2. Beck

Rebeckah avvicina l'indice al rilevatore attaccato alla parete, lasciando che lo scanner automatico rilevi la sua impronta digitale, dopodiché - con un click sonoro - la porta della sua nuova stanza inizia a scorrere di lato, rientrando nella parete e sparendo. Rebeckah guarda lo stipite metallico della porta e fa un passo in avanti per entrare nella stanza spaziosa, seguita a ruota dal piccolo carrello automatico che si muove al suo fianco e porta all'interno dello spazio appena rivelato i bagagli della ragazza. Gli occhi scuri di Rebeckah sfiorano i mobili indispensabili che ricoprono il perimetro della stanza quadrata, occupando le pareti bianche che circondano un letto posto nell'angolo a sinistra, finemente preparato con coperte nuove che rilasciano un delicato profumo di lavanda. Il carrello prosegue fino alla base dell'armadio grigio che copre la parete di destra, bloccandosi di fronte le ante apribili manualmente. Rebeckah sussulta quando da una porticina accanto al letto appare una donna dai piedi rotanti, con degli asciugamani piegati e sostenuti su un'unica mano e gli occhi chiarissimi che si sgranano per la sorpresa di vedere la nuova inquilina. "Ciao" sobbalza, avvicinandosi a Rebeckah e porgendole una mano. "Io sono Leyla, sono la curatrice della tua stanza."
"Ciao" risponde la ragazza, ricambiando la stretta. "Io sono Rebeckah Smithers, ma puoi chiamarmi Beck" aggiunge, abbozzando un minuscolo sorriso sulle sue labbra carnose. Una piccola finestra sulla parete frontale coglie la sua attenzione. Si spinge in quella direzione e vede oltre il vetro appena lucidato. I grattacieli di New York si stagliano sull'orizzonte, definendo il tramonto che si abbassa sulla grande città. Si gira verso Leyla, rimasta immobile vicino al letto. "Forse sono arrivata in anticipo" ammette, stringendo le labbra.
"Nessun problema" dice la ragazza robotica, scuotendo di poco la testa adornata da lunghi capelli biondi tenuti indietro da un fermaglio. "Ho terminato di pulire. Spero ti piaccia la tua nuova camera."
"

E' molto carina" dice Rebeckah, guardando nuovamente quel piccolo spazio che le è stato concesso. "Certo, è un po' vuota, ma farò il possibile per renderla mia."
"A partire da domani vengo a pulirla ogni mattina alle 8:30" dice Leyla, sorridendole. "Ma puoi chiamarmi in ogni momento attraverso il microfono."
Rebeckah solleva un sopracciglio. "Quale microfono?"
"Questo" dice Leyla, abbassandosi sulla testiera del letto. Beck nota un piccolo pulsante. "Schiaccialo ed io arrivo subito. Sono l'unica, oltre a te, a poter entrare nella tua stanza."
Rebeckah socchiude gli occhi. "Ma la porta si apre solo se riconosce le impronte digitali."
Leyla stringe le labbra, tenendo i suoi occhi puntati in quelli scuri della nuova inquilina. "E secondo te perché ti ho stretto la mano, appena sei entrata?"
"Per educazione, magari?"
Leyla sorride. "Non solo. Ho acquisito le tue impronte. Puoi stare tranquilla, non entrerò mai al di fuori di qualunque chiamata da parte tua o oltre l'orario delle pulizie."
"Quindi non c'è il rischio che io ti trovi qui a gironzolare di notte?"
Leyla fa sparire il sorriso dalle sue labbra, socchiudendo leggermente le palpebre. "Beck, sono un robot, non una pazza squilibrata."
Rebeckah solleva le mani in segno di resa.
Leyla raddrizza le spalle. "Bene. Adesso vado. A domani, Beck." E se ne va, uscendo dalla stanza e lasciando che la porta si chiuda dietro di lei.
Rebeckah fa un giro su di sè, poi si getta all'indietro per constatare la morbidezza del materasso, lasciando i capelli scuri e ondulati scomposti sul cuscino. Si porta una mano alla collana che da anni porta al collo, rigirandosela tra le dita. Perlustra quelle pareti spoglie, sperando che quella stanza possa diventare il suo porto sicuro, nonostante i ricordi nella sua mente la portino a voler fare un passo indietro. Si mette seduta, lanciando un'occhiata al mucchio di bagagli che aspettano di essere sistemati.

