavo a vedere in fondo agli occhi di Louis, feci come mi aveva chiesto. Parlai. Della vita che conducevo da ormai diversi mesi, della specializzazione che avevo scelto, del tirocinio che stavo svolgendo per diventare psicologo infantile, del mio rumoroso e insaziabile coinquilino Niall, della mia famiglia. Non ci fu bisogno di spingerlo, Louis si inserì spontaneamente nella conversazione con altrettanti aneddoti e racconti riguardanti la sua vita: il sogno di aprire una scuola di arti marziali tutta sua un giorno, la convivenza con Liam, l'intenzione di tornare presto a trovare la sua famiglia a Doncaster (aveva tre sorelle e un fratello in più rispetto a quando ci eravamo conosciuti), dove si era trasferita da Sheffield dopo la nascita delle gemelle di mezzo.
Quando Louis finì per mettere di nuovo in discussione, in maniera goliardica ma non troppo, le mie capacità culinarie, decisi di dargli una dimostrazione pratica. Gli dovevo ancora una cena, in fondo. L'obiettivo era preparare il cibo più buono che Louis avesse mai mangiato e metterlo a tacere una volta per tutte, ma se avevo capito qualcosa di lui era che non fosse particolarmente predisposto ad ammettere di avere torto. Così, finse che il mio pollo alle spezie non fosse niente di speciale nonostante avesse divorato tutto ciò che aveva nel piatto e rubato parte della mia porzione, usando la scusa di essere molto affamato per il poco cibo ingerito nell'arco della giornata.
Scoppiai a ridere un paio di volte ma non mi lasciai andare a nessun commento, l'espressione serena e pienamente soddisfatta di Louis erano sufficienti a farmi sentire appagato. Potevo concedergli una piccola vittoria, vista l'altalena di emozioni che aveva affrontato.
La prolungata vibrazione del telefono contro la coscia mi fece capire di essermi appisolato. Ricordavo di essere salito in camera di Louis subito dopo cena per recuperare le scarpe e il giacchetto e di essere finito steso sul suo letto prima di riuscire a infilarmi gli stivaletti, caduto vittima della vendetta di Louis per aver commentato lo stato della sua cabina armadio. Avevamo poi ripreso a parlare e ridere delle nostre stupide battute, a quanto pareva fino ad addormentarci.
Louis era accanto a me, steso su un fianco, la fronte che mi sfiorava la spalla, una mano incastrata tra la propria guancia e il cuscino e l'altra abbandonata sul mio stomaco. Con la massima attenzione che la mia poca lucidità consentiva, riuscii a recuperare il cellulare senza fare movimenti bruschi. Smise di vibrare appena lo afferrai ma non ebbi tempo di aprire il menu delle chiamate perse che ricominciò a tremare. Dando una rapida occhiata allo schermo, mi accertai che non fosse mia madre – anche se le cose erano cambiate dalla nostra discussione, non volevo affrontarla – e me lo portai all'orecchio.
«Niall». Lo sforzo di sembrare vigile e del tutto cosciente risultò vano quando sentii il nome uscirmi in una specie di mormorio strozzato, ma il mio amico non parve farci caso o decise di sorvolare.
«Harry, dannazione! Dove cavolo sei? Pensavo ti fosse successo qualcosa».
«Ti ho scritto un messaggio poco fa» protestai, allontanando l'apparecchio dall'orecchio ancora troppo sensibile per il volume raggiunto dalla sua voce.
«È stato sei ore fa. Ti ho chiamato almeno dieci volte e inviato altrettanti messaggi solo negli ultimi venti minuti. Volevi farmi morire d'infarto?»
Al resto delle parole di Niall non prestai molta attenzione, mi limitai a produrre qualche verso di frustrazione mentre tentavo di svegliarmi passandomi il pollice e l'indice sulle palpebre che faticavo a tenere aperte.
«Sto tornando, non preoccuparti» mi affrettai a chiudere appena sentii Louis muoversi.
Lo osservai qualche istante stiracchiarsi contro il mio corpo e cercare subito i miei occhi.
