25. Battito di ciglia
Il comunicato stampa di Beck ha lasciato tutti basiti di fronte la vera natura di Ander Sharman. Le inchieste hanno posto sotto sequestro tutto l'Arché, costringendo i dipendenti a lasciare momentaneamente la struttura. Il giorno dopo avrebbero iniziato con la perquisizione, per cui hanno tutti meno di ventiquattro ore per sgombrare gli ambienti. Beck rientra in sede dopo aver trascorso la mattinata in un un cimitero desolato, in piedi davanti ad una lapide nuova. E' rimasta lì per diverso tempo, in religioso silenzio. Alla funzione si sono presentate più persone di quante Beck si aspettasse, ma solo una donna rimane con lei di fronte quella terra rivoltata. Beck stringe le labbra e nota il profilo della signora. Non è più molto giovane, i capelli grigi sono tenuti in una retina nera e il suo abito arriva fino all'erbetta tagliata. Ha le mani unite sul basso ventre e gli occhi fissi sul nome inciso.
"
Perdonami se non ti sto dando la possibilità di restare da sola con lui."
Beck scuote la testa. "Non si preoccupi."
La donna annuisce leggermente, poi tira su con il naso. "Era davvero un bravo ragazzo." Beck non risponde, torna solo con gli occhi sul viso di David immortalato da una foto. "Veniva a trovarmi sempre, ogni volta che aveva un po' di tempo libero. E' sempre stato premuroso."
Beck, allora, si gira a guardarla, incuriosita. "E' una sua parente?" domanda, chiedendosi chi possa essere quella persona.
La donna abbozza un sorriso. "Una specie. E' cresciuto nella mia casa famiglia." Si volta verso Beck, tendendole la mano. "Sono Judith Trinkell."
Rebeckah ricambia la stretta. "Lieta di conoscerla. Grazie per essere qui."
"Non avrei mai potuto abbandonarlo." La donna si avvicina alla lapide e appoggia una mano sulla pietra fredda, accarezzandola leggermente. "Gli ho insegnato l'inglese, l'ho coccolato quando si sentiva inferiore agli altri bambini, lo facevo ridere quando i suoi genitori non si presentavano e l'ho stretto a me quando non sono più tornati a prenderlo." Abbozza un sorriso. "E' stato un ragazzo forte, caparbio e più intelligente degli altri, sicuramente. Aveva chiare le sue ambizioni ed era pronto a tutto. Ma il suo coraggio, a quanto pare, gli è stato fatale. Io ti credo" dice, voltandosi verso Beck, "quando dici che lui ti abbia salvata. Era fatto così." Prende un ampio respiro. Allontana la mano dalla lapide e la appoggia sulla spalla di Beck, guardandola negli occhi scuri. "Sii forte, figliola."
"Anche lei, signora Trinkell."
La donna annuisce. "David vorrebbe solo questo." La saluta con un cenno di sorriso, dopodichè si allontana e lentamente va verso il cancello. Beck si gira a guardarla finché il suo abito nero non sparisce dietro l'angolo.
Ritorna con gli occhi sulla lapide e annuisce, guardando in fotografia gli occhi chiari di David. "Ha ragione. Vorresti solo questo, suppongo." Abbozza un sorriso, dopodiché ritorna in silenzio verso l'Arché.
Quando entra nella sua stanza, Leyla le ha già sistemato la roba sul letto da mettere nelle valigie. "Dove andrai?" le chiede il robot, guardandola con occhi lucidi.
Beck solleva le spalle, sfilandosi la giacca nera che ha addosso. "In un albergo, credo. Tu?" domanda, guardando l'androide.
Leyla abbassa la testa. "Non lo so. Forse mi spegneranno."
"Cosa?!" esclama Beck, appoggiandole le mani sulle spalle. "Non lo permetterò. Tu vieni con me."
"Ma la gente cosa dirà guardandomi?" risponde, indicando con un'occhiata le ruote sotto i piedi.
"Metteremo dei pantaloni o delle gonne lunghe che arrivino fino a terra." Beck le lascia un sorriso. "Non ti lascerò, Leyla. Porterò te e Stuart ovunque io andrò."
"Lo hanno riattivato?" domanda l'androide.
"Certo."
