11.

*H*

Da fuori dovevamo essere uno spettacolo alquanto bizzarro.
Stesi sul tappeto ai piedi del divano, intrecciati come i fili che compongono una corda, io a cavalcioni su Louis. Non riuscivo a lasciarlo andare e dal modo in cui la stoffa della mia camicia era sul punto di strapparsi tanto lui la stringeva forte, anche lui voleva ritardare il momento della nostra separazione.
Fu così che ci trovò il coinquilino di Louis, entrando in salotto poco dopo.
«Che cos...? Lascialo andare subito!» sentii gridare una voce severa.
Riuscii a malapena ad alzare la testa e scorgere la figura alla porta prima di ritrovarmi col sedere per terra a qualche metro da Louis.
Era ben piazzato a livello di bicipiti, il ragazzo. Mi aveva sollevato e scansato come se pesassi niente.
«Lou, stai bene?» gli chiese preoccupato, abbassandosi.
«Liam, che cazzo fai?» urlò lui spingendolo via prima di raggiungermi e allungare un braccio mentre mi rialzavo. «Tutto ok?» cercò conferma nei miei occhi. Lo vidi rilassare i muscoli del viso solo quando annuii.
«Cosa significa?» chiese il suo amico. Aveva le spesse sopracciglia aggrottate e l'espressione confusa.
«Dovrei chiederlo io a te. Cosa ti è preso?»
Louis si posizionò davanti a me, le braccia piegate ai lati del busto, quasi in posizione di difesa.
Liam corrugò la fronte in un'espressione dura ma non riuscivo a essere davvero intimorito dalla sua presenza perché tutto in lui mi trasmetteva bontà. Nonostante la stazza e la voce ruvida, mi sembrava di avere di fronte uno dei Teletubbies. Non fosse stato per la borsa rossa che portava sempre sulla spalla, cosa che lo rendeva indiscutibilmente il mio alter-ego, lo avrei associato a Tinky Winky. Ma Liam mi sembrava più il tipo da cappello o da pallone quindi poteva essere Dipsy o La-La. Louis era senza alcun dubbio Po, il pupazzo più piccolo, con la voce più acuta e l'irrefrenabile voglia di fare di testa sua.
«Ti stavo salvando da questo tizio» borbottò insicuro.
«Salvando?»
«Eri steso sotto di lui e stavi piangendo».
Louis addolcì lo sguardo e il tono di voce. «Liam, sono un maestro di arti marziali, ricordi? Non credi che l'avrei messo ko in un secondo se non fossi stato al sicuro?»
«È decisamente in grado di farlo» mi lasciai sfuggire, ripensando alla facilità con cui mi aveva atterrato più volte la notte precedente.
Louis, forse con lo stesso pensiero in mente, non nascose un ghigno di soddisfazione.
«Ciao, io sono Harry» mi presentai a quel punto, tentando di alleggerire l'atmosfera. Allungai la mano verso Liam che si limitò ad alternare lo sguardo smarrito tra me e Louis.
«Liam» rispose infine stringendomi brevemente la mano.
Mi studiò per qualche istante. «Sei il tipo del Bluebell di ieri sera?»
Annuii sorridendo.
«Mi spiegate che cavolo sta succedendo?»
«Niente di male, tranquillo» intervenne Louis con una pacca sulla spalla.
«Beh, non sembrava».
«Va tutto bene, sul serio. È... complicato».
Mi sentii improvvisamente di troppo. Era chiaro che Liam si aspettasse di parlare da solo con Louis e non volevo in alcun modo essere d'intralcio al loro chiarimento. «Credo sia meglio che vada, così potete parl-»
«No» mi fermò Louis voltandosi e stringendomi il polso. «Ti prego, non andartene».

*L*

Louis fece segno a Liam di seguirlo e, solo quando si ritrovarono sul pianerottolo esterno, con la porta chiusa alle loro spalle, il suo amico si sentì libero di dar voce a tutto ciò che gli passava per la testa: «Lou, che succede? Sei nei guai? Dimmi la verità, sai che puoi dirmi qualsiasi cosa. Ti aiuterò».
