Capitolo 12

Vaati

L'uomo aprì la porta della cella con una piccola chiave, facendo entrare la figura smilza della Sheikah che mi era già venuta a trovare. Io mi separai istintivamente dalle sbarre, indietreggiando.

- Che volete?

- Semplice, ragazzino. Il consiglio dei saggi ha deciso.

Mi impietrii per un attimo. Mi sembrò quasi di rivivere i secoli passati nel sigillo. Quell'eterno vuoto, le voci e gli artigli che mi si conficcavano nella pelle, i ricordi migliori della mia vita che mi scorrevano davanti agli occhi, ricordandomi come tutto fosse finito.
Non potevo farlo accadere una seconda volta.

Fissai con odio la Sheikah, che mi afferrò con forza per un polso. Cercai di colpirla in viso, ma lei, con un rapido movimento del braccio, mi girò con la schiena verso di lei, piegata in avanti, e il braccio che mi teneva girato all'indietro in modo a dir poco doloroso.

- Non fare scherzi, Minish.

Minish.
Quanto odiavo essere chiamato così. Io non ero un Minish. Il vecchio Vaati era un Minish, quello stupido allievo che ancora non sapeva niente del mondo, che si faceva mettere i piedi in testa da chiunque, e che veniva preso in giro dagli altri per lo strano colore della sua pelle e dei suoi capelli.
Al solo pensiero venni scosso da un tremito di rabbia.
Nessuno doveva ridere di me, nessuno doveva essere capace di dominarmi.
Era facile dirlo, ma senza la magia ero inutile.

Sentii delle fredde manette di metallo stringersi attorno ai miei polsi, e la Sheikah darmi un calcio leggero, per dirmi di avanzare.
E così feci, proseguendo per le prigioni, scortato dalla donna e dalla guardia. Ad un certo punto fummo raggiunti dai quattro eroi, e a vederli non potei fare a meno di chiedermi dove fosse finito Shadow.

Probabilmente quell'inutile essere non sarebbe riuscito a fare nulla per darmi una mano.
Uscimmo dal castello, iniziando ad attraversare la campagna circostante. Una pioggia leggera picchiettava sui miei abiti, e inzuppava piano piano i miei capelli.

Tenevo la testa bassa, ma sapevo che la gente attorno a me mi riconosceva.
Vedevo gente di tutte le età fissarmi, indicarmi con il dito, e pronunciare parole che non riuscivo a comprendere. La maggior parte di essi, dopo essersi fermato a scambiare qualche parola con le persone lì vicino, decideva di seguirmi.
Del resto, chi si sarebbe mai voluto perdere qualcosa come la reclusione del potente mago dei venti?

Nella mia mente si formò l'immagine del viso dolce di Zelda. L'avrei persa di nuovo. Come tanti secoli prima.
Forse era destino che noi due non potessimo vivere in pace, e stare insieme.

Quasi non mi accorsi di essere entrato nel tempio dove ero stato rinchiuso, e di essermi trovato davanti al sigillo. Alzai lo sguardo, osservando le pareti del tempio coperte da rampicanti, e fissando negli occhi ogni singola persona venuta lì con lo scopo di vedermi sconfitto.

I quattro eroi si posizionarono attorno al sigillo, fissandomi chi con superiorità, chi quasi con pena, come quello vestito di rosso.
Come si poteva provare pena per qualcuno come me?

- In ginocchio, Vaati - ordinò la Sheikah, con tono brusco.

Era umiliante, infinitamente umiliante. Probabilmente nulla mi avrebbe potuto farmi sentire meno orgoglioso di me stesso. Senza nessuna forza o potere magico, in manette, davanti ad una folla di gente che mi odiava e che si stava divertendo un mondo.
Probabilmente se non avessero avuto davanti la corte del regno sarebbero venuti da me a picchiarmi a sangue, godendo nel vedere come il loro nemico era stato ridotto ad un lurido verme.

In ogni caso feci come lei aveva detto, inginocchiandomi a testa bassa davanti al sigillo, con i capelli che quasi sfioravano il terreno.

- Siamo oggi qui riuniti per assistere alla reclusione di Lord Vaati, mago dei venti, e autore di imperdonabili crimini contro la corona - annunciò la Sheikah.

Come se quelle persone non l'avessero già capito.

- Vaati, lei è artefice dei seguenti crimini: tentato omicidio verso i membri della famiglia reale, danni multipli a svariati abitanti dal punto di vista fisico e psicologico, tentato assedio del castello e sequestro di svariate donne e ragazze.

Non so se a causa dello stress o del semplice bisogno di alleggerire la tensione, ma le parole mi uscirono quasi automaticamente dalla bocca - Dell'ultima non mi pento affatto.

Mi sembrò di sentire qualcuno ridacchiare, e subito mi arrivò un calcio sulla schiena, che mi fece incurvare ancora di più la schiena verso il pavimento.

La Sheikah si abbassò su di me, afferrandomi la mano, e, trovandosi a pochi centimetri da me mi sussurrò all'orecchio - Non sei nella condizione di fare battute, Minish.

Mi aveva chiamato ancora così. Diamine, quanto mi dava fastidio.

La donna fece in modo di tenermi la mano ferma, e, afferrato un coltellino, mi procurò un taglio esattamente al suo centro, facendo uscire qualche goccia di sangue.
Non fece male, ma sapevo che quelle gocce color cremisi sarebbero state quelle che avrebbero permesso di rinchiudermi.

Impa portò la mia mano ad alcuni centimetri dal sigillo, facendovi cadere qualche goccia scura del mio sangue e segnando così che sarei stato io a venire imprigionato.

I quattro eroi alzarono tutti insieme la spada, nel momento stesso in cui Impa mi toglieva il bracciale, che avrebbe altrimenti impedito al sigillo di usare la sua magia su di me.
Anche se avessi usato la magia sarei stato in difficoltà, una volta libero. E poi era tardi. Ero immobilizzato, e gli eroi dovevano solo inserire la quadri spada nel sigillo.

In un attimo mi vidi passare davanti tutti i giorni in cui ero stato libero.
Era stato talmente bello sentirsi liberi, anche se solo per poco tempo. Sentire il vento tra i capelli, il sole che scaldava la pelle o la pioggia che la rinfrescava e la bagnava, vedere di nuovo il mondo, vedere lei.

Lei.

Al solo pensiero un sorriso amaro si dipinse sul mio volto. Con lei era stato così breve. Speravo di poter stare davvero con lei. Vivere come due innamorati dovrebbero fare, sereni e tranquilli, sotto lo stesso tetto, dormire nella stessa stanza, passare il tempo semplicemente stando con lei, l'unica che sembrava avermi capito.
Alzai lo sguardo, sfidando quello degli altri, e ammettendo loro che anche io ero capace di provare qualcosa.

Una lacrima solitaria, infatti, mi stava solcando il viso.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top