01. La caduta sul ghiacciaio

Era finalmente venerdì sera. Avevo lavorato sodo per tutta la settimana, mi era sembrato di stare dentro un frullatore per tutto il tempo. Avevo avuto sicuramente la mia dose di soddisfazione, ma ero sfinita. Avevo acquisito un immobile sul porto, ricevuto un'ottima offerta per una villa verso San Lorenzo e preparato tutti i documenti per un rogito di una vendita che avevo concluso la settimana precedente.

Aldo Traverso, il titolare dell'agenzia immobiliare dove lavoravo era davvero al settimo cielo per il mio operato. Mi aveva assunto inizialmente per occuparmi solo del marketing, ma aveva intuito presto che ci sapevo fare con le persone. Inoltre, aveva aperto di recente un'agenzia anche a Genova, dove viveva con la moglie. Di conseguenza, a Santa Margherita veniva solo un giorno a settimana, lasciando le redini del tutto a me e ad Alberto Caraccio, l'altro agente immobiliare dell'agenzia. Aldo alla fine mi aveva convinto a prendere il patentino e io mi ero ritrovata a fare totalmente un altro tipo di lavoro, non molto coerente con la mia laurea in architettura. Lavoro che, soddisfazioni economiche e riconoscimenti a parte, non era proprio quello dei miei sogni. Ma per il momento ero contenta così! Avevo un ottimo stipendio, un piccolo, ma grazioso appartamento in un residence con piscina e tanti amici con cui divertirmi.

Amici che avevo trascurato ultimamente, dato che arrivavo a casa tutte le sere distrutta. Non ero riuscita nemmeno ad andare in palestra quella settimana. Perciò avevo da recuperare molte cose e la serata mi stava offrendo tutte le occasioni per farlo.

Era il compleanno di Luca, un mio ex compagno dell'università, e aveva deciso di festeggiare prendendo un tavolo all'Hideout, la parte superiore e più esclusiva del The Cave di Santa Margherita Ligure.

La musica come al solito non era un granché per i miei gusti. Troppo Pop a quasi niente House, ma l'atmosfera della serata era perfetta.

Anna, la mia migliore amica, era come sempre già un po' troppo ubriaca. Era stata mollata dal suo ragazzo da circa tre mesi. E da circa tre mesi eccedeva un po' con l'alcol. Si era tolta i tacchip e saltellava di qui e di là, sui divanetti del privè, aggrappandosi al collo di tutti i nostri amici. Innalzava continuamente una bottiglia di spumante ormai vuota e urlava a squarciagola tutte le canzoni che metteva il dj, ahimè, comprese quelle che nemmeno conosceva.

Quel bastardo del suo ex l'aveva chiusa in un rapporto morboso per tre anni, fatto di continue manipolazioni e violenze psicologiche. Ora Anna sembrava voler recuperare tutta la gioia di vivere che quello stronzo le aveva sottratto, giorno dopo giorno. Ero davvero contenta per la sua rinascita, la vedevo finalmente felice con sé stessa. Aveva ripreso a dare esami all'università e ogni tanto lavorava come extra in un ristorante sul porto. Avevo passato anni a preoccuparmi per lei, mente una volta tornata single dovevo solo semplicemente assicurarmi che non tornasse a casa ubriaca da sola. In genere passavo io a prenderla o al limite, nel caso avessi bevuto più di un cocktail anche io, mi premuravo di chiamare un taxi per entrambe.

Arrivata la quarta bottiglia e relative stelline, lo stato di ebbrezza ed entusiasmo stava crescendo in modo esponenziale. Ci avevano assegnato un tavolo che si trovava a bordo della pista, leggermente rialzato rispetto al resto del locale.

Ad un certo punto Anna saltò in braccio a Davide, il fratello maggiore di Luca, il quale perse l'equilibrio scaraventandomi fuori dal privè. La spinta mi fece inciampare nella corda che delimitava la nostra area, lanciandomi verso la pista a gambe per aria.