*****

Quando riapre gli occhi, un dolore fortissimo alle tempie la costringe a piegarsi fino a toccare con le ginocchia l'asfalto ai suoi piedi. Il gelo della strada trapassa il tessuto dei suoi pantaloni, così come si adagia sulle sue braccia scoperte. La pelle si ricopre di brividi di freddo mentre le mani sono tenute forti contro le tempie dolenti. La testa le martella e la vista è annebbiata. C'è confusione intorno a lei, passi che la scansano e biascicano qualcosa. Quando il dolore sembra addolcirsi, appoggia le mani per terra, sollevando piano la testa. Sbatte le palpebre per abituare gli occhi all'oscurità della via in cui si trova. La vista è ancora appannata ma i suoni riescono a distinguersi all'interno delle sue orecchie. Si siede per terra, avvicinando le ginocchia al petto e stringendosele contro. Il cuore le batte forte, il respiro è affannoso e le guance sono cosparse di lacrime. Avvicina le dita intorpidite dal freddo alle gote, sfiorando la pelle umida. Quando la vista migliora, si rende conto di non sapere dove si trova. Una morsa alla gola la fa irrigidire. Si mantiene al muro dietro di lei e, tentoni, cerca di alzarsi e camminare strisciando contro la parete. La testa continua a farle male. Tira su con il naso. Serra gli occhi e la consapevolezza di quello che sta passando le smorza il fiato. Si porta entrambe le mani alla testa, stringendosi i capelli scuri nei due pugni chiusi. Inizia ad urlare. Non sa nemmeno perché.
Non ricorda nulla.
Impazzita, corre per strada. Si scontra con i passanti avvolti nelle loro giacche mentre lei continua a stringersi i capelli e graffiarsi la pelle del viso. Ignora il dolore alla testa, continua a correre e a gridare, finché un ragazzo la blocca per le spalle magre. "Ehi, ehi, che succede?" dice, cercando di tenerla ferma. Ma la ragazza si divincola dalla sua presa. Incespica sul marciapiede, gettandosi contro una vetrina illuminata. Le luci fanno riflettere il suo viso sulla superficie del vetro. Nuove lacrime escono dai suoi occhi, le scalfiscono la pelle e atterrano sulle labbra martoriate. Ha dei segni arrossati alla base del collo e intorno ai polsi. Le sue mani tremano mentre con le unghie si aggrappa al suo viso. La testa le scoppia.
Non sa a chi appartiene quel volto, non conosce nulla della persona riflessa su quella dannata vetrina. Il cuore è sul punto di balzarle fuori dal petto, si accovaccia e vomita alla base del marciapiede, perdendo l'equilibrio e cadendo per terra. Una folla si agglomera intorno a lei, guardandosi incerti. "Questi drogati" sibila la voce di un anziano signore che supera la folla, incurante.
"Largo! Fate largo!" dice all'improvviso qualcuno. La ragazza è riversa per terra, la pelle scura del suo corpo martoriata dai brividi. Le sue labbra sono violacee, così come le borse sotto i suoi occhi. Una figura che non riconosce e dalla voce dolce si abbassa su di lei, appoggiandole sulle spalle qualcosa simile ad un cappotto pesante. Un torpore la coglie all'improvviso, facendole sciogliere i pugni alle mani, ma il suo corpo è ancora abbattuto dagli spasmi. "Va tutto bene" sussurra la voce maschile al suo orecchio. Solleva di scatto la testa. "Sparite, non c'è nulla da vedere!" continua, rivolgendosi alla folla che si è radunata. Quando i passi si allontanano, la voce si abbassa di nuovo sull'orecchio della ragazza, appoggiando allo stesso tempo le mani sulle sue spalle esili. "Adesso ti aiuto, d'accordo?"
Dopodichè la ragazza perde i sensi.

