02. Il taxi

Riconoscerlo fu come una secchiata di acqua ghiacciata, proprio come quegli occhi in cui, per un brevissimo istante, intravidi una scintilla omicida. Non appena mi riconobbe, il suo sguardo si addolcì, pur rimanendo sempre molto curioso.

Con una rapida occhiata sembrò registrare la presenza della mia fotocamera in mezzo alla stanza. Tornò con lo sguardo su di me e prese a squadrarmi da capo a piedi, per poi scuotere la testa sorridendo.

"Miss Mugolii" si stava ricomponendo dietro di lui, sistemando il suo vestito blu elettrico.

«E chi diavolo è questa qui in casa tua, Christian?»

Lui non rispose nemmeno, continuava a fissarmi e sorridermi divertito.

Occhi di Ghiaccio aveva finalmente un nome. Il contatto con il proprietario lo aveva avuto il mio collega, mentre io ero ad un convegno a Bologna.

Una volta tornata però, avevo preparato io l'accordo per il mandato di quell'appartamento. Mi ricordavo che la proprietà fosse una società. Perciò per il momento sarebbe stato difficile risalire al cognome, senza fare domande scomode in ufficio.

«Sono Diana De Santis, l'agente immobiliare incaricata alla vendita.»

«Oh be', tesoro mi fa piacere, ma questo non spiega perché cavolo tu sia qui.»

La voce della biondina era carica di astio e frustrazione fino a diventare stridula ed estremamente spiacevole, tanto che Christian "senza cognome" si degno finalmente di considerarla. Si voltò verso di lei con un sopracciglio alzato e tirò fuori il cellulare dalla tasca.

«Ti chiamo un taxi, Chantal.»

«Scusami? Mi stai pigliando per il culo? Ho passato tutta la notte in quella dannata discoteca ad aspettare di andare a casa con te? E pensi di potermi scaricare così?»

«Mi dispiace davvero, non volevo rovinare i vostri piani. Mi avevano detto che l'appartamento era disabitato e che entro le nove dovevamo lasciarlo libero per degli ospiti.»

«Disabitato? Questa poi! Pensi sia stupida?»

Il proprietario di casa sembrava completamente incurante di tutto quello che la bionda stava vomitando velenosamente.

«Buongiorno, mi servirebbe un taxi all'inizio di via Maragliano. Fra quanto potete arrivare?»

Chantal si passò la mano sulla fronte in preda alla frustrazione. Ora di elettrico non c'era più solo il blu del suo vestito.

«Fra due minuti? Fantastico, grazie!»

«Sei uno stronzo, Christian, sei un lurido stronzo!»

Lui non sembrò reagire. Si infilò le mani nella tasca dei pantaloni con fare annoiato, mentre lei sbatteva la porta blindata dietro di sé.

Anche con quella chiusa, sentivamo rimbombare una sequela di insulti per la tromba delle scale.

Christian "senza cognome" non disse una parola. Si limitò ad andare verso la cucina, si lavò le mani e si dissetò con un bicchiere d'acqua del rubinetto.

Senza l'effetto magnetico dei suoi occhi, cercai velocemente qualcosa di opportuno da dire.

«Mi dispiace molto, non era necessario che interrompesse il vostro... incontro. Io avevo quasi finito. E comunque potevo tornare anche in un altro momento.»

«Ora mi dai del Lei?»

«Sì, beh... È una situazione un po' strana... »

Riprese a fissarmi in modo indecifrabile e infilò nuovamente una mano nella tasca dei pantaloni, facendo roteare al suo interno quello che doveva essere il profilattico di poco prima.

Sentii le mie guance andare in fiamme e fui convinta che se ne rese conto anche lui, perché i suoi occhi, invece di essere fissi come prima, presero ad analizzarmi l'intero volto e poi si soffermarono sulle labbra.

Rimase così, per un lungo istante, mentre io ero nuovamente congelata e totalmente incapace di pronunciare una misera sillaba.

Lasciandomi di stucco, fu lui a rompere il silenzio.

«Io vado, buon lavoro.»

«Come se ne va'? Io ho finito. Davvero non serve. Avrà anche sonno, tolgo il disturbo subito, non si preoccupi.»

«Ma io non dormo qui.»