Leyla sorride. "Sono felice."
La ragazza le lascia una carezza, dopodiché si volta a guardare tutta la roba che deve mettere in valigia.
E così deve lasciare quel posto. Si guarda intorno, osservando attentamente ogni angolo di quella camera angusta, poi prende un ampio respiro ed esce dalla stanza.
"Dove vai?" chiede Leyla, vedendola uscire.
"Torno subito, tranquilla." Beck si avvia lungo i corridoi che conosce bene, guardando il pavimento lucido sotto i suoi piedi. Nota in fondo lo studio di Ander, la porta aperta e soldati che la sorvegliano. Si avvicina con cautela, spiegando chi fosse.
"Devo prendere un paio di cose" dice. I due uomini si guardano un istante, dopodiché la lasciano passare.
Con una rapida occhiata, Rebeckah vede Stuart sorriderle mentre prende le sue cose, lei invece supera la seconda porta ed entra nella camera di Ander, vedendo il nastro che delimita la zona. Lancia un'occhiata in quella stanza che ha ispezionato da cima a fondo. Passa sotto il nastro e va verso il libro dal titolo scritto a penna. Memento audere semper.
Sì, dobbiamo sempre ricordarci di osare, ma non senza tener conto dei risvolti che le situazioni potrebbero avere. Forse Ander, nella sua superbia, non ci aveva pensato abbastanza. Sfila da quel libro la fotografia che la ritrae insieme ad Ander e a sua madre, dopodiché esce dalla stanza senza guardarsi indietro.
Non avrebbe lasciato che i soldati toccassero quella fotografia. Non era un loro diritto.
Si ferma dietro la scrivania di Ander e prende la chiavetta con il messaggio di sua madre. La infila nella tasca del pantalone ed esce dallo studio, dicendo a Stuart che si sarebbero visti più tardi e salutando cordialmente i due soldati posti a guardia della porta.
Procede a testa bassa ma i suoi piedi si bloccano davanti la porta chiusa della stanza di David. Prende un ampio respiro e solleva una mano, rimanendo con il pugno a mezz'aria. Ingoia a vuoto, poi bussa delicatamente.
La porta si apre dall'interno e l'androide di David la accoglie con la tristezza dipinta in viso. Quando mette piede lì dentro, l'odore familiare dal ragazzo arriva dritto alle narici di Beck e gli occhi le si fanno immediatamente lucidi.
Il robot rimane in disparte, senza sistemare nulla. "Vuoi prendere qualcosa, Beck?" domanda.
Rebeckah tira su con il naso, guardando le felpe poste sul ripiano della scrivania, le coperte sfatte e il comodino sgombrato. Si avvicina ad una maglietta lasciata ai piedi del letto e la raccoglie, accarezzandola tra le dita. Se la porta al viso, inspirando il profumo di David. Il suo cuore le batte a mille e le lacrime le si formano ai lati degli occhi. Si avvicina la maglietta bianca al petto, tenendosela stretta. Mantenendola ancora fra le dita, va dritta in bagno e sposta la mattonella dalla parete. Sfila tutti i documenti che le hanno permesso di conoscere la storia di David e piega accuratamente la fotografia che lo ritrae insieme ai suoi genitori in Russia. Il robot la segue e vede i suoi movimenti. "Perché li prendi?" domanda, piegando di poco la testa.
Rebeckah ingoia a vuoto. "Non voglio che qualcuno possa toccarli. Non lascerò che li usino come prove contro di lui."
Esce dal bagno e ripiega ordinatamente la maglietta, lasciandola sul bordo del letto.
"Non vuoi portarla con te, quella?" dice il robot, indicando la maglia bianca.
Beck scuote il capo. "No" risponde, tirando su con il naso. "Il suo profumo prima o poi se ne andrà ed io non riuscirei a lasciarlo andare."
L'androide annuisce, guardando la ragazza sostare con lo sguardo su quella maglietta ripiegata. Si schiarisce la gola. "Beck, posso chiederti una cosa?"
"Certo."
Il robot sorride. "Gli volevi bene?" domanda.
La ragazza lo guarda, sollevando un sopracciglio. "Come ti viene in mente di pensare il contrario?"
"Gli volevi bene, Beck?" ripete il robot, continuando a sorridere seppur i suoi occhi siano tristi quanto quelli di Rebeckah.