«No, Liam. Non è niente di ciò che pensi».
«Hai ancora le guance bagnate» ribatté lui come se quella fosse l'incontrovertibile prova di veridicità della sua teoria.
«Erano lacrime di gioia» accompagnò le parole a un debole sorriso.
«Non capisco».
Per Louis stesso le cose erano tutt'altro che chiare, come avrebbe potuto spiegarle al suo amico? Non sapeva nemmeno da dove iniziare.
Sospirò e si sedette su uno dei gradini, attese che Liam lo raggiungesse prima di continuare. «C'è una cosa di me, del mio passato, che non sai».
«Ti riferisci alla Thailandia?»
Louis sussultò. Forse aveva sottovalutato Liam. «Come lo sai?»
«Me l'ha detto tua madre prima che ci trasferissimo qui a Londra».
«Sono passati cinque anni e non hai mai detto una parola».
Sì, lo aveva decisamente sottovalutato.
«Quando ti ho chiesto di venire con me stavi già attraversando un brutto periodo. Se ne avessi avuto l'esigenza, me ne avresti parlato tu». Liam alzò le spalle.
Louis non si sentiva tradito, piuttosto era colpito dalla delicatezza e dalla capacità del suo migliore amico di stargli vicino senza pretese.
«E poi» continuò Liam, «non volevo metterti pressioni né farti sentire in dovere di aprirti su qualcosa che non sei mai riuscito a ricordare. Johanna mi ha parlato del tuo vuoto di memoria».
Louis sfregò i palmi contro le cosce. «Neppure mia madre sa tutta la verità». Le sue labbra si incurvarono in un sorriso amaro. «Ho mentito».
«Su cosa?»
«Su tutto. Non è vero che non ricordo cos'è successo, volevo solo che mi lasciassero in pace». Fissò lo sguardo in lontananza, come se i suoi occhi fossero attraversati da immagini che non avevano niente a che fare con la realtà.
«Ok, ma cosa c'entra quel ragazzo?»
«Lui era con me in quello scantinato, eravamo insieme».
Le parole di Louis avrebbero dovuto chiarire la situazione ma Liam gli parve più disorientato che mai.
«Stai dicendo che hanno rapito un altro bambino insieme a te?»
«Sì, l'hanno portato il giorno dopo aver preso me».
«Tua madre non ha menzionato la presenza di un altro bam-».
«Perché io non ho mai parlato di lui a nessuno e ho detto a tutti di non ricordare niente».
Lui era una cosa solo sua. Un dolce ricordo, reso amaro dal dolore della perdita e dal senso di colpa. E voleva che restasse solo suo e di nessun altro. Un fardello che credeva di meritare di portare solo sulle sue spalle.
Louis avrebbe tanto voluto una sigaretta, anzi un intero pacchetto. Se Harry non fosse stato in casa ad aspettarlo, sarebbe rientrato a prenderlo e se lo sarebbe fumato tutto mentre raccontava al suo migliore amico ogni cosa. «Quello che hai visto...» si passò una mano sulle guance per rimuovere le ultime tracce di lacrime, «noi non lo sapevamo, ci siamo riconosciuti poco prima che tu arrivassi e... Dio, mi sembra ancora tutto così assurdo».
«Aspetta. Vi siete incontrati per caso ieri sera e oggi avete scoperto di essere quei bambini?»
Liam lo guardava ma Louis non trovò traccia di giudizio nel color cioccolato dei suoi occhi spalancati, solo stupore.
«Per quanto sembri impossibile... sì».
Liam aveva un milione di domande a riempirgli la mente, erano così evidenti che persino uno sconosciuto se ne sarebbe accorto. E per quanto Louis riconoscesse di essere distratto ed egoista, conosceva il suo amico molto bene.
«Giuro che ti spiegherò tutto ma prima ho bisogno di parlare con lui» lo rassicurò. «Non eravamo propriamente nella condizione di farlo, fino a poco fa».
