5 "Domenica"

Irene aveva preso un calmante (come si era ripromessa di fare) e aveva avuto un sonno ristoratore, senza incubi.
Era quasi mezzogiorno quando si svegliò.
Pranzò con i suoi genitori e poi si recò a casa di Clizia proponendole di andare al lago a fare il giro attorno alle sue sponde.
Il sole era tiepido, il cielo quasi bianco. Le due amiche passeggiarono tranquillamente, chiacchierando della serata precedente.
Clizia era entusiasta di Bruno; Irene invece, ci tenne a sottolineare il fatto che non aveva la minima intenzione di approfondire la relazione con Francesco, né con nessun altro ragazzo.
"Per favore! Se tu lo rifiuti, Francesco non verrà più e non potrò incontrare Bruno!" esclamò disperata.
"Se ci tiene a te, verrà da solo." replicò Irene.
"Non ha la macchina, ti prego!" la supplicò Clizia.
Irene sospirò esasperata:
"Va bene, però mettiamo bene in chiaro che io non mi fidanzo con tuo cugino! Ci uscirò solo per farti un favore!"
"Ma non trovi che sia carino? Non ti piace nemmeno un po'?"
"Sì, è carino, però ..." le venne in mente il sogno del mattino precedente: Roberto era così bello e lei ne era così innamorata.
Una fitta di rassegnata gelosia le trapassò il petto, al pensiero di Elena e lui, della bella famiglia che avevano costruito.
Scosse la testa cercando di allontanare quelle assurdità dalla sua mente.
"Andiamo via? " propose all'amica "Devo studiare bene per la verifica di domani, voglio riprendere alcuni argomenti che quasi non ricordo più."
"Allora stasera non esci?"
"Sì!" rispose esasperata" E lo sa pure Francesco. Andiamo?"
Entrando in casa, Irene adocchiò i suoi genitori addormentati sul divano, davanti al televisore acceso; si mosse lentamente verso la cucina cercando di non far rumore e preparò la caffettiera.
Sorseggiò il caffè col latte, ridacchiando dei suoi "vecchi" che russavano all'unisono.

Prima di salire al piano superiore, estrasse dalla borsa il suo cellulare e lo spense, poi si diresse nella sua camera per cominciare a studiare.