Lei si lecca le labbra. "Ovvio che sì."
L'androide annuisce. "Ma come con Clarisse e Richard?"
Beck aggrotta la fronte, scuotendo la testa. "Beh, credo di no. Ogni persona è diversa e forse in tutte le amicizie ci sono diversi gradi di voler bene."
L'androide fa schioccare la lingua contro il palato. "D'accordo" dice soltanto.
Beck sbatte per un paio di volte la palpebre, dopodiché esce dalla stanza, salutando il robot. "Tu dove andrai?"
"Lavorerò con i soldati, a quanto pare."
Beck annuisce, poi guarda un'ultima volta la stanza di David e si incammina lungo i corridoi sfollati mentre l'androide del ragazzo fa richiudere la porta. Beck ripensa alle parole del robot, scuotendo la testa. Che razza di domanda..?
Allo scadere delle ventiquattro ore, la sua camera è sgombra. Tutti i vestiti sono nelle valigie, tutti i mobili svuotati, le coperte del letto consegnate in lavanderia e le ante dell'armadio sono aperte. Rebeckah e Leyla sostano sotto l'arcata della porta, guardando quella stanza vuota.
"Mi mancherà sistemartela ogni mattina" dice l'androide.
Beck le appoggia una mano sulla spalla. "C'è sempre la camera d'albergo, se ne senti la necessità."
Si scambiano un rapido sorriso, dopodiché Beck si morde il labbro inferiore. Abbassa lo sguardo sul suo orologio stretto al polso, sfiorandolo con le dita. Uscendo dall'Arché, dovrebbe lasciarlo. Prende un ampio respiro, dopodiché un pensiero improvviso la fa ritornare in stanza, seguita dall'androide confuso. "Leyla" dice Beck, "chiudi la porta."
L'androide obbedisce, rimanendo però con la fronte aggrottatata. "Che devi fare?"
Beck stringe le labbra, mettendosi al centro della stanza vuota. Guarda Leyla negli occhi. "Devo andare da mio padre." Digita frettolosamente le coordinate e sparisce in un lampo.
Quando riapre gli occhi, una fitta alla testa la spinge ad aggrapparsi alla panchina dietro di lei fino a quando il dolore non accenna a diminuire. Si rimette dritta, guardandosi intorno. Si trova a Piccadilly Circus e le luci degli schermi le feriscono gli occhi. Si incammina lentamente in quel fiume di gente, respirando a pieni polmoni. Va alla stazione della metro, prende il primo treno e scende alla fermata giusta. Costeggia un piccolo parco, supera una scuola elementare e l'università le si staglia di fronte. Entra di soppiatto, cercando di non destare l'attenzione. Va verso il laboratorio e i flashback di quando li percorreva con David la costringono a prendere ampi respiri. Nota suo padre uscire dal laboratorio con le chiavi in mano, pronto a chiudere le pesanti porte. Il rumore dei suoi passi cattura l'attenzione del vecchio e Jasper sgrana gli occhi, correndo verso sua figlia. La stringe a sè con forza. "Sei tornata" dice. "Sei viva!"
Beck stringe le labbra, chiudendo gli occhi e perdendosi nell'abbraccio caloroso di suo padre. Il vecchio si stacca da lei, guardandole le iridi scure in quello sguardo così triste. "Cos'è successo, tesoro? Dov'è David?" domanda.
Beck abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore. "Ho bisogno di parlare."
Jasper annuisce, prendendole affettuosamente una mano come ha sempre fatto da bambina. "Andiamo a casa, va bene? Così potrai raccontarmi tutto."