La mia fronte si corrugò non capendoci più niente. Sembrava quasi essere contento di essersi sbarazzato della petulante mugolosa. In realtà dalla velocità con cui le aveva chiamato il taxi, sembrava non aspettasse altro da ore, nonostante i loro focosi programmi per la mattinata fossero chiari e, a mio avviso, molto interessanti.

Ma cosa diavolo voleva dire che non dormiva li?

Rimase in silenzio per un attimo.

«Non vivo in questo appartamento. Qui porto le persone a cui non ho piacere far vedere dove abito. Prenditi pure tutto il tempo che ti serve, i miei amici hanno disdetto il loro soggiorno proprio ieri sera.»

Rimasi ancora inebetita e senza parole, cercando di capirci qualcosa di quello strano incontro, mentre lui si dirigeva verso la porta.

Si fermò mentre era ancora di spalle e piegò la testa da un lato come a voler dire qualcosa, ma si limitò a sospirare ed uscire dall'appartamento.

Non so quanti minuti rimasi lì impalata a fissare la porta, con l'intento di metabolizzare tutte le emozioni che mi avevano attraversato.

Mi ero sentita così impotente perché, per la seconda volta, quell'uomo mi aveva mandato in pappa il cervello. Ero inoltre decisamente spaventata perché il mio corpo sembrava reagire in modo eccessivo alla sua presenza.

Infine, anche un po' incazzata perché Erika, Christian 'senza cognome' e i suoi dannati ospiti, mi avevano rovinato inutilmente la serata e anche tutti i miei programmi rigeneranti con quella levataccia inutile.

Sbuffai irritata. Mi apprestai a fare i due scatti mancanti e me ne tornai finalmente a casa.

Nonostante il subbuglio delle ultime ore mi addormentai subito profondamente.

Ero di nuovo nell'appartamento sul porto e stavo ancora fotografando. Il suo profumo legnoso e avvolgente mi invase le narici, mentre una fonte di calore mi scaldava la schiena. Delle labbra presero a baciarmi la base del collo lasciando una scia sensualmente umida ed infuocata. Una mano mi afferrò i seni, mentre l'altra si intrufolò nei miei short fino a premere in mezzo alle mie gambe. Con un gemito, mi appoggiai alla spalla dietro di me, roteando il mio capo per guardare in faccia la fonte della mia eccitazione. Voltandomi però, trovai due occhi freddi e glaciali che spazzarono via ogni senso di calore. Un nodo alla gola mi impedì improvvisamente di respirare. Un susseguirsi di beep in lontananza segnavano probabilmente il tempo che mi rimaneva senz'aria.

Mi risveglia tirandomi di scatto a sedere sul letto. Ero andata in apnea nel sogno. Feci dei respiri profondi per tranquillizzarmi, continuando a ripetermi che era stato solo un incubo, nonostante sentissi ancora stringermi la gola. I beep invece erano più che reali.

Una miriade di messaggi da parte di Anna stavano tempestando il mio cellulare abbandonato sul mio comodino. Per evitare che la mia testa e il mio cellulare esplodessero, avviai subito la chiamata.

«Sai Anna, se devi mandarmi ottocento messaggi mandando a fuoco il mio telefono, forse tanto vale che mi chiami.»

«Ehi, l'ho fatto per non svegliarti!»

«Beh lo hai fatto comunque.»

«E il problema sarebbe mio o tuo, se non togli mai la suoneria?»

Anna aveva ragione, non silenziavo mai il mio telefono da quella notte a casa sua, in cui persi quindici chiamate da parte del pronto soccorso del San Martino, dove i miei genitori erano stati portati in condizioni gravi e dove erano mancati nel corso della notte. Togliere la suoneria, aveva significato perdere la possibilità di vederli e salutarli un'ultima volta.

Quando richiamai l'ospedale e il dottore mi spiegò quanto accaduto, ebbi in una sorta di trance dissociativa. Non piangevo, non parlavo, non sentivo più nulla. Era come se il mio cervello fosse andato in stand by. Anna, preoccupata della mia reazione, mi prese il telefono dalle mani e parlò con i dottori. Da lì in poi lei e i suoi genitori si occuparono in tutto e per tutto di me, come se fossi una bambola di pezza inanimata, finché solo la settimana successiva, dopo ben tre giorni dal loro funerale, riuscii a piangere di fronte ad un terapista.