Liam si alzò senza dire altro. Era una cosa tipica di lui: non insistere e aspettare che fosse Louis ad aprirsi rispettando i suoi tempi e modi.
«Dove vai?»
«Da mio padre, ero passato solo per portarti qualcosa per cena. Credo di averlo lanciato da qualche parte vicino al divano. Sai com'è, pensavo che stessi ancora sonnecchiando sul divano dopo un'appagante notte di sesso con il ricciolino e invece ho trovato...»
«Un gran casino sul tappeto?» suggerì Louis prima di distogliere lo sguardo, improvvisamente impacciato, e riprendere a sfregare le mani sui pantaloncini.
Liam scosse la tesa. «La parte vulnerabile di te che non hai mai voluto mostrarmi. Finalmente. Cominciavo a credere che fossi un robot».
Louis sorrise. «Anche io non la vedevo da un bel po'» ammise guardandolo dal basso del gradino su cui era ancora seduto con silenziosa riconoscenza.
Non si meritava un amico leale come Liam. Si conoscevano da quasi tutta la vita, o perlomeno da quella parte che conta davvero e, nonostante non gli avesse mai dato modo di dubitare di lui o del suo affetto, Louis non era riuscito ad aprirsi neanche con lui. Non lo aveva ritenuto giusto perché il silenzio era la sua punizione.
«Non torno a dormire stanotte» annunciò scendendo il primo scalino prima di voltarsi. «Abbiamo un meeting importante domattina e dovrei andare in ufficio all'alba per rivedere tutta la strategia, tanto vale dormire dai miei e fare il viaggio insieme a mio padre». Con un lieve movimento della mano e il sorriso appena accennato, gli diede le spalle e imboccò il vialetto.
Rientrato in casa, Louis trovò Harry nello stesso modo in cui l'aveva lasciato: in piedi accanto al divano, di una bellezza disarmante nonostante i vestiti sgualciti, i capelli spettinati e gli occhi arrossati.
Si fermò all'ingresso della stanza, il peso del corpo sbilanciato verso destra, contro lo stipite della porta. Fissò Harry per un momento che sembrò interminabile, finché non riuscì più a trattenersi. Abbassò la testa e cedette ai singhiozzi.

*H*

«Lou» lo richiamai con dolcezza, avvicinandomi. La stretta che mi si era formata allo stomaco nel vederlo piangere era insopportabile.
Ma Louis non stava piangendo, lo capii solo a un passo dal suo corpo. Stava ridendo. Dapprima debolmente, muovendo solo le spalle e sbuffando aria dal naso, poi sempre più forte, arrivando a sghignazzare fino alle lacrime. Lo guardai sconcertato ma, se anche non riuscii a unirmi alle sue risate, godetti dello spettacolo che era ai miei occhi. Le rughette agli angoli degli occhi stretti in due fessure, la bocca spalancata a mostrare i denti bianchissimi, la testa buttata all'indietro e la mano a tenersi la pancia. Era una visione. E quella vista, insieme al tono disteso della sua risata, mi fecero sorridere.
«Siamo un casino» dichiarò lui senza smettere di ridere.
Restai in silenzio, immobile al centro della stanza, a osservarlo calmarsi, recuperare un sacchetto dal pavimento accanto al divano e posizionarsi dietro l'isola della cucina. Mi obbligai a reprimere la voglia di avere nuovamente un contatto fisico con lui perché mi sembrava di aver ricoperto il ruolo del maniaco già abbastanza.
Louis tirò fuori due sandwich dal sacchetto e li posò su un piatto. Stringendo in una mano il piatto e nell'altra un paio di bottigliette d'acqua appena prese dal frigo, mi invitò a seguirlo al primo piano, in camera sua. Si sistemò sul divanetto della bay window e mi fece cenno di accomodarmi di fronte a lui. Mi offrì metà del suo cibo e cominciò a mangiare la sua parte puntando lo sguardo fuori dalla finestra.
Mangiammo in silenzio, Louis fissava un punto indefinito del piccolo parco dall'altro lato della strada, io guardavo lui.