«Che fai?» biascicò.
A malincuore, mi allontanai dal suo calore per mettermi le scarpe. «È tardi, devo tornare a casa».
Non udii nessuna risposta.
«Ho lezione domattina e tu hai il lavoro» aggiunsi chiudendo la zip degli stivaletti.
Ancora nessuna reazione. Mi voltai a controllare che Louis non si fosse riaddormentato ma al posto delle palpebre serrate e delle labbra schiuse trovai il panico ad attraversargli il volto. Gli lanciai un'occhiata confusa.
«Staremo lontani non più di un paio di giorni» lo rassicurai prima di spostargli la frangia all'indietro e fermare la mano sulla sua nuca. «Ok?»
Lui annuì e scivolò dalla parte opposta del letto, appena più sollevato. «Ti accompagno».
Percorremmo il breve tragitto fino al portone d'ingresso in completo silenzio. Un silenzio che sembrava espandersi a ogni passo, riempire ogni angolo, ogni fessura e consumare tutto l'ossigeno. Avrei voluto romperlo con le mie stesse mani, frantumarlo in mille pezzi e poi schiacciarlo a pugni fino a renderlo polvere e farlo dissolvere nell'aria. Ma non riuscivo a respirare. La mia mente non faceva che girare su se stessa. Louis teneva lo sguardo basso sui suoi piedi in un palese tentativo di non incrociare il mio e, nonostante la distanza che stava cercando di mettere tra noi, potevo sentire nitidamente il rumore assordante dei suoi pensieri.
«Beh, allora ci se—»
«Promettimi che non sparirai» esplose Louis nello stesso momento.
Soffocai la stretta dolorosa allo stomaco. «Non lo farò» risposi serio.
*L*
La mano stretta con forza attorno alla maniglia della porta come unica ancora in quel mare di disperazione che Louis sentiva incombere su di lui.
«Hai il mio numero, no?» gli ricordò Harry.
«Potresti ignorarmi» distolse lo sguardo, come un bambino che sa di essere capriccioso ma non riesce a farne a meno.
Louis riusciva a valutare l'intero quadro con distaccata razionalità e ad ammettere a se stesso che tutto quello che stava provando era irrazionalmente folle. Una paura che non seguiva nessuna logica e che non avrebbe dovuto provare. Paura di perderlo, questa volta in maniera definitiva. Di perdere uno sconosciuto? Forse. Sicuramente, di perdere il suo Haz.
«Perché dovrei farlo?»
Louis alzò le spalle e si tirò le maniche della felpa fino a coprire l'intero palmo delle proprie mani, l'espressione sconsolata.
Harry gli prese le guance e si abbassò in modo da fronteggiare i suoi occhi spenti.
«Non riuscirei a ignorarti nemmeno se lo volessi, Lou. Ed è davvero l'ultima cosa che voglio».
Prima che Harry potesse muoversi, Louis lo strinse per i fianchi e si sporse in avanti quel poco che bastava per raggiungere la sua bocca. Si limitarono a premersi l'uno contro l'altro, nessuna smania di divorarsi, nessuna fretta di consumarsi il respiro a vicenda.
Tirandosi indietro, Harry gli regalò un timido sorriso, gli occhi luccicanti, quasi avesse ancora tredici anni e si fosse appena ritratto dal suo primo bacio. Louis gli prese una mano e cominciò ad aprire il portone. Lo accompagnò fuori e si fermò sul pianerottolo, senza lasciare la presa.
«Buonanotte, Louis».
Fece un passo indietro e scese il primo gradino, Louis non gli aveva ancora lasciato la mano. Non voleva staccarsi, sentiva il suo intero corpo opporsi a quella eventualità e sperò che Harry riuscisse a percepire ogni sua cellula ribellarsi e implorare per un nuovo contatto.
Come una delle due estremità di un elastico in tensione che non desidera altro che tornare alla sua forma originale, Harry tirò Louis a sé fino a unire i loro petti e lo baciò. Molto più a lungo di poco prima, nessuna timidezza né incertezza. Fino a non avere più fiato.
