4. Conoscenze

La sveglia suona sul comodino che Beck ha fatto installare nella stanza, appena accanto al letto. Allunga il braccio e disattiva l'allarme, riappoggiando pesantemente la testa sul cuscino. A farla mettere in piedi ci pensa Leyla perchè sono le otto e trenta del mattino e deve ripulire la stanza.
"Beck, svegliati" dice, superando la porta di ingresso che si apre solo attraverso le impronte digitali che il robot Leyla ha acquisito stringendole la mano. "Hai la prima prova e non credo tu voglia perderla."
"Hai ragione" dice Beck, mettendosi seduta sul letto e legandosi i capelli lunghi in una coda alta. Quando gli occhi si abituano alla luce nota che Leyla sorregge tra le mani un vassoio ricolmo di dolci. "Ma questi-"
"Li ho presi per te, per augurarti un buon inizio." Sorride.
B

eck si alza e guarda attentamente tutte le prelibatezze che il robot le ha portato nella stanza. "Sei stata molto... gentile. Grazie."
"Figurati. Ora, se non ti spiace, appoggio il vassoio sul tuo comodino così inizio a sistemare." Leyla si guarda intorno, notando le magliette sparse a terra e le scarpe scomposte. "Anche perché ho un bel po' di lavoro da fare."
Beck solleva le spalle mentre avvicina alle labbra un pezzo di ciambella ricoperta di zucchero a velo.