Quando entrano in quella piccola casa indipendente, Beck viene condotta in una salottino dove il padre le intima di sedersi sull'ampio divino. "E' il più comodo" dice, accomodandosi accanto a lei. Dopodiché ascolta il racconto della figlia, non perdendosi neanche una virgola di quel discorso ricco di dolore. Beck gli mostra persino la foto che ha preso dell'ufficio di Ander, vedendo il padre scuotere la testa. Jasper rimane in silenzio per tutto il tempo, i suoi occhi scuri e affaticati per l'età guardano il volto triste della figlia e vorrebbe farsi carico di tutta la sua sofferenza. Quando le labbra di Rebeckah finiscono finalmente di raccontare, il vecchio Jasper le prende le mani e continua a guardarla negli occhi. "Sai perché credevo che tu e David tornaste insieme?" Beck scuote la testa. "Perché quando siete tornati da me, vi eravate salvati entrambi. Sapevo per certo che persona fedele fosse e che non ti avrebbe abbandonato." Jasper abbozza un sorriso. "Ma anche tu sei fedele a lui, e mai gli avresti permesso di correre un rischio al tuo posto. Sareste stati sempre l'uno accanto all'altra."
Beck tira su con il naso. "Ma forse abbiamo cambiato il futuro, papà" dice la ragazza tirando su con il naso. "Non so come sia possibile, ma forse quelli che hai visto eravamo noi in un futuro alternativo." Jasper solleva una mano per accarezzarle il volto. Il petto di Beck è scosso dai singhiozzi. "Non sono riuscita a salvarlo" sussurra, tenendosi il labbro inferiore tra i denti.
L'uomo le accarezza una guancia. "Piccola mia" bisbiglia, facendole sollevare gli occhi lucidi e con le ciglia bagnate, "hai fatto quello hai potuto."
"Ma non mi sono sforzata abbastanza, forse."
"Ma sei viva, Beck, e questo è un grandissimo dono."
"Pagato da troppe persone!" Beck si libera dalla presa del padre, chiudendo le mani a coppa sul suo viso. Nasconde le sue lacrime. "Se solo mi fossi spinta oltre... E se solo avessi fatto le domande giuste approfittando del tempo che mi è stato dato, avrei anche potuto capire dove Ander avesse fatto finire la mamma, ma ho fallito anche in quello. Non ho nemmeno il tempo di gettarmi a capofitto nella nostra storia, ricostruendola per poter capire dove l'abbia mandata, tornando indietro di dieci anni, forse, ma non sarebbero abbastanza. Mi toglieranno l'orologio e, pur volendo, non potrei più farlo. Ho fallito e continuo a fallire."
"No, Beck. Nessun fallimento. Forse è destino che lei abbia vissuto lontano da noi, ma devi essere convinta di una cosa: tua madre si sarà fatta spazio con le unghie e con i denti in qualunque posto sia andata a finire. Era un tipo tosto e tu non hai fallito assolutamente in niente."
Beck si toglie le mani dal viso, asciugandosi le guance madide con il bordo della maglietta. "Lo sei anche tu, papà. Anche tu sei un tipo tosto. Hai praticamente ricominciato da zero."
Jasper le sorride, riprendendole la mano. "Beck, guarda te stessa. Sei la ragazza più coraggiosa che abbia mai conosciuto. Non sei inferiore a nessuno. Ricordalo. Saprai ricominciare anche tu, comunque siano andate e andranno le cose."
La ragazza guarda gli occhi scuri del padre, le rughe sulla pelle, i capelli radi sulle tempie e il sorriso che cerca di trasmetterle tutto il calore di cui ha bisogno in quel momento. "Ti voglio tanto bene, papà."
"Anche io, piccola mia. Te ne vorrò per sempre, anche se l'Arché dovesse chiudere definitivamente e tu non riuscissi a tornare da me."
La ragazza si sporge per abbracciare il padre, tenendoselo stretto.
Quando rientra in sede, Leyla la guarda prendendo un ampio respiro. Nota gli occhi lucidi della ragazza e le prende una mano per infonderle un po' di coraggio. "Andiamo?" domanda.
Beck annuisce, dopodiché escono entrambe da quella stanza che ha occupato per più di otto anni e si dirigono verso l'uscita dell'Istituto Arché, l'unico posto che Beck abbia mai abitato insieme ai suoi genitori. Prima di uscire dalle ampie porte, trascinandosi dietro i bagagli, si incontra con Stuart e si sfila l'orologio dal polso, lasciandolo nel contenitore all'ingresso insieme a tutti gli altri. Prende un ampio respiro, poi esce finalmente in strada. Ha prestato dei pantaloni a Leyla, quindi ogni volta che fa un passo il tessuto graffia l'asfalto. I due androidi parlano fra di loro, Rebeckah invece conta i passi che calpestano la strada, prendendo fiato e guardando i volti di tutte quelle persone che, se non fosse stato per loro, non ricorderebbero più nulla. Si avvicinano all'albergo in cui lei e David hanno dormito, oltrepassano l'ingresso e si fermano alla reception. "E' possibile avere una camera?"