*L*

«Hai un po' di maionese qui» Louis gli indicò un angolo della bocca. Harry provò a raggiungerlo con la lingua, senza successo.
«Aspetta» lo fermò Louis sorridendo. Passò rapido il pollice poco sopra il mento ripulendolo dalla salsa ma rimase con la mano a mezz'aria e gli occhi bloccati sul suo viso. Scivolarono sulla sua mascella affilata, risalirono lungo la curva delle sue labbra schiuse, percorrendo il naso in tutta la sua lunghezza, dalla punta fino alla fossetta tra le sopracciglia; indugiarono qualche istante in più su quegli occhi così verdi da far impallidire le campagne inglesi in primavera e ricominciarono il loro percorso da capo.
«Lou» iniziò Harry, incerto.
«Com'è possibile?» Louis ritrovò le parole prima di lui. «Pensavo fossi morto» lasciò uscire il pensiero che lo perseguitava così com'era nato, senza filtri.
Harry impallidì. «Io credevo che lo fossi tu. Ho sentito gli spari e-»
«Anche io li ho sentiti, ma erano lontani da me e ho pensato che ti avessero raggiunto».
«No, Lou. Se anche mi hanno inseguito, non mi hanno trovato. Non mi sono mai fermato, ho fatto come mi hai detto tu. Ho corso e camminato e corso di nuovo fino a che non mi sono imbattuto in una coppia di escursionisti e ho chiesto aiuto».
«Per tutto questo tempo ho creduto che...» la voce gli si assottigliò fino a spegnersi, incapace di ripetere la parola che gli era sfuggita poco prima.
«Anche io» confermò Harry. Perché lui aveva capito, lui era l'unico che poteva farlo e che lo avrebbe fatto sempre. Louis trovò il pensiero rassicurante.
«Prima ti ho detto che mia madre mi ha tenuta nascosta una cosa per anni...» aggiunse Harry.
Louis spalancò la bocca, intuendo cosa Harry stesse per dirgli.
«Eri tu, il fatto che fossi vivo. Mi aveva detto che eri morto. Prima di tornare qui ho scoperto che mi ha mentito, si è giustificata dicendo che tu non ti ricordavi niente e non voleva che io ci rimanessi male se ti avessi incontrato e tu non mi avessi riconosciuto. Non ha mai detto nulla, neanche una parola per quindici anni».
Non si soffermò sull'asprezza con cui Harry pronunciò le ultime parole perché la verità era davvero difficile da processare. Lo spirito di autoconservazione di Louis era la vera causa del dolore di entrambi. Non gli era mai capitato di fare un errore così, e ne aveva fatti di sbagli nella sua vita. Ma questo era su tutto un altro livello.
«Dio, non... non ci credo. È colpa mia, è tutta colpa mia».
Harry gli prese il viso tra le mani. «Che stai dicendo, Lou? Tu mi hai salvato. Ci hai salvati entrambi».
«No, no. Tutto questo è solo colpa mia» si allontanò scuotendo forte la testa.
Harry riprovò ad approcciarsi con maggior delicatezza, con una mano che gli accarezzava il ginocchio. «Va tutto bene, non importa se non ti ricordi tutto. Questo è già molto più di quanto mi aspettassi, io-»
«No, Harry» si alzò improvvisamente in piedi e cominciò a muoversi avanti e indietro per la stanza. «Io ho mentito per tutto questo tempo. Ho detto a tutti che non ricordavo nulla, ma non era vero. Non è vero».
Harry rimase seduto alla finestra, le gambe incrociate, gli occhi che seguivano ogni suo movimento, in attesa che Louis continuasse.
«Quando hanno sparato quei colpi, volevo tornare indietro per aiutarti, ma si stavano avvicinando troppo in fretta e non c'era nessun posto in cui potessi nascondermi. Non avrei potuto far nulla contro degli adulti, per di più armati».
«Davvero ti stai colpevolizzando per questo? Louis, avevi solo dieci anni».
