7 "Il litigio"

Martedì.

Il risveglio fu veramente faticoso, Irene sentiva la bocca impastata e un torpore generale, ma nel contempo sentiva una sensazione di sollievo nell'animo; forse perché aveva esternato sul diario tutte le sue sensazioni, o forse, grazie al sonno tranquillo di cui aveva goduto quella notte.
Si lavò, fece colazione.
Infilò nello zaino il suo quaderno speciale e si diresse verso la casa di Clizia.

"Oggi ho conosciuto un ragazzo bellissimo. Uscendo da scuola mi sono attardata un po' a guardare le vetrine con le mie compagne di classe. La corriera è partita con qualche minuto d'anticipo e così sono stata costretta a salire su quella che porta a San... "
"San... Il nome è illeggibile." pensò Irene.

"Ero seduta vicino al finestrino e guardavo fuori, quando un ragazzo è sopraggiunto chiedendomi se il posto accanto al mio fosse vuoto.
E' stato un colpo di fulmine per me.
Viviamo entrambi nello stesso paese ma non ci siamo mai incontrati. Sarà un segno del destino?
Domani prenderò nuovamente questa corriera."

"Sembra la scrittura di Clizia, anche se ha tentato di camuffarla.
Alcuni tratti sono rotondi, proprio come i suoi. Non doveva farmelo" pensò stizzita, mentre la rabbia le ribolliva sempre più.

Era pomeriggio inoltrato, il sole aveva toccato la cima dei monti e presto sarebbe scomparso dietro di essi.
Irene aveva terminato di studiare e aveva preso in mano il suo diario segreto trovando, con sorpresa, una pagina non scritta da lei.
"E' stato uno scherzo di cattivo gusto, non aveva il diritto di leggere il mio quaderno!" pensò.
Al piano di sotto, il campanello suonò; un minuto dopo qualcuno bussò alla porta della sua camera.
"Irene!" la chiamò Clizia, e aprì "Scusami ma ho bisogno di te per il compito di..."
La ragazza si interruppe notando il viso tirato dell'amica che la guardava con astio.
"Ti sto disturbando? Vengo più tardi? Perché mi guardi così?"
Irene sbatté sul letto il quaderno e indicandolo, le chiese:
"Perché l'hai fatto?"
"Cosa?" ribatté l'altra, cascando dalle nuvole.
"Perché hai scritto quelle assurdità?"
"Sei impazzita? Io non ho scritto niente, non mi permetterei mai, e mi meraviglio del fatto che tu possa anche solo pensarlo di me!" rispose in tono risentito.
"Il mio diario, Clizia; non fare finta di non averlo letto!"
"Tu? Tu... hai un diario segreto?"
Il volto della ragazza passò dallo stupore all'incredulità e, successivamente alla delusione.
"Io sono sempre stata sincera con te; ti ho confidato sempre tutto di me... Ma deduco che tu, di me, non ti fidi abbastanza.
E quando sarei riuscita ad appropriarmi di... questo diario? Stiamo sempre insieme, come avrei potuto farlo sotto il tuo naso?
Pensavo che noi due fossimo più che amiche: due sorelle. Mi sbagliavo di grosso."
Voltò le spalle per andare via; Irene fu presa dal rimorso e la chiamò più volte, ma l'amica non le rispose.
Si affacciò alla finestra e la vide oltre la strada, entrare di corsa nella sua abitazione, sbattendo con violenza la porta d'ingresso dietro di sé.
"Stupida! Stupida! Stupida!"
Imprecò contro se stessa.
Chiamò l'amica al cellulare per scusarsi, per poterle spiegare, ma Clizia aveva spento il suo telefonino; ora era lei, quella davvero arrabbiata.
Prese il quaderno, scrisse un messaggio nell'ultima pagina per la sua amica, poi glielo avrebbe consegnato, le avrebbe dato la possibilità di leggerlo; tanto, per come si erano messe le cose, stava perdendo comunque la sua amicizia.
Che la credesse pure pazza! Preferiva quello alla delusione che le aveva dato, nascondendole i suoi pensieri più reconditi. Chissà, forse c'era pure la possibilità che comprendesse ciò che stava vivendo.
Scese, andò a suonare alla porta di fronte.
Le aprì la mamma di Clizia, Irene le consegnò il quaderno e con una scusa tornò a casa.