Louis strinse la presa intorno alle sue dita e per un attimo credette di poterlo trattenere. Poi, però, lo vide scivolare via, oltrepassare il cancello e allontanarsi lungo il marciapiede parzialmente illuminato dai lampioni sull'altro lato della strada.
No, no, col cavolo che poteva andarsene dopo che l'aveva stretto in quel modo. Louis non poteva permetterglielo. Allora perché era rimasto immobile all'esterno di casa sua a guardare la sagoma di Harry farsi sempre più piccola in lontananza?
D'improvviso, come risvegliatosi da una sorta di trance, ripensò a quello che si erano raccontati durante la cena. Louis aveva scoperto che l'altro abitasse in tutt'altra zona di Londra e Harry aveva dovuto confessare che, all'uscita dal locale in cui avevano mangiato il panino, aveva preso la direzione opposta a quella di casa sua perché aveva intuito che Louis sarebbe andato da quella parte e voleva avere un'altra occasione di parlargli.
Gli corse dietro, fermandosi solo a pochi passi. «Harry» lo richiamò.
Aspettò che si voltasse e si perse per un istante nei suoi bellissimi occhi pieni di sorpresa e aspettativa. «Non te ne andare» lo pregò con tutto il corpo oltre che con la voce.
«Lou» pronunciò in tono dolce, quello tipico di chi sta per rifiutare e vuole rendere il no più digeribile. Quello che Louis aveva sempre odiato, preferendo ricevere una risposta più decisa, anche brutale se necessaria. Ma quello davanti a lui era Harry, la dolcezza e la gentilezza facevano parte di lui, erano un prolungamento delle sue stesse braccia, era evidente a chiunque posasse gli occhi su di lui anche per un solo istante, e Louis avrebbe accettato qualunque cosa provenisse da quelle labbra piene. Questo, però, non gli impediva di respingere il suo rifiuto.
«Hai visto che ore sono? L'ultima corsa della metro è passata da un pezzo. Come pensi di tornare a casa?»
«Farò una passeggiata».
«Stai scherzando?» quasi urlò.
«Non mi dispiace camminare» guardò Louis con espressione confusa, come se la spiegazione avesse perfettamente senso e fosse Louis ad aver reagito in maniera esagerata.
Louis capì di dover cambiare argomentazione. «Ok, allora ti accompagno».
«Non ce n'è bisogno».
«Non ti lascio vagare per le strade da solo, in piena notte e per più di un'ora, Harry». Quella eventualità non solo era inconcepibile ma, la certezza che fosse parte della quotidianità di Harry, vista la naturalezza con cui ne parlava, lo stava innervosendo.
«Mi è capitato altre volte, non ti pre—»
«Non mi interessa. Se vai, ti seguo» tagliò corto, il tono fermo e lo sguardo deciso.
«Poi dovresti camminare tu da solo, per tornare qui, non ha senso».
Osservazione più che legittima, proprio ciò su cui Louis voleva far leva. «Hai ragione» fece una piccola pausa, «è meglio per tutti se ti fermi a dormire qui».
«Louis, ti prego. Devo davvero tornare a casa, ho lezione domattina».
«Ok, senti. Non sto cercando di farti saltare nessuna lezione. Sto solo dicendo che, anziché camminare per più di un'ora adesso, puoi dormire qui e passare a casa tua domattina prima di andare in facoltà prendendo la metro e quindi impiegandoci meno della metà del tempo».
Harry sospirò, Louis era certo che fosse sul punto di arrendersi o che lo avesse già fatto.
«Si chiama efficienza» insistette Louis con il sorriso di chi sa di aver vinto.
«Io la definirei piuttosto manipolazione a tuo favore».
«A mio favore? Devo condividere il mio piccolo lettino con quelle gambe lunghe che ti ritrovi. Avrò a malapena spazio per stendermi di lato e non cadere. Come sei riuscito a trasformare quel corpicino magro di bambino in...questo?»
Harry non trattenne una breve risata e Louis allungò un braccio a prendere la sua mano. È questo il suo posto, pensò.
