Capitolo 4

Vaati


Era tutto buio attorno a me. Non vedevo nulla, ma sentivo che i miei piedi poggiavano sulla fredda pietra. Mi guardai attorno, e sentii una voce flebile che mi chiamava.

- Vaati... Vaati... non lasciarmi...

Era la sua voce. Sentii un brivido salirmi lungo la schiena. Era la stessa della principessa che avevo catturato quel giorno, ma era anche quella della ragazza che amavo. In effetti sembravano la stessa persona. Mi guardai attorno, ma non potevo vederla.

- Zelda! Zelda, dove sei?- cercavo di correre verso il punto da cui la voce proveniva, ma non riuscivo a vederla. Non sapevo dove andavo, e attorno a me non c'era assolutamente nulla.

Poi apparve una luce dall'alto che come un riflettore illuminava una figura sottile, in piedi, ad una ventina di metri da me. Riconobbi i capelli dorati, e l'abito bianco e rosa.

- Vaati...- la sentì chiamare, con tono triste- Vaati... mi hai mentito... avevi detto che non mi avresti mai lasciata...

Corsi verso di lei, ma mi sembrava di avvicinarmi sempre più lentamente. Volevo solo averla con me. Era lei che amavo, era lei che volevo solo poter baciare un'ultima volta.

Mi guardò negli occhi, con un'espressione addolorata- Tu mi hai abbandonata...

Continuai a correre, ma quasi sembrava che io non avanzassi più.

- Io non volevo!- gridai- Io non volevo lasciarti sola!

Lei scosse la testa, e abbassò gli occhi a terra. L'avevo delusa. Sentii qualcosa afferrarmi per la mantella, come una mano artigliata, e un'altra che mi prendeva la gamba. Presto decine e decine di mani scure mi artigliavano le vesti e la pelle, lacerandole e cercando di tirarmi indietro, ma io continuavo a cercare di avanzare, anche se senza successo.

- Mi dispiace! Perdonami! Zelda!

Lei si voltò, mostrandomi le spalle, ed iniziando ad allontanarsi. Qualcosa mi bagnò le guance, mentre io continuavo a gridare, a sperare che si voltasse e tornasse da me. Sentii una sensazione orribile al petto. Faceva male, come non mai. Era un dolore che mi divorava da dentro, e mi faceva quasi venire voglia di strapparmi il cuore con le mani. Avrebbe fatto meno male.

Si era rotto qualcosa.

Una delle mani mi afferrò per i capelli, tirandomi indietro la testa. Sentii altri artigli graffiarmi in viso, lasciando decine di tagli sanguinanti. E io urlavo, ma non per il dolore che mi procuravano quelle mani artigliate, bensì per ciò che sentivo al petto. Non un dolore fisico. Era semplicemente il battito del mio cuore. Era quello a fare male.

Da tanto non lo sentivo battere, e insieme a lui si erano risvegliate del tutto le mie sofferenze e la mia tristezza, prima ancora intorpidite.

Lanciai un ultimo grido ed aprii gli occhi.

Mi ritrovai tra le coperte del mio letto, tremante come un bambino, con il respiro affaticato e un'aria sconvolta. Mi passai le mani sul viso, senza sentire i tagli che le mani mi avevano lasciato nel sogno. Era da quando ero stato liberato che continuavo a fare lo stesso orribile incubo. E ogni volta mi risvegliavo spaventato, ansante. Quanto ero patetico.

Ecco cosa aveva fatto il mondo per me, mi aveva corrotto con i suoi stupidi sentimenti, mi aveva dato un cuore che non volevo e mi aveva fatto diventare debole. Rimasi fermo, cercando di calmarmi, senza emettere un suono. Mi sembrò di sentire un rumore, un battito leggero sul petto. Mi passai una mano sul cuore e lo sentii battere, per la prima volta da secoli.

Cosa voleva dire? Perché aveva iniziato a battere in quel momento?

Ero confuso, e non mi sentivo bene. Era come se il mio cuore ed il mio cervello potessero esplodere da un momento all'altro. Provai a calmarmi, ma il mio respiro continuava ad essere ansante. Non potevo fare a meno di ripensare al mio sogno, alle parole di Zelda. Era solo un'illusione, qualcosa creato dalla mia mente, una mente che sapevo benissimo essere folle. In più, quella sera dovevo aver esagerato con l'alcol, era inevitabile che la mia mente ne risentisse.

Ormai, però, l'alcol era la mia soluzione a tutto. Quando stavo male, quando sentivo i ricordi riemergere, affondavo tutto nel vino. E a quel punto le mie emozioni si intorpidivano, e restavano solamente solamente le sensazioni fisiche, che anche se dolorose non avrebbero mai fatto male come ciò che provavo al petto.

I miei erano forse... sensi di colpa? Avevo lasciato sola Zelda, l'avevo abbandonata, e mai più sarebbe tornata da me.