"Come avrai letto, mia cara sorella, non si trattava di amori segreti o che altro so io. Sono solo sogni (o incubi?) fatti ad occhi aperti, che mi turbano perché non hanno un senso.
Non te ne ho parlato perché avevo paura di una tua opinione negativa nei miei confronti; avevo timore di essere allontanata da te.
Non metterti a ridere per favore, ma comincio a credere di vedere fantasmi.
Spettri di persone vissute precedentemente, nella mia casa.
Lo trovi buffo? Sto cercando di darmi una spiegazione: non voglio pensare di essere sull'orlo della pazzia.
Vuoi perdonarmi? Vorresti aiutarmi a capire cosa mi sta succedendo? Chi, secondo te, ha scritto su quelle pagine del diario?
Che angoscia! Aspetto con ansia che il mio cellulare squilli per sentire la tua voce.
Smetto di scrivere e vengo a portarti il quaderno. Vuoi essere sempre la mia migliore amica?"

Finalmente la telefonata agognata arrivò: sul display apparve "Clizia".
Irene, con la voce spezzata dal fiatone, rispose: "Mi perdoni?"
Silenzio dall'altra parte.
La ragazza si sentì delusa, aveva vergogna di essersi esposta così; adesso l'avrebbe presa in giro.
Stava per riattaccare quando l'amica le parlò:
"Posso venire da te?"
"Subito!" rispose la ragazza e, richiudendo il cellulare, si catapultò dal letto giù per le scale fino alla porta d'ingresso.
Clizia era già dietro l'uscio, che aspettava.
"Da quanto tempo?" si chiese Irene.
"Eri già qui?"
Lei annuì, rabbrividendo.
"Entra, fa freddo!" si scostò facendola passare. Le due amiche si abbracciarono.
Clizia si appoggiò al termosifone della cucina. Irene preparò caffè caldo per entrambe.
Avrebbe voluto dire tante cose alla sua amica e non sapeva da dove cominciare.
Sorseggiarono la bevanda bollente fissando il quaderno posato davanti a loro, sul tavolo.
Clizia stringeva la tazzina tra le dita intirizzite e inspirava l'aroma caldo che saliva in piccole volute di vapore.
"Da quando ti succede di... sognare ad occhi aperti? Scusa: di avere visioni?"
"Da quando ho avuto l'incidente."
Bevve un sorso di caffè, deglutì poi continuò:
"All'improvviso mi coglie un forte mal di testa e senza accorgermi, ogni tanto mi addormento e... non riesco a capire... mi pare di essere sveglia e mi si presentano davanti agli occhi, mobili, stanze differenti. Come avrai letto, vedo anche una donna vestita di nero o una bambina. A volte pare si accorgano di me, altre, si muovono per le stanze come se io non esistessi."
"Tu pensi che si possa trattare di gente vissuta qui, prima di voi?"
Irene annuì, poi tirò su le spalle.
"Non so cosa pensare. La prossima settimana andrò a fare la risonanza magnetica. Chissà che non riveli qualche causa interna che mi provoca tutte queste assurde visioni."
Clizia aveva finito di bere il suo caffè ma teneva ancora stretta la tazzina blu tra le mani e la fissava assorta, chiudendo gli occhi a fessura.
"Oggi hai portato a scuola il diario?"
"Si, ma non l'ho messo fuori dallo zaino, è rimasto confuso tra gli altri quaderni, al suo interno ."
"Beh, qualcuno l'ha preso; anche se non riesco a capire come sia riuscito... Dobbiamo fare due fotocopie del brano e confrontarlo - senza dare nell'occhio - con la scrittura dei nostri compagni. Il diario intanto, mettilo al sicuro, lascialo qui a casa. Ok?"
"Andiamo nello studio di papà, faccio subito le fotocopie."
Il giorno dopo, durante l'intervallo, le ragazze avevano adocchiato la prima sospetta: Maria.
Clizia le chiese il favore di prestarle degli appunti da confrontare con i suoi. La scrittura era rotondeggiante, simile a quella della fotocopia.
Dopo pochi minuti restituì alla compagna il suo quaderno, in cui aveva infilato la fotocopia; fece in modo che questa cadesse dalle pagine e raccogliendola dal pavimento, gliela porse dicendo:
"Ti è caduto questo foglio!"
Maria diede un'occhiata veloce e rispose:
"No, non è mio." Col braccio alzato stava per richiamare l'attenzione di tutta la classe, per restituire al legittimo proprietario il foglio, Irene glielo strappò di mano.
"È mio, grazie."
Croce su Maria: eliminata.
Nessuna reazione sospetta, nemmeno si era accorta che non erano appunti scolastici.
L'insegnante d'inglese entrò in classe, le due amiche si guardarono negli occhi:
"Domani tocca ad Alessandro."
Non parlarono ma si intesero con lo sguardo posato sul ragazzo seduto al primo banco a sinistra della cattedra.

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