Le restava da ripetere l'ultima lezione: quella che aveva perso a causa dell'incidente.
Erano passate due ore da che aveva cominciato a studiare; il sole era tramontato e lei aveva acceso la lampada sulla scrivania.
Prese tra le mani gli appunti che Clizia le aveva dato.
Un forte mal di testa comparve all'improvviso: sicuramente era associato al ricordo di quel mattino.
Decise di concedersi una pausa.
Cos'era successo?
Aveva sentito due mani cingerle le spalle e qualcuno le aveva baciato la guancia.
Si era nuovamente addormentata senza rendersene conto, la testa appoggiata alla scrivania.
Si guardò attorno: non c'era nessuno ma aveva addosso una coperta in pile rossa, leggera e calda.
"Dove mi trovo?" si chiese.
"Non è la mia stanza" pensò "Sto sicuramente sognando!" concluse, e cominciò a guardarsi attorno.
La scrivania era laccata bianca, vi erano impilati diversi libri. Prese il primo in alto: la copertina era celeste: si trattava di un libro di letteratura francese.
Lo posò e ne prese un altro.
Copertina verde: latino.
Copertina rossa: storia.
Lasciò i libri sparpagliati.
Alla sua destra c'era una lampada rosa con fiorellini bianchi; era spenta.
Nel suo sogno era ancora pomeriggio e la camera era rischiarata dalla luce del sole.
Alla sua sinistra ( prima nascosti dalla pila di libri) erano visibili un piccolo stereo nero con audiocassetta e due portafoto.
Irene afferrò il più vicino: la cornice era argentata, liscia; la foto ritraeva il viso di un ragazzo: carnagione olivastra, occhi neri, capelli folti e scuri.
L'immagine era in bianco e nero e, a giudicare dal colletto della camicia chiara e dal taglio dei capelli, pareva in stile anni settanta.
Irene non ricordava di aver mai visto questo giovane, che poteva a malapena raggiungere i trent'anni.
Posò il portaritratti e prese l'altro che era di dimensioni maggiori.
La cornice, anche questa d'argento, era intarsiata con disegni a fiori. L'immagine era ingiallita, raffigurava nell'intera figura, due sposi davanti la torta nuziale. Entrambi sorridevano: lui era giovanissimo e impacciato nel completo scuro.
Era il ragazzo dell'altra foto.
Lei.
Lei era...
Ma quanti anni dimostrava? Diciassette? Era poco più che una bambina.
Il corpo snello, avvolto dall'abito bianco. Era forse un po' di pancia quella che i veli della gonna lunga non erano riusciti a coprire?
Il viso rotondo della fanciullezza, i capelli neri, raccolti in uno chignon da cui scendeva una piccola veletta; il collo incorniciato da qualche boccolo corvino.
Era incinta? Poteva essere? A quei tempi avrebbe potuto, una ragazza, rimasta incinta prima del matrimonio, indossare l'abito bianco?
Irene sorrise.
"Però, che fantasie assurde riesco a produrre in sogno" pensò.
Guardò bene il viso della ragazza.
"Sì: è la versione giovane della donna vestita di nero!" pensó.
La ricordava ancora bene; dei brividi le percorsero la schiena. Non è piacevole svegliarsi, aprire gli occhi e vedere un'estranea china su di te, che ti fissa.
Posò la foto sulla scrivania e si girò a guardare la stanza.
La finestra era in materiale anticorodal dorato, si alzò dalla sedia di legno e si mosse verso di questa.
Qualcosa al suolo le impediva di muoversi: abbassò lo sguardo sul pavimento lucido, di un verde con striature marroni: niente.
Eppure qualcosa ostacolava i suoi piedi, impedendole di avanzare.
Qualcosa di invisibile. Che sogno!
Provò a muoversi di lato e finalmente riuscì ad avvicinarsi alla finestra.
Scostò le tendine bianche di pizzo e guardò fuori: un cortile con il pavimento in cemento, una fila di vasi con diverse piante e fiori. Un muretto circondava l'intero cortile, e in cima a questo, lungo tutto il suo perimetro c'erano cocci appuntiti di vetro, di bottiglie verdi, messi apposta per scoraggiare probabili incursioni dei ladri.
In alto si intravedeva il cielo terso e una nuvoletta rosa; all'orizzonte, il disco del sole aveva il colore di un tizzone acceso.
Irene rimase estasiata da quello spettacolo onirico; quello che riusciva a vedere dalla finestra della sua camera, nelka realtà, era un sole bianco che scompariva anzitempo, inghiottito dalle alte montagne.
Udì un rumore alle sue spalle e si voltò.
Rimase impietrita, rigida, i muscoli tesi.
La donna vestita di nero!
Le voltava le spalle e rimetteva in ordine i libri che lei aveva sparpagliato sulla scrivania; erano di nuovo impilati, uno sopra l'altro.
La donna pareva non essersi affatto accorta di Irene, accostò la sedia al tavolo.
Era vestita a lutto. Era morto il ragazzo della foto, suo marito? Ma che sogno è questo?
In fondo, la porta aperta lasciava intravedere il tavolo rotondo che aveva visto coperto di regali in occasione del compleanno della bambina dagli occhi verdi.
Dopo il primo momento di sconcerto, la ragazza decise di seguire la donna che si incamminava verso l'uscita della camera.
Fece tre passi ma qualcosa di invisibile la fece inciampare.
La donna non si girò.
Irene si rialzò e corse fuori dalla porta per raggiungere l'estranea.
Fu un attimo.
Cos'era successo?
Sentì un forte dolore al naso e alla fronte, ricadde indietro.
Adesso sì che era sveglia.
Davanti a lei c'era la parete bianca, nessuna porta che dava su un fantomatico salone.
Si girò a guardare indietro: era nella sua camera da letto, al centro della stanza c'era lo zaino su cui era inciampata. Sul pavimento, la coperta rossa.
Sonnambula.
Di nuovo.
"Devo stare attenta" pensò "Dovrei chiudermi a chiave o uno di questi giorni ruzzolerò per le scale e mi farò male sul serio."
La giovane sentì qualcosa di caldo colarle sulle labbra: sangue.
Perdeva sangue dal naso.
Prese un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e tamponò la narice destra.
Aprì la porta della stanza e scese le scale, diretta in cucina.
Vi ritrovò entrambi i genitori, ai quali raccontò l'accaduto.
Il padre la fece accomodare sul divano facendole tenere la testa inclinata, mentre la madre andava a recuperare la borsa del ghiaccio.
"A che ora c'è la dottoressa, domani?"chiese l'uomo.
Giovanna tirò fuori dal suo borsellino un foglietto e lesse:" Lunedi: dalle 18 alle 20:30."
"Domani mamma lavora di pomeriggio, Irene, non andarci da sola; aspetta che io torni da lavoro, voglio sentire cosa dirà il medico. Questa storia del sonnambulismo comincia a preoccuparmi."
La ragazza tenne la borsa del ghiaccio sulla fronte per alcuni minuti, poi la posò nel lavandino e si diresse in bagno per lavarsi bene il viso.
"Pronto! Si mangia!" urlò sua mamma mentre metteva i piatti in tavola.
Irene raggiunse i suoi genitori e sedette.
"Ops!" fece suo padre:
"Dimenticavo: ha telefonato Clizia. Ha chiesto di contattarla quando ti fossi svegliata."
Era stato suo padre a posarle il plaid sulle spalle e a baciarle la guancia.
Irene sorrise e si alzò.
"Mamma faccio in un attimo, le telefono e sono subito qui!"
Non aveva voglia di uscire; afferrò la cornetta e digitò il numero di casa dell'amica. Sapeva già cosa voleva; in breve le raccontò dell'improvviso forte mal di testa e della craniata contro la parete.
No, questa sera sarebbe andata a letto presto: non si sentiva bene.
"Glielo dici tu a Francesco? Se gli telefono io adesso, è probabile che non venga più stasera. Glielo spieghi tu dell'incidente, delle mie improvvise cefalee... Mi dispiace, non me la sento di farmi vedere con questo naso viola. Ci vediamo domani. Oh! Aspetta! Non me la sento di guidare fino a scuola domani... Ci accompagnerà tua madre per tutta la settimana? È veramente un tesoro. Grazie!"
Irene studiò gli ultimi appunti, seduta accanto al padre, in salotto.
Alle h 21,30 diede la buonanotte ai suoi genitori e salì nella sua camera.
Prese, come la sera precedente, il calmante, puntò la sveglia per le 6 del mattino: avrebbe ripassato di nuovo i capitoli; infine si infilò sotto le coperte addormentandosi all'istante.

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