❄️ Davion ❄️
Vedere tutti quegli occhi osservarmi come nuovo arrivato, come ogni maledettissima volta, mi dava il voltastomaco. Riuscivo quasi a sentire i loro pensieri sconnessi formarsi senza capo né coda, andando a disperdersi per tutta quella materia grigia a malapena esistente.
Cercai di sorridere, nonostante quella patetica ragazzina mi stesse ancora guardando come un'ebete. Non che non lo fosse, ma odiavo quei suoi sudici occhi addosso. Avevo capito subito che tipo di persona era, e già mi stava mandando su tutte le furie. Negli ultimi decenni, in ogni classe che avevo frequentato non era mai mancata la classica eroina che si sentiva incompresa, vuota dentro, ma che aveva l'insolenza di credersi speciale e unica nel suo genere. Provavo pena per gente così; erano come topi chiusi in gabbia. Poco coscienti persino di loro stessi e convinti che il mondo finisse dove finivano quelle sbarre, ignorando tutto ciò che stava al di fuori di esse.
Mi domandai ancora come facessi a sopportare di essere in mezzo a queste persone così sciape, con cui la vita, quando aveva consegnato intelligenza e virtù, era stata piuttosto avida, ma, d'altronde, era la natura delle cose: una misera gallina non poteva di certo deporre un uovo di drago.
Purtroppo non potevo fare altrimenti che abbassarmi a questo, faceva parte della mia natura essere costretto a condividere il mio prezioso tempo che, seppur perpetuo in confronto alle loro effimere vite, rimaneva sprecato, ma si trattava di un prezzo che ero disposto a pagare per essere Me.
«Buongiorno, grazie signorina Ivy» esclamai, mimando un misero inchino che tolse il fiato alla stupida professoressa, sorpresa dalla cordialità e dall'educazione dei miei gesti. La mia voce grave e seria fece convogliare l'attenzione di quei pochi che ancora non avevano puntato il loro immeritevole sguardo su di Me.
«Mi presento» dissi, un attimo prima di sistemarmi i ciuffi biondi davanti al viso, per poi continuare. «Io sono Davion Axellsön. Sono originario della lontana Svezia, patria di Vichinghi e di molte leggende. Mi sono da poco trasferito a Boston, anche se ormai è un po' che vivo qui, in America. È un piacere e un grande onore, per me, fare la vostra conoscenza oggi.» Mimai un secondo inchino, questa volta più evidente, al quale sentii la classe sospirare all'unisono, un po' per astio, un po' per ammirazione.
La stolta professoressa, che sembrava così entusiasta della mia presentazione, passò i secondi successivi a osservarmi, quasi fino a stropicciarsi gli occhi per capire se fossi reale o no. Sorrisi a quei gesti che, seppur giunti da uno stupido Mortale, rendevano il suo privilegio di osservarmi e di parlarmi un po' meno indegno.
«L'onore è sicuramente nostro, carissimo Davion» riuscì finalmente a replicare la donna. «Scegli un posto libero e siediti» continuò, presumibilmente senza trovare altre parole abbastanza decorose per la mia persona.
«Ah...» sospirò mentre mi dirigevo verso un banco libero, in seconda fila. «Se trovi qualche volenteroso, fatti mostrare il nostro bellissimo college durante l'intervallo.»
Sentii sospiri femminili provenire dai banchi dietro di me, fuoriusciti dalla bocca di coloro che già bramavano di passare un po' del loro tempo con il Sottoscritto, ossia tutta la classe, a parte, forse, qualcuna che nemmeno sperava la degnassi di uno sguardo e si era già rassegnata, per un motivo del tutto estetico o per pura demenza, come quella patetica ragazzina castana dal viso sporcato dalle lentiggini. La stessa che credeva non mi fossi accorto della sua presenza mentre metteva il naso in affari che non la riguardavano.