Quando riapre gli occhi, è stesa su un letto d'ospedale, con una flebo incastrata nell'incavo del braccio. Sbatte piano le palpebre per abituarsi alla luce. Non ha idea di dove si trovi. Si guarda lentamente intorno, notando la stanza completamente vuota, se non fosse per l'unica sedia addossata al muro, un comodino accanto al letto, un macchinario appoggiato su una mensola e la porta che affaccia sul corridoio di.. qualunque posto sia quello. Si mette lentamente seduta, guardando il suo corpo.  Nota il pigiama bianco, le unghie delle mani sporche e spezzate. Sente il ritmo del suo cuore accelerare. Non è stato un incubo. Non ricorda davvero nulla. Il macchinario inizia a fare di nuovo un rumore insolito che fa accorrere nella stanza una persona. E' un uomo, camice bianco addosso e tesserino attaccato al petto. "Va tutto bene" dice lui, chinandosi su di lei e porgendole una mascherina che fa avvicinare al naso. La ragazza lo guarda, sentendo i polmoni andare a fuoco. Inspira l'aria che esce dalla mascherina, tenendo gli occhi scuri inchiodati in quegli azzurri dell'uomo. "Va tutto bene" ripete lui, abbozzandole un sorriso. La ragazza lo guarda, perdendosi in quegli occhi così rassicuranti. L'uomo ha un viso spigoloso, labbra sottili e zigomi pronunciati.
Riconosce subito la sua voce. E' la stessa che le è stata vicino quando era stesa sul marciapiede. Il rumore del macchinario inizia a stabilizzarsi, insieme ai battiti del suo cuore. L'uomo - il medico - allontana la mascherina dal suo viso. "Va meglio?" La ragazza ingoia a vuoto, tenendo gli occhi fissi sul dottore. "Sai dirmi il tuo nome?" domanda allora, sperando che lei gli risponda. Ma la ragazza inizia a piangere. La morsa allo stomaco si stringe. Scuote la testa. "Non lo sai?" chiede ancora il medico, ma le lacrime della ragazza sono già una risposta.  Stringe le labbra e si mette in piedi, infilando una mano nella tasca del camice. "Non avere paura. Qui sei al sicuro." Lentamente fa fuoriuscire dalla tasca un minuscolo pezzo di carta dai bordi sgualciti. Il medico lancia un'occhiata al foglietto, poi lo porge alla ragazza, aspettando che lei stessa possa afferrarlo da sola. "Era nella tua tasca" dice a voce bassa. "Quindi credo sia tuo."
La ragazza tira su con il naso, allungando una mano tremante. Sfiora il foglio con le dita prima di stringerlo e avvicinarlo al suo volto. Lo gira per leggere cosa c'è scritto.

Rebeckah Smithers

Lancia un'occhiata al dottore. "E' il tuo nome, vero?" domanda di nuovo il medico, stringendo le labbra.
Nuove lacrime di terrore le scorrono sulle guance. "Non lo so" dice con voce roca. Si stringe la gola con entrambe le mani. Non riconosce nemmeno la sua voce.
Il dottore si abbassa su di lei, stringendosi le mani tra loro. "Stai tranquilla, ci sono io adesso." Le sorride. "Io sono Benedict. Sono un dottore e ti prometto che farò tutto il possibile per aiutarti."

N/A
Ciao a tutti ed ecco qui un nuovo capitolo
La prima parte - così come le altre che troverete nei prossimi capitoli - scritta in corsivo è un flashback che permetterà di mettere in rapporto il passato e il presente di questa storia 😊
Detto questo, spero che vi sia piaciuto e vi invito ad aggiungere la storia nelle vostre biblioteche così che, con ogni capitolo aggiunto, possa arrivarvi la notifica!
Al prossimo aggiornamento 💖

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