«No, non è questo. Mi sono messo a correre come un pazzo, più veloce di quanto riuscissi, perché volevo trovare qualcuno che potesse venire a salvarti ma sono caduto e ho battuto la testa. Mi sono ripreso poco dopo ma ero confuso, non ero sicuro di dove mi trovassi o cosa fosse successo. Una sola cosa si ripeteva nitidamente nella mia testa, ancora e ancora. Solo tre lettere. Non ero ancora in grado di dargli un significato ma non ho fatto che ripetere il tuo nome per ore mentre vagavo senza meta, finché qualcuno mi ha notato sul ciglio di una strada».
Harry aprì bocca per intervenire ma Louis lo fermò con un gesto della mano. «Mi hanno portato in ospedale e credo siano stati costretti a darmi dei calmanti, a un certo punto. Quando mi sono svegliato non ricordavo quasi nulla dei precedenti dieci giorni, i ricordi hanno cominciato a riaffiorare appena sono tornato a casa. Ho cominciato ad avere dei flash, vedevo il tuo volto, il materasso logoro su cui dormivamo, io che ti facevo provare le mie scarpe per distrarti quando la mancanza di tua madre diventava insopportabile. All'inizio solo piccoli spezzoni di una quotidianità più ampia che ancora mi sfuggiva ma, anche senza riuscire a dare un senso logico a tutte le immagini che mi affollavano la mente, avevo capito chi fossi.
«Mi ero deciso a parlare con mia madre, raccontarle di te e chiederle aiuto. Poi però l'ho sentita parlare al telefono, non so con chi. Diceva che la polizia aveva trovato il posto in cui ci avevano tenuto prigionieri e che non molto lontano dall'ingresso c'erano delle tracce di sangue. Nessun corpo, solo sangue. Ma la quantità di liquido lasciava intendere che nessuno sarebbe potuto sopravvivere a una ferita del genere».
Louis arrestò il fiume di parole per guardare ancora una volta Harry. Lo scrutava come se cercasse un senso alle sue stesse parole nelle linee del suo viso.
«Continuo a non capire quale sia la tua colpa» ammise Harry ricambiando il suo sguardo affilato.
«Pochi giorni dopo il mio ritorno a casa è riapparso tutto: ogni più piccolo dettaglio di te, di quella stanza di merda, di Seven, del Muto». Louis aveva le lacrime agli occhi, Harry parve trattenere il respiro. «Ma non ho detto niente, mai. Anzi, ho finto di non ricordare perché le parole di mia madre mi avevano tolto anche l'ultima briciola di speranza di saperti vivo e al sicuro e non volevo che me ne dessero conferma né che mi chiedessero di te. Non volevo spiegare come la tua presenza mi avesse impedito di lasciarmi andare alla paura, né come ti avessi promesso di proteggerti fallendo poi miseramente. Tu non c'eri più, ed era solo colpa mia. Era giusto che scontassi una pena per il mio errore».
«Lou» lo chiamò con dolcezza, alzandosi in piedi per raggiungerlo, anche lui sul punto di piangere.
«No» tentò di dissuaderlo Louis dandogli le spalle. «Ho sbagliato ancora. Non ero riuscito a salvare la tua vita, mi sono convinto di proteggere quantomeno il tuo ricordo, senza sporcarlo con l'insistenza delle domande dei poliziotti, dei miei genitori o degli psicologi. Saresti vissuto per sempre nella mia memoria, lontano da chi non poteva capire».
«Louis» ripeté Harry prendendolo per un braccio e costringendolo a voltarsi. «Tu mi hai salvato la vita».
«Ho mentito, Harry. Se avessi detto la verità, ci saremmo rivisti subito e non avremmo vissuto quindici anni nella convinzione di essere rimasti soli». Aveva gli occhi fiammeggianti, le mani strette in pugni abbandonate lungo i fianchi, la mascella contratta.
«Basta» gli strinse di nuovo il volto, i pollici a raccogliere le lacrime che avevano ripreso a scendere sulle sue guance. «Sono qui, adesso».