Chiusi gli occhi preparandomi a un doloroso impatto, ma una presa forte e avvolgente mi intercettò praticamente in volo. Finii comunque con il sedere a terra, ma qualcosa aveva per lo meno attutito l'atterraggio. Aprii inizialmente solo un occhio, incredula di essere davvero illesa e vidi subito un braccio ricoperto di tatuaggi intorno alla mia vita. Fui inondata da un profumo dai toni caldi e legnosi che quasi mi stordì ancora più della caduta.

«Stai bene? Senti male da qualche parte?»

Mi voltai verso il punto di provenienza di quella voce roca e profonda che, con pochissime parole, aveva già riempito il senso di vuoto creatosi nelle mie budella a causa dello spavento.

Due occhi duri e freddi mi stavano scrutando in modo severo. Avevano lo stesso colore di un ghiacciaio argentino e probabilmente anche la stessa temperatura, dato che mi avevano decisamente congelata. La sensazione di calore delle sue braccia, del suo profumo e della sua voce, erano in netto contrasto con la durezza di quello sguardo.

Completamente inebetita da quella dissonanza, non riuscii a pronunciare mezza parola.

«Hai battuto la testa? Riesci a capire quello che dico?»

Quelle piccole gemme di ghiaccio mi stavano incalzando. Assieme a delle labbra morbide che sembravano muoversi a rallentatore, stavano facendo da magnete a tutti i miei neuroni. Ancora una volta non riuscii a reagire nemmeno con un basilare cenno.

«Ok, forse è meglio se ti porto all'ambulanza qui fuori.»

La minaccia di qualsiasi cosa che si potesse associare mentalmente a un medico, mi diede una immediata scarica di adrenalina che mi riaccese il cervello.

«No, no, sto bene. Scusami, mi sono solo spaventata.»

«Vieni, alziamoci. Meglio toglierci di qui prima che qualche altro ubriaco ti travolga.»

Mi tirò su per gli avambracci e mi rimise in posizione eretta come si fa con i bambini piccoli e soprattutto con la stessa facilità con cui avrebbe tirato su un cartonato.

Solo una volta in piedi mi resi conto che avevo ai piedi solo una delle mie décolleté nude di Michael Kors. L'altra l'aveva in mano lui. Con la calzatura mi fece cenno di sedermi su una poltrona dietro di noi e io ubbidii ancora intimorita da suoi occhi.

Si chinò nuovamente per infilarmela ai piedi e una volta indossata tornò a fissarmi dal basso, aggrottando la fronte e assumendo uno sguardo indecifrabile. Era in posizione di squat. Il tessuto dei pantaloni gli tirava mostrando delle gambe sode e muscolose, in mezzo alle quali giacevano le mie, rigidamente serrate, come fossi una scolaretta il primo giorno di scuola.

«Cerca di stare più attenta per favore e dì ai tuoi amici di andarci più piano. Non mi interessa quante bottiglie avete ordinato o a quanti zeri ammonti il vostro conto. Alla prossima faccio sbattere fuori qualcuno. Non voglio casini qui dentro.»

«Certo... sì... Scusami e grazie... Per avermi preso al volo.»

Non replicò. Si limitò ad annuire con il capo e si rimise in piedi offrendomi il palmo della sua mano come aiuto ad alzarmi dal divanetto.

Allungai la mia e non appena lo toccai di nuovo fui pervasa da una dolce e calda scarica elettrica. Ebbi la sensazione che fosse stato lo stesso anche per lui perché lo vidi deglutire vistosamente, mentre per un attimo i suoi occhi sembrarono essersi scaldati e addolciti. Tenne ben salda la mia mano nella sua e mi trascinò verso l'ingresso del privè. Il buttafuori, vedendoci arrivare, si fece da parte immediatamente. Con fare galante mi alzò la mano per aiutarmi a salire la pedana e poi la lasciò andare, rimanendo fuori dall'area. Con due scalini di differenza di altezza e mezzo metro di distanza, mi sentivo finalmente più alla pari e di conseguenza un po' meno intimorita. Il mio cervello riprese ad essere più reattivo.