«Niall questa volta mi uccide sul serio» borbottò Harry, la sua voce coperta dal rumore dei loro passi sul marciapiede mentre ripercorrevano a ritroso il percorso fino alla camera di Louis.
~
Affrontare avversari più imponenti di lui, reggere la tensione di incontri di boxe ben oltre il limite della legalità, sopportare insulti e provocazioni mirati unicamente a fargli perdere il controllo. Col tempo, tutto questo era diventato un gioco da ragazzi per Louis. Grazie al suo maestro, era riuscito a canalizzare tutte le sue emozioni più dolorose nella giusta direzione, a lasciarsi le cattive abitudini e compagnie alle spalle e a diventare a sua volta una guida per i ragazzi delle periferie di Londra. Non frequentava più certi ambienti e non c'era rivale o offesa o pressione che non riuscisse a gestire, ormai. Era in grado di valutare ogni potenziale pericolo in pochi secondi e comportarsi di conseguenza, riusciva ad adattarsi a ogni situazione. A tutto tranne una cosa: la sveglia.
Non c'era verso per lui di riuscire a svegliarsi prima delle undici di mattina, non importava quante sveglie avesse impostato sul suo telefono, le avrebbe spente tutte senza nemmeno accorgersene.
Alla fine, era stato Liam a trovare la soluzione: utilizzare una sveglia a batterie, una di quelle vecchio stampo con le lancette e il bottone rialzato sulla parte superiore, quelle con un'unica tipologia di suoneria, un bibibibip incessante sparato a centoventi decibel, l'equivalente della sirena dell'ambulanza, e quindi udibile anche dal piano inferiore. Nello specifico, utilizzare questo modello di sveglia posizionandola in un'altra stanza in modo che Louis fosse costretto ad alzarsi fisicamente per spegnerla.
Era una soluzione estrema, ma funzionava. E Louis vi faceva affidamento tutti i santi giorni, esclusa la domenica e i giorni di vacanza.
Non riuscì quindi a capire come avesse fatto a svegliarsi al solo sentire lo spostamento del materasso dopo che Harry si era alzato. Forse perché si erano ritrovati a dormire appiccicati e Louis aveva sentito il vuoto lì dove fino a un attimo prima c'era un corpo caldo a sostenere il suo braccio.
«Che ore sono?» riuscì a pronunciare nonostante la bocca secca e la testa ancora annebbiata dal sonno.
«È ora di andare, per me. Ma tu torna a dormire» bisbigliò Harry di rimando.
Louis aprì a fatica un occhio e per poco non scoppiò a ridere quando mise a fuoco la figura di Harry saltellare per la camera, su una gamba sola, mentre cercava di sfilarsi i pantaloni rischiando a più riprese di perdere l'equilibrio.
«Mi piacerebbe davvero godermi lo spettacolo» borbottò con voce rauca, «ma non c'è bisogno che ti cambi».
Louis gli aveva prestato il pantalone della tuta più larga che possedeva e una vecchia t-shirt per dormire ed era così piacevole vedere Harry avvolto nei suoi vestiti che avrebbe voluto si rifornisse sempre dal suo armadio. Anche se dubitava di avere altri pantaloni che coprissero fino in fondo le sue lunghissime gambe.
«Ho i miei vestiti, Lou».
«Tieni i miei, i tuoi saranno così sgualciti da far sembrare che ti abbia fatto dormire per terra. È questo che vuoi che il tuo coinquilino pensi di me?»
Louis lo guardava con attenzione. Ancora steso di lato, il gomito puntellato sul cuscino per sostenere la testa.
«Fidati, i vestiti saranno l'ultimo dei miei problemi quando Niall mi rivedrà dopo che sono sparito in quel modo. E poi, perché ti interessa tanto la sua opinione? Vuoi fare buona impressione per ottenere la sua approvazione?»
«Semplice, tengo alla mia reputazione».
«Ho sempre pensato di essere un pessimo bugiardo e per questo di saperne riconoscere uno quando lo incontro».
«Pff, io sono un attore nato. Sono solo ancora addormentato, non ti vantare troppo».