«Sono stato un idiota».
«Shhh» lo zittì. «Lasciamo il passato al suo posto, ok?»
Louis provò a protestare ma Harry frenò ogni suo tentativo posandogli due dita sulle labbra.
Louis pensava che il cuore non potesse battergli più forte di come avesse fatto nell'ultima mezz'ora ma dovette ricredersi quando incontrò gli occhi di Harry. Tutto il resto perse forma e colore. Non c'erano che i suoi occhi, i suoi denti, le sue fossette agli angoli della bocca, le mani che continuavano ad accarezzarlo con una dolcezza quasi reverenziale.
Strinse le dita ai fianchi di Harry, lui lo abbracciò. Forte. Poi lo sollevò prendendolo per le cosce e, con il suo corpo ancora tra le braccia, si lasciò cadere di schiena sul letto e scoppiò a ridere.
«Perché ridi?» gli domandò Louis scostandogli i capelli dagli occhi. Era seduto sul suo bacino, Harry aveva ancora le mani nello stesso punto in cui lo avevano afferrato, a metà strada tra la piega del ginocchio e il sedere, ma non aveva nessuna intenzione di spostarsi.
«Non lo so. Tu sei qui e sembra impossibile, sono così sollevato. Talmente sopraffatto che nemmeno il mio corpo sa come reagire. Forse sono sotto shock. Non so cosa sto dicendo, scusa».
Louis scosse subito la testa senza interrompere il contatto coi suoi occhi. «Ti sento, Haz».
Sì, percepiva tutto con estrema nitidezza. E non attraverso le sue lacrime o le sue risate. Harry emanava ogni emozione direttamente dalla pelle. Louis si sentì avvolgere da una bolla di calore, forte come il sole estivo a mezzogiorno; avrebbe potuto ustionarlo e Louis glielo avrebbe lasciato fare. Voleva assorbirne ogni ondata e lasciarsi scaldare, crogiolarsi per sempre nel fuoco a costo di bruciare.
Senza dire nulla, si sfilò le scarpe facendo leva su ciascun tallone e le gettò oltre il bordo del letto. Scivolò via dal corpo di Harry solo per liberarlo delle sue. Si sistemò meglio su un lato del materasso e lo invitò, tirandolo per un braccio, a posizionarsi sull'altro. Gli si accoccolò contro il fianco e si prese qualche istante per inspirare il suo odore. Non lo aveva mai sentito, non in questa versione di uomo, ma gli era familiare, come una ninna nanna che non ricordi ma sai di conoscere. Si lasciò cullare da quel profumo e dalle carezze che Harry gli stava lasciando tra i capelli finché un sospiro gli sfuggì dalle labbra.
Era combattuto tra il buon senso e l'istinto. Harry era di fatto uno sconosciuto ma Louis sentiva di essergli affezionato come se lo conoscesse da sempre. Non sapeva niente di lui, se non quel poco che gli aveva raccontato nelle ultime ore, eppure riconosceva nei gesti di entrambi, nel modo in cui si guardavano e sorridevano, una naturale quanto inspiegabile confidenza.
Harry allungò l'ultima carezza oltre i capelli, la guancia e la mascella. Con un tocco gentile spinse Louis ad alzare il viso per incontrare il suo sguardo. «Cosa c'è?»
«Parlami» lo supplicò Louis in poco più di un sussurro.
«Di cosa?»
«Degli ultimi quindici anni» fece una smorfia, come se dirlo gli procurasse un dolore fisico. Riprese poi a fissare un punto imprecisato del muro accanto al letto, incapace di reggere lo sguardo di Harry.
«Lou» lo richiamò lui con una carezza e la voce piena di dolcezza, combinazione che gli fece più male di un pugno.
Harry piegò la testa verso sinistra per incontrare ancora una volta il suo sguardo. «Abbiamo tempo».
«Sì?»
Annuì con un tenero sorriso. «Non ti mollo più, Lou. Dovrai cacciarmi per liberarti di me».
Louis rise. «Impossibile».

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top