«Be'... scusami ancora per esserti piombata addosso e grazie di tutto l'aiuto»

Non rispose, mi fissò dritto negli occhi per un lungo istante ancora in modo indecifrabile. La severità dei suoi occhi era tornata in tutto il suo magnetismo.

Ero sempre stata brava ad interpretare pensieri ed emozioni delle persone, ma quello sguardo era probabilmente impenetrabile anche per la persona più empatica della terra.

Non so quanto rimanemmo a fissarci, come se fossimo in una bolla dove tutta la gente e la musica assordante intorno a noi sembrava essere sparita.

Ma poi, improvvisamente, senza nemmeno degnarsi di un cenno in risposta al mio ringraziamento, distolse lo sguardo rivolgendolo verso un punto indefinito della pista, infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, sospirò impercettibilmente e si voltò per dileguarsi in mezzo alla folla.

Rimasi lì, inebetita e frastornata, per un lungo istante, finché Anna mi tirò per un braccio e mi urlò sbiascicandomi in un orecchio.

«Diana, ma dove diavolo eri finita? Cosa fai lì impalata, dai! Vieni a ballare, muoviti!»

In un attimo mi ritrovai di nuovo nella piccola bolgia del nostro tavolo, con i miei amici che ballavano e urlavano sempre più su di giri. Ancora incuriosita da quell'incontro, scandagliai la folla per cercarlo. Lo trovai subito dall'altra parte della pista, accanto alla cassa del bar. Mi stava fissando anche lui. Il suo sguardo aveva qualcosa di famelico e letale.

Avevo una strana sensazione. Da come mi aveva parlato sicuramente faceva parte del personale, ma allo stesso tempo sembrava un pesce fuor d'acqua. Era vestito con un elegante abito blu scuro e una camicia bianca leggermente sbottonata. Sembrava essere al di sopra di tutto e avere il controllo di tutta la situazione del locale. La sua postura richiamava invece quella di un addetto alla sicurezza con spalle bene aperte, petto in fuori e gambe divaricate. Il suo abito sartoriale da migliaia di euro, però, non faceva intendere che quello fosse il suo ambito lavorativo.

Continuava a fissarmi e io di rimando non cedetti, sentendomi un po' più coraggiosa per via di tutta quella distanza. Non distolse lo sguardo nemmeno quando una bionda, fasciata in un aderente tubino blu elettrico, gli appoggiò la mano sui pettorali e prese a parlargli nell'orecchio. Lui reclinò la testa in avanti per ascoltare meglio, ma senza mai distogliere i suoi occhi dai miei.

Il mio sguardo fu però distratto dalla raffica di messaggi che illuminavano il mio telefono, abbandonato sul divanetto. Chi poteva essere a quell'ora per scrivermi con così tanta urgenza?

[Diana ho provato a chiamarti]

[Diana per favore rispondi]

[Non so cosa fare, è un ora che continuo a vomitare]

[Credo di essermi presa una influenza gastrointestinale]

[Ho febbre anche alta]

[39]

[Non so come fare]

[Ti prego perdonami se ti scrivo solo ora]

[Ma così non riesco a fare lo shooting domani]

[in via Maragliano].

[ Ho sentito il capo per dirgli che avrei rimandato]

[Ma mi ha detto che il proprietario ha affittato casa]

[per settimane ad alcuni conoscenti]

[Gli ospiti arriveranno domani mattina]

[alle nove e mezza]

[Dio non so cosa fare]

[Se gli faccio rimandare la messa online]

[di tre settimana mi ucciderà]

[Lo so che sei a ballare]

[E che avevi bisogno di divertirti]

[Ma sono davvero disperata]

[Riesci a coprirmi tu?]

Ventidue messaggi per pormi una semplice domanda che si poteva riassumere in tre righe o in un audio di meno di venti secondi. Già questo mi aveva fatto cadere le braccia. In più, l'idea di essere operativa alle sette del giorno seguente non era proprio nei miei piani.