Per un anno intero i genitori della mia amica mi ospitarono a casa loro, mentre per due giorni alla settimana lavoravo con la psicologa sull'accettazione di non avere più le persone che mi avevano cresciuto, guidato, rassicurato e amato da quando ero nata.
Anna e i suoi erano inevitabilmente diventati il mio nuovo punto di riferimento e dire che per me lei era come una sorella, non era mai stato così vero.

«Vuoi dirmi cosa ti ha eccitata tanto da mandarmi tutti quei messaggi?»

«Eccitata? Ma no, Diana, ti stavo scrivendo perché stasera Davide ci ha invitato al The Cave con dei suoi amici»

«Davide eh...?»

«Smettila! Non c'è niente tra di noi.»

«Se lo dici tu...»

«Diana, c'è Peggy Gou stasera...sarà una serata fantastica!»

«Mio Dio, Anna, mi sono appena svegliata e devo già pensare a stasera.»

«Ti prego, ti prego! Ti prometto che ci divertiremo. Poi chi lo sa! Magari incontri quel bel morettone dagli occhi azzurri che ti ha salvato ieri! Era veramente un figo da paura!»

«È un mio cliente. L'ho scoperto stamattina mentre si sbatteva una certa Chantal all'ingresso dell'appartamento che stavo fotografando. Mentre stavo fotografando.»

«O mio Dio! Stai scherzando?»

«No, per niente. Poi ti racconto bene.»

Il solo ricordo di lui avvinghiato a Miss mugolii mi mise di cattivo umore.

«Oh ok... però ti prego, non puoi abbandonarmi stasera! Non conosco nessuno a parte Davide.»

«Eh va bene, ma niente cene fuori o pre-serate! Voglio rilassarmi tutto il giorno. Che ne dici di venire da me in piscina? Mangiamo qualcosa qui e poi ci prepariamo con calma?»

Degli urli acuti mi perforarono un timpano.

«Grazie! Grazie! Grazie! Sei la migliore! Dico subito a Davide di segnarci in lista.»

Poche ore dopo, davanti allo specchio, mi chiesi se non avessi esagerato nella scelta di vestiti e accessori. Un morbido top di seta bianco, una gonna in paillettes argentate, e dei sandali sottilissimi anch'essi argentati, con un vertiginoso tacco dodici.

Avevo provato a non pensarci tutto il giorno, facendo finta che gli incontri con Christian non mi avessero intrigato, ma in quel momento scesi a patti con il fatto che ogni singola scelta del mio outfit per quella serata, era stata dettata dalla speranza di rincontrarlo. Da come si era comportato era sembrato appartenere allo staff, anche se non mi era ancora chiaro il suo ruolo. Ad ogni modo le probabilità che sarebbe stato presente anche quella sera erano alte, essendo il The Cave e l'Hideout, in pratica nella stessa struttura e riconducibili alla stessa proprietà.

Avrei preferito un lungo e rilassante aperitivo, dopo la notte precedente, invece mi ero ritrovata a fare un'altra estenuante serata in discoteca e, in cuor mio, sapevo che il motivo non era unicamente quello di accontentare la mia amica.

Un fischio mi trascinò via dalle mie confessioni segrete.

«Sei uno schianto Diana, meno male che non avevi voglia di uscire!»

«Be' Annina, se proprio dobbiamo farlo, facciamolo come si deve, no?»

«Ci conviene andare in macchina però. Non ti ci vedo molto in vespa con i tuoi sandali...»

«Sì, forse meglio. Hai ragione»

Commisi un errore madornale. Avrei dovuto rispondere "sì, forse meglio se li cambio così possiamo andare in moto e magari non mi maledirò per tutta la sera a causa del dolore lancinante ai piedi".

Purtroppo per me, il male ai miei arti inferiori sarebbe stato l'ultimo dei miei problemi di quella notte.

Ben tornate!

Allora ormai è un pochino più chiaro chi sia l'uomo misterioso! Ora abbiamo anche un nome. Ve lo aspettavate vero?

Come vi è sembrato il comportamento di Christian?

Anche il passato di Diana sembra essere pesantuccio, non trovate?

Fatemi sapere se vi è piaciuto lasciando una stellina.

Intanto vi saluto e ci troviamo al prossimo capitolo!

Un abbraccio!

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