2 "Visioni"
Irene non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di suo padre il giorno dell'incidente: fu l'unica volta che lo vide piangere.
Lei era disperata, aveva distrutto la sua auto e se ne vergognava.
"Tesoro, cosa vuoi che mi importi della macchina?"
Suo padre era un uomo vicino alla cinquantina, dai vivaci occhi nocciola, i capelli lisci di un colore castano-rossiccio misto ai primi fili d'argento; era molto legato a sua figlia, la viziava e riempiva di attenzioni.
La madre era un tipetto bruno dai capelli corti, piccolina di statura ma tutto pepe, con l'argento vivo addosso. Lei era severa e, pur amandola molto, difficilmente riusciva ad esternare i suoi sentimenti nei confronti della ragazza.
Entrambi i suoi genitori lavoravano e, lei, ben presto aveva imparato ad essere indipendente e a passare tante ore da sola in casa.
Quella settimana sua madre, che lavorava come operaia in una ditta, chiese alcuni giorni di ferie per starle accanto e parve anche diventare più affettuosa.
Era un pomeriggio inoltrato, a Irene doleva la testa, si era messa a letto ed era sprofondata in un sonno profondo ma ogni volta che si addormentava, riviveva in sogno l'accaduto.
A volte si trovava nella stradina sterrata dove aveva avuto luogo l'incidente; a volte si vedeva alla guida di una macchina sconosciuta, immersa in un paesaggio di sua invenzione ed appariva, puntualmente, quel maledetto gatto, alternandosi ad un randagio.
Si svegliava di soprassalto, madida di sudore con il cuore che le batteva all'impazzata.
"Un altro incubo" pensò.
La ragazza si tirò su a sedere, ansante, aveva tanta sete. Scese dal letto, infilò le pantofole e si diresse verso la porta che dava sul vestibolo.
"Devo bere subito" pensò, poi si fermò ad ascoltare: c'era gente in casa, udiva anche voci di bambini.
Socchiuse la porta e, anziché vedere la balaustra del pianerottolo, si ritrovò in una stanza sconosciuta.
Si trattava di un soggiorno arredato con mobili di ciliegio.
Al centro della stanza vi era un tavolo rotondo e sopra di esso si trovavano dei pacchi regalo, piatti di plastica contenenti vari snack: patatine, pop corn, dolcetti, biscotti, bibite; non poteva mancare una torta alla panna e cioccolato.
Sette bambine attorno alla festeggiata cantavano:
"Tanti auguri a teeee!".
La fanciulla che compiva gli anni, dimostrava all'incirca otto o nove anni di età, aveva lunghi capelli di un castano scuro e grandi occhi verdi.
Un luminosissimo sole inondava la stanza e quell'atmosfera felice.
D'un tratto l'immagine cominciò a dissolversi.
Da molto lontano, proveniva una voce che la chiamava:
"Irene! Irene!" e, mentre il salone svaniva davanti ai suoi occhi, più vicina e nitida risuonava la voce che la chiamava.
"Mamma!" esclamò vedendo la donna di fronte a sé.
"Parevi in trance, continuavo a chiamarti ma... Penso che stessi sognando ad occhi aperti!"
"Si, era un sogno...bello."
"Sono salita per controllare se avessi bisogno di qualcosa."
"Volevo scendere a bere un po' d'acqua."
"Ti ho lasciato una bottiglia con il bicchiere sul comodino, andiamo" la esortò la donna e, dopo averle dato da bere, le rimboccò le coperte come se sua figlia fosse ancora una bambina.
"Dormi, riposa tesoro, io resterò qui finché non ti addormenterai. Buonanotte."
Le sfiorò la fronte con le labbra.
La ragazza si assopì quasi subito, non sentì il campanello di casa quando suonò.
Sua madre, cautamente, si allontanò e scese ad aprire la porta.
Un uomo alto, dai lineamenti regolari, capelli neri leggermente brizzolati alle tempie, occhi grigio-azzurri sottolineati da lunghe ciglia nere, si stagliava con un grande sorriso.
"Ciao Roberto" salutò la donna.
"Ciao" rispose il vicino di casa "Come sta Irene?"
"Abbastanza bene, grazie, sta riposando."
Il viso dell'uomo si rabbuiò.
"E' successo qualcosa? Prego, accomodati."
La donna si spostò di lato per far entrare l'amico.
"Sono di corsa. Elena non sa che sono qui. Domani e' il suo compleanno e volevo farle una sorpresa portandola a cena fuori; l'inconveniente è che Andrea si addormenta molto presto la sera, così volevo chiedere a Irene se fosse disposta a venire da noi per fargli compagnia. Confesso che non mi fido di nessuno; so che mio figlio l'adora e non avrà problemi a restare a casa con lei."
I due si guardarono negli occhi, rimanendo per qualche secondo in silenzio, poi la signora rispose:
"Ti faccio telefonare non appena si sveglia."
"Grazie... Non dimenticarti di farlo, perché se lei accetta, io prenoto subito il ristorante. Grazie Giovanna!"
***
Nove di sera.
Irene si svegliò, si stiracchiò nel letto sentendo i muscoli indolenziti. Aprì gli occhi e vide, china su di lei, una donna sconosciuta che la fissava con un'espressione indecifrabile; i capelli neri, raccolti in una crocchia, occhi castani, sopracciglia rade, il pallore del viso accentuato dal vestito nero che indossava.
Irene sentì la pelle accapponarsi e urlò con tutto il fiato.
Chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì, la figura nera era svanita.
Fortunatamente la televisione al piano di sotto aveva coperto il grido, si era resa conto di aver sognato di nuovo ad occhi aperti.
***
"Venerdì sera non ho niente in programma, Roberto."
Irene aveva subito chiamato il suo vicino per dargli la sua disponibilità.
"No. Non voglio soldi!" aggiunse, ridendo alla sua immagine riflessa nello specchio dell'attaccapanni.
Si riavviò una lunga ciocca liscia color miele:
"Per me è un piacere."
I suoi occhi avevano la tonalità identica dei capelli, il che la rendeva attraente e unica.
"Andrea è il fratello minore che ho sempre desiderato e che non ho mai avuto, lo sai... Domani sera verso le otto e un quarto. Ci sarò. Ciao, a domani!"
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