Io ero un'immortale, e lei era destinata a rinascere ogni volta, dimenticandosi il proprio passato. A pensarci bene, era come una maledizione. Ero destinato ad essere innamorato di qualcuno di morto, che mai avrei potuto raggiungere. Del resto si sa, gli amori tra immortali e umani finiscono sempre in tragedia.

Dovevo riflettere, avevo la testa troppo piena di pensieri. Decisi di alzarmi, e di prendere una boccata d'aria fresca. Mi alzi dalle coperte, afferrai la mia mantella e le scarpe, per poi dirigermi verso l'uscita della mia stanza.

Camminai nella reggia oscura, accompagnato dalle ombre che sembravano seguirmi con lo sguardo, fino ad arrivare ad un balcone in pietra. Il vento freddo mi colpì in viso, lasciandomi un po' stordito. Mi appoggiai alla ringhiera, scrutando il cielo con gli occhi a mandorla. Sotto di me non si vedeva nulla, se non un buio che celava nuvole altrettanto scure, ma guardando in alto potevo vedere il cielo di un blu più profondo di quello degli oceani, e quei piccoli punti luminosi, apparentemente tanto vicini, che erano le stelle. E in mezzo a loro, l'occhio bianco della luna volgeva il suo sguardo sul mondo, illuminando con una luce spettrale la reggia e la mia pelle chiara. Stare lì mi calmava, era un luogo rilassante, e dove non mi sentivo del tutto solo.

- A volte sarebbe bello essere come le stelle- dissi, rivolgendo le parole al cielo- Libere, senza legami, destinate a viaggiare per sempre, senza nulla a fermarle.

Sul mio viso si dipinse un sorriso amaro- Fantastico, ora faccio conversazione con il cielo. Sto diventando del tutto matto.

Mi guardai attorno, sentendomi improvvisamente osservato. Poi, dietro alla finestra da cui si accedeva al balcone, vidi, nella penombra, un paio di occhi azzurri e a mandorla che mi osservavano.

- Tu?- chiesi, facendo un passo verso la finestra- Che cosa ci fai qui?

Zelda andò sul balcone, trovandosi faccia a faccia con me. non era spaventata, non sembrava nemmeno arrabbiata. La sua espressione, però, sembrava vagamente stranita. Aveva forse sentito quello che avevo detto?

- Parlavi... nel sonno. Mi stavi chiamando- disse lei, puntando gli occhi su di me- Perché mi hai chiamato?

Mi insultai mentalmente. Mi ero reso patetico davanti a lei, avevo mostrato il mio lato debole e umano, quel lato che detestavo con tutto me stesso. Le voltai le spalle, appoggiandomi alla ringhiera del balcone, e guardando in basso.

- Vattene- dissi, ringhiando.

- No- rispose lei- Dimmi perché mi hai chiamato nel sonno.

Non avevo la minima intenzione di parlarle. Detestavo farmi vedere debole e bisognoso di protezione.

- E perché ti dovrebbe interessare? Tu mi odi, non vedi l'ora di rivedermi rinchiuso nel sigillo e detesti restare qui con me. Non hai motivo di preoccuparti per me. Ora torna dentro, e lasciami solo.

Lei si appoggiò a sua volta alla ringhiera, di fianco a me, e cercando il mio sguardo. Io, però, continuai a fissare il buio sotto di me, non potevo permettere che vedesse i miei occhi. Sentivo che erano lucidi di lacrime.

Lei era di fianco a me, dopo tanto tempo, ma non ricordava nulla.

- Senti, è inutile che continui a fingere. So che hai un cuore, e sei disperato. Puoi parlare, io capisco queste cose.

Sinceramente non so perché l'ho fatto, ma il dolore al petto era troppo grande. Sentivo il bisogno di parlarne con qualcuno, con chiunque, e alleggerire il peso che avevo al cuore. Le dissi che un tempo avevo amato un'altra Zelda, secoli prima, e che ero stato imprigionato nel sigillo dai quattro eroi prima di poterle chiederle di sposarmi.

- Credo che il destino non possa riservare nulla di buono per me- dissi, cercando di non far tremare la voce- Ma del resto a chi importa? Qui o si è buoni o si è degni di morte, e privi di sentimento. Nessuno ha mai pensato che io potessi avere un cuore.

Mi voltai per un attimo verso di lei, e si avvicinò a me, abbracciandomi. Non disse niente, ma si strinse forte a me, poggiando la testa sulla mia spalla.

- Mi dispiace- disse- Non credevo che fosse andata così.

La sua pelle era calda, e non era una brutta sensazione essere abbracciati in quel modo. Il cuore prese a battere più forte, ed io circondai la schiena di Zelda con le braccia. Era da tempo che nessuno mi mostrava affetto, che sembrava fidarsi di me.

In quel momento mi sentii tranquillo. I miei incubi e le mie preoccupazioni erano cose lontane, e non mi importava d'altro se non di quell'abbraccio sotto lo sguardo candido della luna.














Angolo autrice: Sì, oggi mi sono data da fare con il drammatico ed il sentimentale... e no, non ce la facevo a pubblicare dopo. Spero solo di non aver scritto in modo orribile e di aver reso bene il tutto.

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