Il mio programma iniziale era quello di ballare fino all'accensione delle luci in pista. Fare colazione all'alba con i miei amici, ridendo assieme delle idiozie combinate nel corso della serata. Portare a casa Anna sorreggendola fino alla porta di casa sua e infine chiudermi nel mio appartamento per un sonno di almeno quattordici ore, con qualche piccola interruzione per una pizza e un gelato, non necessariamente in quest'ordine.

Ma Erika era davvero una cara collega. Era con noi da poco e aveva ancora il contratto a tempo determinato, con altr probabilità di rinnovo. Mi era sembrata fin da subito sveglia e con tanta voglia di imparare. Così, in accordo con il mio capo, l'avevo assoldata per fotografare i nostri immobili, alleggerendo il mio carico di lavoro, in modo da potermi dedicare ad altre mansioni. L'avevo presa sotto l'ala e le avevo fatto un corso intensivo di fotografia immobiliare, portandomela dietro in alcuni shooting. Da un mese a questa parte, era diventata completamente autonoma anche con la post-produzione, ed io ero riuscita a respirare un attimo almeno durante il fine settimana.

Non potevo farle fare brutta figura con il capo. Dopotutto, mi piaceva lavorare lì perché eravamo un team con obiettivi comuni. Così, mio malgrado, mi trovai a rassicurarla.

[Non ti preoccupare Erika. Ci penso io. Tu pensa a riprenderti. Ci aggiorniamo]

Rimisi subito via il telefono, senza aspettare che mi ringraziasse con un'altra ventina di messaggi. Quando alzai lo sguardo per ritrovare il mio salvatore, quegli occhi da Perito Moreno erano spariti. Rimasi a cercarlo per un po'. Poi, rassegnata dalla triste sorte del mio weekend, presi a salutare tutti i miei amici per andarmene a casa. Qualche ora di sonno dovevo pur farla. Avrei messo la sveglia alle sette meno un quarto, avrei scattato le mie foto e poi mi sarei ributtata a letto fino al giorno seguente.

«Davide, puoi accompagnare tu Anna a casa?»

«Certo... Con piacere!»

Mi aveva risposto con notevole entusiasmo. Sorrisi, sapendo di aver lasciato in buone mani la mia amica. Anche se lei non era ancora pronta ad ammetterlo, ero sicura che tra loro ci fosse del tenero.

Uscendo dalla discoteca, mi guardai intorno ancora alla ricerca di quelle iridi di ghiaccio, ma non lo vidi. Tuttavia, continuavo a sentire ancora addosso quell'inquietudine che mi aveva trasmesso la durezza dei suoi occhi.

Solo una volta salita in macchina, apparve all'ingresso della discoteca, sempre nella sua postura austera. Mi fissò per tutto il tempo che impiegai ad uscire dal parcheggio ed immettermi in strada.

Quell'imprevisto di lavoro non ci voleva proprio. Il fugace incontro mi aveva in qualche modo destabilizzata e incuriosita. Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa in più su di lui. Inoltre, anche se sembrava appartenere allo staff, era la prima volta che lo vedevo in quel locale e quindi, per quanto ne potevo sapere, poteva essere anche l'ultima.

Non potevo immaginare che in realtà, di lì a pochissime ore, sarei passata dall'essere una completa sconosciuta, al ritrovarmi spettatrice accidentale di un suo momento così intimo e imbarazzante.

*Ogni riferimento a luoghi e persone è puramente casuale e non vi è nessuna correlazione con la realtà

Ben ritrovati nell'angolo del caffè!

Ora avete conosciuto un po' meglio Diana. Cosa ne pensate?

Chi sarà l'uomo misterioso che le ha evitato una disastrosa caduta? Vi inquieta o vi incuriosisce?

Ricordatevi di lasciare una stellina se vi è piaciuto questo capitolo!

Un abbraccio e a presto!

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