Per arrivare nella stanza delle prove Rebeckah deve ripercorrere il corridoio chilometrico dell'altro giorno e attraversare tutta l'Aula Magna. Su un lato si apre una porta scorrevole che le mostra in anteprima cosa troverà dentro.
Quando Beck supera l'ingresso della nuova stanza, vede diverse postazioni allestite con dei monitor ologrammati e interattivi. Diversi ragazzi sono già in posizione e smanettano con lo schermo che illumina i loro occhi. Sul lato opposto della stanza, dietro un'enorme scrivania, siede la Spritz, una donna bassina con voluminosi capelli ricci. Beck prende posto alla penultima fila, guardando i suoi vicini di postazione. A destra c'è un ragazzo dai capelli biondo platino e gli occhi scuri. A quanto sta scritto sul suo badge, si chiama Richard mentre la ragazza alla sua sinistra ha capelli cortissimi e colorati di blu. Il suo nome è Clarisse ed è impegnata a parlare con l'altro ragazzo dietro di lei, un certo Lewis che ha un accento marcatissimo.
Uno schiarimento di gola riporta l'attenzione di tutti sulla scrivania e la dottoressa Spritz guarda tutti i presenti. Solo in quel momento Beck si accorge che il ragazzo solitario che aveva visto in Aula Magna siede tutto solo in prima fila, esattamente di fronte la scienziata.
"Buongiorno a tutti. Io sono Rosamunde Spritz e oggi vi insegnerò ad inserire delle coordinate in uno dei nostri sistemi." Allarga le dita e, come se lo manovrasse manualmente, il suo ologramma si ingrandisce. Fanno tutti la stessa cosa, imitandola. La donna inserisce dei codici di avviamento e tutti i presenti le stanno dietro, ascoltando le sue parole. "Mi raccomando, però" dice la Spritz, "controllate attentamente le date perché se sbagliate un solo punto o una sola virgola tra le cifre, vi trovereste in gravi difficoltà. Non vi sognate di mettere datazioni troppi distanti dal nostro tempo. Le uniche parentesi storiche che vi sono concesse sono gli ultimi cinquecento anni. Questo messaggio è per chiunque di voi si sia sognato di voler raggiungere la Preistoria." Una risatina. "Bene, ora inserite le date."
Beck rimane ferma di fronte allo spazio vuoto in cui inserire i numeri. La tastiera è digitale e le sue dita indugiano. Che data potrebbe mai mettere?
"Metti quella del tuo compleanno" dice il ragazzo alla sua destra. Gli occhi scuri sono fissi a pigiare bene i pulsanti corrispondenti al numero giusto. "Con quella non puoi sbagliare" dice, girandosi verso di lei e sorridendole. "Io sono Richard."
"Sì, l'ho letto sul badge" risponde lei. "Io sono Beck."
"Bene, Beck, metti il tuo compleanno, almeno sai che non sbaglieresti."
"E chi ti dice che io sappia quando sono nata?"
Richarda gira la sua testa biondo platino verso di lei, aggrottando la fronte. "Io-"
"Sto scherzando, tranquillo" ammette Beck, sorridendogli e iniziando ad inserire il giorno del suo compleanno. Sta attenta a mettere le cifre nell'ordine giusto, dopodiché manda il comando alla Spritz per farselo controllare.
"Bene, signorina Smithers" dice la scienziata. "La prossima volta, però, osi di più."
"Va bene, la ringrazio" dice, mettendosi una ciocca scura dietro l'orecchio. Punta i suoi occhi in quelli di Richard che ha appena mandato le sue coordinate.
La risposta della Spritz fa ridere entrambi. "Signor Keller, avrebbe potuto fare a meno di copiare la sua vicina di posto, questa volta."
"Evidentemente la pensiamo allo stesso modo!"
La ragazza accanto a Beck sopprime una risata. "Che coglione" sussurra, inviando le sue coordinate. Si gira a guardare Richard, sollevando un sopracciglio su quegli occhi scuri. Beck però non può fare a meno di notare i suoi capelli quanto siano blu sotto le luci della stanza. "Mi chiedo quando la smetterai di fare così, fratellino" dice, spostando poi gli occhi su Beck. "Io sono Clarisse e, come avrai capito, io e quel tipo accanto a te siamo parenti."
"Non lo avrei mai detto" ammette Beck, allungando la mano per stringere quella della ragazza. "Io sono Rebeckah."
"Ho sentito che il tuo cognome è Smithers."
"Sì."
"Quindi conoscevi Ellen Smithers?"
Lo sguardo di Beck rimane impassibile. "Era mia madre" dice in un sussurro.
Gli occhi di Clarisse si spalancano. "Mi dispiace moltissimo, non avrei mai voluto essere indelicata-"
"Figurati. Purtroppo non c'è nulla da fare-"
"E' solo che tua madre era davvero un modello da seguire. Seguivo tutte le trasmissioni in cui discuteva dei suoi progetti e delle macchine in lavorazione. Sicuramente Ellen Smithers è una delle ragioni per cui io sono qui." Rebeckah guarda gli occhi luccicanti di Clarisse e capisce che non le sta parlando con tono compassionevole, ma con il tono di chi fa della sincerità il proprio pane quotidiano. "E' davvero un piacere conoscerti" continua Clarisse, risistemandosi alla sua postazione.
Beck si gira giusto in tempo per sentire la Spritz correggere l'ultima consegna. "Ben fatto, Signor Copper."
"La ringrazio." La voce proviene dalla prima fila. E' una voce bassa e profonda, sicura di sè. Beck guarda in avanti e vede il ragazzo che, mentre la scienziata annuncia a tutti l'orario della prossima lezione, si risistema il badge al petto e, al termine dell'ora, esce dalla stanza prima di tutti.
"Quel tipo è strano" dice Richard al suo fianco.
Beck spegne il suo ologramma. "Perché? Non ha fatto nulla."
"Perché esce dagli spazi comuni o prima o dopo gli altri, per evitare di avere qualunque tipo di contatto umano."
"Cosa che tu non faresti mai." A parlare è stata la sorella. "Stai parlando pure troppo."
Richard alza gli occhi al cielo, poi fissa Beck. "Se mai ti andasse di venire a prendere un caffè con noi, ci trovi alla mensa dalle dieci e trenta."
"Grazie dell'invito, vedrò cosa fare" dice Beck, salutandoli con un cenno della mano e tornandosene verso il dormitorio. Quando rientra in stanza, vede Leyla caricarsi le braccia di panni sporchi.
"Nella mia vita" dice il robot, "ho sistemato tantissime stanze, ma nessuna che fosse disordinata quanto la tua."
Beck abbozza un sorriso, lasciando il suo badge sul letto e chinandosi per aiutare Leyla. "Perdonami" sussurra, lanciando un'occhiata di intesa alla ragazza robot. "Non lo farò più."
"Sappiamo tutti che non sarà così."