La lezione proseguì in modo del tutto monotono e soporifero. Ero sicuro che con un minimo di impegno da parte mia sarei stato in grado persino di arrivare a capire da che libro la sorridente, seppur noiosa, professoressa Ivy aveva imparato gli argomenti che insegnava a memoria, tralasciando ben intendere che occupava l'impiego di docente solo per ignoranza generale. Aveva probabilmente ricevuto una laurea da persone incompetenti almeno quanto lei, ma ormai ci avevo quasi fatto l'abitudine. Negli ultimi decenni la professionalità degli insegnanti era calata letteralmente a picco, non che m'importasse, ma mi piaceva immaginare la questione come se fosse un corpo lanciato nello spazio e, quest'oggetto, non avendo nessuna forza d'attrito contraria, continuava a raggiungere velocità sempre più elevate, sino a renderlo inarrestabile. E si sapeva, una forza inarrestabile non si poteva fermare, a meno che non si andava incontro a un paradosso; faccenda affascinante, ma del tutto irreplicabile.
Era difficile che qualcuno riuscisse a catturare la mia attenzione in una stupida classe, ma stranamente la signorina Ivy così fece. La causa, però, era tutt'altro che positiva, anzi, avvaleva ancora di più la mia tesi.
«La diffusione facilitata è un processo di trasporto passivo cellulare, in quanto non richiede consumo di ATP. Le specie chimiche vengono trasportate da una zona con più alto potenziale elettrochimico a una zona con più basso potenziale, e avviene tramite delle proteine dette "canale". Il trasporto attivo, al contrario, è mediato da proteine carrier, le quali consumano ATP e riescono ad attraversare il doppio strato lipidico.»
La signorina Ivy commise un grave errore enunciando quelle parole. Nonostante avesse davanti la grande lavagna digitale con tanto di disegni esplicativi, non riuscì a contenere la propria ignoranza che affiorava silenziosa ma evidente, come un fardello arduo da nascondere.
Ebbi fatica a mascherare lo sghignazzo derisorio che era nato spontaneo in me, evitando alla suddetta, che vantava l'attributo di professoressa, di fare una mala figura più grave di quella che già aveva fatto, tuttavia non riuscii a contenermi dalla voglia irrefrenabile di correggere la banalità che aveva appena sentenziato.
«Signorina Ivy» chiamai, cercando di fingere un po' di timidezza e insicurezza in quelle parole. Cose che, al contrario, non erano per niente presenti in me.
«Sì, Axellsön?» mi domandò, con uno sguardo da cui lasciava trasparire incertezza nel momento in cui pronunciò il mio cognome.
«Non vorrei commettere un errore, ma la funzione delle proteine carrier non è riservata esclusivamente al trasporto attivo, bensì anche al trasporto passivo della diffusione facilitata.»
Notai nella professoressa un dubbio amletico nascere nel suo sguardo. Sembrava darmi ragione, ma ero convinto che ancora stava cercando di raccapezzare le sue idee tra sé e sé, così fui costretto a continuare per aiutarla a chiarire le proprie idee.
«Se fosse come dice lei, le molecole più grandi e polari, come gli zuccheri semplici o il calcio, non potrebbero essere trasportate, in quanto i canali non prevedono il trasporto di molecole del genere.»
Nel momento in cui finii la frase, la professoressa si girò per pochi istanti diretta verso la lavagna digitale, ricordandosi, forse, di avere la risposta proprio sotto gli occhi, così tornò a guardarmi confusa, ma con uno sguardo ammirato.
«Hai ragione, Davion... mi ero distratta e mi era sfuggito un particolare non da niente. Noto con gran piacere che sei molto preparato, forse anche io avrò il piacere di riposarmi un po' con te che mi correggi.» La professoressa rise in modo nervoso, e io sorrisi di conseguenza.
Finalmente era consapevole appieno dell'errore che aveva appena commesso, ma, sfortunatamente per lei, sapevo già che non lo sarebbe mai stata della sua ignoranza.
Capitolo scritto da AlexisSanset.
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