Louis si allungò verso il comodino per afferrare il cellulare e controllare l'ora prima di tirarsi su a sedere di scatto. «Harry, non sono ancora le sei del mattino e hai lezione alle otto e mezzo. Perché diavolo te ne stai andando così presto?»
«Mi piace fare le cose con calma» rispose senza incontrare il suo sguardo.
«Sarai a casa in una ventina di minuti al massimo. Stavi cercando di sgattaiolare via come si fa dopo aver passato la notte con uno sconosciuto che non vuoi rivedere? Non abbiamo neanche fatto sesso» ridacchiò togliendosi di dosso il piumone per alzarsi.
«Non ti farei mai una cosa del genere».
«Quindi, dove stai andando?»
«A casa. Te l'ho detto, sono abituato a prepararmi con calma».
Louis l'osservò per qualche istante, poi sospirò. «È proprio vero: sei un pessimo bugiardo».
Harry non riusciva neanche a guardarlo negli occhi e aveva preso a mordicchiarsi il labbro inferiore.
«Non sto mentendo, Lou. Devo davvero andare a casa» ribadì incontrando finalmente il suo sguardo. «È solo che... non posso prendere la metro e quindi mi ci vorrà un po' di più di venti minuti».
«Non puoi prendere la metro» ripeté come se stesse riflettendo ad alta voce.
Harry sospirò passandosi una mano tra i capelli. Sembrava cercasse il coraggio di parlare, a Louis parve di rivedere se stesso da bambino quando doveva rivelare a sua madre di aver rotto qualcosa giocando a pallone in casa.
«Non ho il portafogli con me» ammise titubante.
Louis non capiva se fosse più sollevato per non essere la causa dell'imbarazzo di Harry o più divertito per l'intera situazione ma non disse nulla.
«Sono uscito di corsa dopo aver urlato contro mia madre. È già tanto che mi sono preso un giacchetto». Il rossore che si era impossessato delle sue guance e la vergogna nei suoi occhi erano davvero la cosa più tenera che Louis avesse mai visto. Gli sorrise avvicinandosi. Harry era proprio uscito da un cartone animato.
Louis gli circondò la vita con le braccia e se lo strinse contro fino a sfiorare il naso contro il suo. Voleva solo averlo sempre così vicino e non riusciva a smettere di sorridere. Come aveva fatto a rincretinirsi in quel modo in una manciata di ore?
«Anche perché dubito che vorresti andartene dopo aver passato la notte con me» accompagnò la sua insolente ironia con un ammiccamento così esagerato che Harry poté solo scoppiare a ridere.
«Dammi un paio di minuti» gli soffiò le parole a due centimetri dalle labbra mentre le mani risalivano l'ampia schiena di Harry, si allargavano sugli avambracci e le spalle fino ad allacciarsi dietro al suo collo.
Dopo un velocissimo bacio, si diresse in bagno. «Tieni i miei vestiti e infilati le scarpe, ci pensa Sven a salvare Olaf. Come sempre, del resto. Quel pupazzo di neve è davvero troppo ingenuo, non mi sorprende che ti piaccia tanto».
«Non è necessario» gli urlò dietro, «e mi pare avessimo già appurato che Sven non parla».
Louis rispose con una specie di grugnito e si chiuse in bagno.
Harry sorrise al suo riflesso alla finestra e scosse la testa.
*H*
Mezz'ora dopo ci trovavamo sotto casa mia. Lui stava finendo la sua sigaretta, io tenevo le mani occupate a giocherellare con le chiavi del portone.
Louis si era offerto di accompagnarmi fin lì incurante di tutte le mie proteste. Avrebbe potuto semplicemente prestarmi qualche sterlina per il biglietto della metro, non era necessario che venisse con me. Non che fossi dispiaciuto di passare altro tempo in sua compagnia, anzi. Ma avevo delle lezioni che non potevo saltare e mi sentivo in colpa per aver lasciato che Louis facesse tutto il tragitto per nulla.
«Beh, allora buona lezione» mi augurò con un enorme sorriso.