*****

"Buongiorno" il dottor Benedict entra nella stanza di Rebeckah con una cartelletta clinica rivolta contro il petto. "Come stai, oggi?"
Beck si alza dal letto, facendo dondolare i piedi di lato. "Meglio, grazie."
"Mi fa piacere." Gli occhi azzurri del dottore sono velati di preoccupazione. Devono dimetterla. Beck ha indossato gli stessi abiti che aveva quando Benedict l'ha portata in ospedale. Lancia di sfuggita un'occhiata alla cartella clinica, prendendo un ampio respiro.
"Qualcosa non va?" chiede la ragazza, vedendo il medico. Benedict scuote la testa, prendendo posto accanto a lei.
"La direzione mi ha detto che devi lasciare la stanza."
Beck lo guarda, sgranando gli occhi. "Ma io non so dove andare-"
"E' probabile che tu, prima di essere trovata per strada, sia fuggita da qualche parte e il tutto fa ipotizzare che fosse una casa famiglia."
Beck aggrotta la fronte. "Una cosa?"
"Una casa in cui vivono ragazzi con la tua stessa situazione familiare."
Beck abbassa lo sguardo sulle sue dita. Ingoia a vuoto. "Chiaramente avete pensato questo perchè nessuno è venuto a cercarmi."
Benedict tira un ampio sospiro. "Esatto."
"Magari devono ancora trovarmi." Ma il silenzio del medico è già una risposta. Beck riporta gli occhi sul dottore, osservando il suo volto spigoloso e preoccupato. "E allora cosa devo fare?"
"Prima controlleremo i registri delle case famiglia della zona, dopodiché troveremo quella da cui provieni."
Beck si prende la testa tra le mani. Il vuoto scalpita contro le sue tempie, non permettendole di ricordare. Nuove lacrime iniziano a lambire le sue ciglia lunghe. "Se solo sapessi di più" sussurra, tirando su con il naso. "Se solo sapessi chi sono e da dove vengo, tutto questo non accadrebbe."
Benedict trattiene il fiato. "Ti porterò personalmente in questo posto e insieme ci accerteremo che vada bene per te, d'accordo?"
Beck lo guarda, stringendo le labbra. "E se non andasse bene? Che alternative avrei?"
"Le troverò, te lo assicuro. E poi io non ti lascerò così su due piedi. Andiamo a creare dei documenti e ripristiniamo la tua situazione in attesa che la tua mente si decida finalmente a rivelarci i suoi segreti." Benedict stringe la cartellina al petto. "Scendiamo tra dieci minuti" dice. Rebeckah annuisce, guardando i libri sul comodino accanto al letto. "Quelli li puoi tenere" dice il medico, abbozzandole un sorriso.
Beck lo ringrazia silenziosamente, poi ritorna con gli occhi su quelli del dottore. "E' molto infantile da dire, lo so, ma potresti non abbandonarmi? Sei l'unico ad aver mostrato un minimo interesse per me."
Benedict sorride. "Perché mi sono preoccupato della tua situazione e voglio che tu stia bene. Tra l'altro.." Ingoia a vuoto. "Assomigli anche molto a mia figlia."
Beck socchiude gli occhi. "Come si chiama?"
"Jodie" dice Ben, sentendo un nodo allo stomaco. "Il suo nome è Jodie." Prende un ampio respiro e poi, finalmente, si alza in piedi. "Ti vengo a prendere dopo."
"Ti aspetto" dice Beck, sorridendogli tristemente. Quando il medico esce dalla stanza, si stende di nuovo sul letto, tenendo gli occhi puntati sul soffitto.
"Il mistero si infittisce" dice Paul, raggiungendo Benedict con il camice che gli sventola intorno alla ginocchia. "Non ci crederai mai."
"A cosa?" domanda Ben che, nel suo studio, si libera finalmente del camice.
"In nessuna casa famiglia è registrata una ragazza con il nome di Rebeckah Smithers. Nessuna denuncia di scomparsa, nessun richiamo. Quella ragazza è un fantasma."
"E' una pessima notizia, Paul."
"Non ne sono felice, Benedict. Come potresti pensarlo?"
"Dal tono di uno che reagisce ad una tragedia come se fosse in un libro giallo."
Paul alza gli occhi al cielo. "Non gioirei mai per una notizia simile, Ben. E' che mi ha lasciato scioccato. La porterai in qualche casa famiglia nella zona?"
Benedict infila il cappotto pesante, stringendosi nelle spalle. "Per ora la porto a farsi dei documenti."
"Ma non vagherai per sempre lungo le strade londinesi. Prima o poi arriverà il tuo momento di tornare a casa."
Benedict gli lancia una lunga occhiata e Paul sente all'improvviso una campanella d'allarme risuonargli in testa. "Vuoi farla stare in casa tua?!" esclama.
"Non lo so, va bene?" dice Ben lasciandosi andare ad un lungo sospiro. "Deciderà lei."
Paul scuote la testa, guardando il collega negli occhi. "Lo fai anche per te, non è vero?"
Benedict punta i suoi occhi in quelli dello psicologo. "Non psicanalizzarmi adesso."
"Non ne ho bisogno. Ti conosco da tempo, ormai."
Benedict gli lancia un'occhiata, dopodichè afferra la sua valigetta e le chiavi della macchina. "Ci vediamo domani."
"Buona fortuna, Ben" saluta Paul, mordendosi il labbro inferiore e girando i tacchi per tornare nel suo studio.
Benedict, invece, si muove verso la stanza di Rebeckah. La trova intenta a sfogliare nuovamente il libro. Gli occhi scuri fissi sulle pagine e i piedi che dondolano fuori dal letto. Bussa con le nocche sulla porta, destando la sua attenzione e regalandole un sorriso rassicurante. "Pronta?" domanda.
Beck alza lo sguardo e gli sorride, chiudendo il libro e uscendo finalmente da quella stanza.

N/A
Bene, bene. Il dottor Benedict è smosso dalla coscienza e aiuterà sul serio Beck mentre lei non ricorda nulla sul suo passato.
Dal prossimo capitolo le cose subiranno una svolta, per cui rimanete sintonizzati!😊
Alla prossima 💖

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