La donna al di là del bancone annuisce e le fa firmare i documenti, chiarendo la modalità di pagamento. Le lascia le chiavi in mano. "Secondo piano, quarta porta sulla destra."
Rebeckah e i due androidi annuiscono, dirigendosi poi verso l'ascensore. Una volta arrivati al piano, Leyla e Stuart la aiutano con tutti i bagagli e insieme percorrono il corridoio, fermandosi davanti la quarta porta. Beck prende la tessera per farla scorrere nel riconoscimento della porta, abbozzando un sorriso. Ricorda che David non riusciva mai a farla scorrere al primo tentativo. Apre la porta e fa entrare le valigie nella stanza, guardando i tre letti posti l'uno accanto all'altro contro la parete. Lascia i due androidi da soli. "Vado a prendermi una tazza di caffè" dice, uscendo improvvisamente dalla stanza e chiudendosi la porta dietro. Si appoggia contro di essa, prendendo un ampio respiro. Il cuore le batte forte nel petto perché l'ultima volta che è stata in quell'albergo Beck era con l'unica persona a cui avesse aperto il proprio cuore, l'unico abbraccio entro cui pensava avrebbe trovato riparo in ogni situazione. Ricorda il suo cuore scalpitante sotto il tessuto della maglietta, il respiro regolare, i muscoli che disegnano linee sugli abiti, le mani che la stringono calorosamente, infondendole l'affetto di cui sentiva il bisogno senza mai chiederlo a voce alta. Trattiene le lacrime, portandosi entrambe le mani al petto. David le manca incredibilmente e si sente persa. Clarisse e Richard sono tornati dai loro parenti, mentre Beck non ha nessuno se non i due androidi che le sono sempre accanto, preoccupandosi per lei e prendendosene cura. Se fosse lì, David la spronerebbe ad alzare la testa, ad affrontare il mondo con la tenacia che sa di possedere e di prendere un ampio respiro per concentrarsi. Ma David non è lì, accanto a lei, a sussurrarle queste parole ad un millimetro dal suo orecchio. Non è lì perché Beck si è spostata e il proiettile destinato a lei ha incontrato un altro corpo. Tira su con il naso, liberandosi di un singhiozzo che le sta opprimendo il petto. Cerca di calmarsi, così si decide a scendere le scale, arrivando a piano terra. Si dirige verso le macchinette, pigiando il tasto corrispondente al caffè che preferisce. Attende che le venga versato nel bicchiere e si passa una mano tra i capelli sfatti. Nel vetro della macchinetta riesce a specchiarsi e nota i suoi occhi cerchiati da occhiaie scure. Il rumore del macchinario fa da sfondo al suo silenzio insieme a tanti altri rumori che le imperversano intorno. Le macchine in strada che premono sui clacson proprio quando la porta dell'albergo viene aperta, il campanellino della reception, il chiacchiericcio dei clienti seduti lì intorno sulle comode poltrone rivestite, le voci dei giornalisti in diretta televisiva. Beck si estrania da tutto, continuando a guardare il suo volto stanco e provato. Un bip l'avvisa del caffè, così si piega per prenderlo. Inizia a girarlo con il bastoncino, riportando lo sguardo sul suo riflesso.
Un battito di ciglia.
Chiude le palpebre un solo istante e stranamente vede un volto specchiarsi insieme a lei. Le sbatte di nuovo, cercando di allontanare quell'allucinazione, poi si gira per incamminarsi verso l'ascensore con il bicchierino in mano ma un corpo le blocca la strada. Beck solleva la testa e quando vede il volto che ricambia il suo sguardo sente le gambe cedere. Il caffè le cade di mano e le gira improvvisamente la testa.
"Ciao, Beck." David le sta sorridendo.
N/A
Tadaaaaan
Ciao a tutti ed ecco a voi un nuovo capitolo che spero vi piaccia! Se vi va, lasciatemi qualche voto/commento e ci vediamo al prossimo aggiornamento! ❤
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