Può un sorriso essere la risposta a tutte le domande che non ti sei ancora posto? Con lui lì davanti mi sembrava di non avere più alcun pensiero né preoccupazione.
«Aspetta, hai pagato la metro per me e sei venuto fin qui, lascia almeno che ti offra la colazione» la buttai lì nella speranza che non si accorgesse dell'impazienza nella mia voce.
«Non farai tardi? Ti sei alzato all'alba proprio per evitarlo».
«Tranquillo, abbiamo ancora un po' di tempo».
«Dì la verità: sei terrorizzato dalla reazione del tuo coinquilino e vuoi qualcuno che ti faccia da scudo».
«L'avevo detto che alla fine la principessa in pericolo sarei stata io» scherzai infilando le chiavi nella serratura.
«Quindi sono stato promosso a principe?»
«Solo se lo vuoi» mi voltai un istante, giusto il tempo di incontrare i suoi occhi blu e vedere se vi avrei trovato la mia stessa bruciante voglia di una risposta affermativa. «Ti va di essere il mio principe per...» controllai l'ora nel telefono, «la prossima ora?»
Lui annuì, ma ebbi la sensazione che volesse dire qualcosa e si stesse trattenendo.
Salimmo le scale in silenzio, lasciando che sguardi e sorrisi parlassero per noi. La bolla che costruivamo intorno a noi senza accorgercene, come se il resto del mondo non esistesse, si ruppe quando aprii la porta del mio appartamento. Non avevo neanche finito di spalancarla che la voce concitata di Niall ci colse entrambi di sorpresa.
«Harry, finalmente! Temevo di non rivederti più. Si può sapere dove sei stato?»
I suoi occhi chiarissimi saettarono lungo tutto il mio corpo, a cercare una conferma che ogni cosa fosse al suo posto.
«Dio Niall, mi hai spaventato. Cosa fai sveglio a quest'ora?»
Sembrò sul punto di ribattere, ma la sua attenzione venne catturata dalla figura dietro di me. Seguii il suo sguardo fino a incontrare quello di Louis, che mi regalò un sorriso incoraggiante, prima di tornare a rivolgermi a Niall.
«Lui è Louis» glielo presentai con entusiasmo mentre mi sfilavo il giacchetto e lo appendevo accanto alla porta.
«Louis» ripeté Niall sottovoce, irrigidendosi.
Con un passo in direzione del mio coinquilino, Louis allungò la mano. «È un piacere, H mi ha parlato molto di te».
«H?» replicò aggrottando le sopracciglia, la confusione più che visibile sul suo volto. Dopo aver esaminato Louis come fosse un alieno, senza ricambiare il saluto, lasciò che il suo smarrimento si riversasse su me e restò in attesa di spiegazioni.
«Niall, lui è Louis» confermai prendendolo per le spalle e dandogli un leggero scossone, quasi a volerlo risvegliare dallo stato di ipnosi in cui sembrava essere caduto.
«L'hai già detto».
«È lui» insistetti non trattenendo un sorriso. «Il mio Louis».
Lo sguardo di Niall si incupì. «Non è divertente, Harry».
«Sono serio, Niall. È davvero lui. L'ho trovato. Beh...non lo stavo proprio cercando, ma l'ho trovato».
«Possiamo parlare un attimo in privato?» provò a prendermi da parte.
«Adesso non posso, ho lezione tra poco più di un'ora e devo ancora prepararmi e fare colazione. Ti spiego tutto nel pomeriggio».
Senza prestare ulteriore attenzione al mio amico o alle sue proteste via via più rumorose, mi avvicinai a Louis. «Aspettami qui, Lou».
«Sei sicuro? Non voglio creare problemi».
«Nessun problema» confermai, ignorando i richiami di Niall. «Siediti dove vuoi, torno tra dieci minuti». Mi piegai in avanti fino a raggiungere il suo orecchio e, portando una mano ad accarezzargli il collo, sussurrai: «Se ti dà troppo fastidio, hai il permesso di atterrarlo con una delle tue mosse. Non fargli male, però». Gli sfiorai la guancia con le labbra e mi diressi in bagno.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top