14. "Mi aiuti sempre anche senza saperlo."

"Che fine hanno fatto?" sbotta Rebeckah, spalancando la porta dello studio di Ander. David aspetta dietro di lei, notando gli occhi azzurri dell'uomo che sobbalza dietro la sua scrivania.
A

nder si porta la mano al cuore mentre l'altra chiude rapidamente la serratura di un cassetto.
"Di che parli, mia cara?" domanda l'uomo, mettendosi dritto sulla sedia.
"Dei miei amici Clarisse e Richard."
David appoggia le mani sulle spalle di Rebeckah per darle man forte.
Ander prende un ampio respiro. "Sai che preferirei ne parlassimo solo fra noi."
Beck assottiglia lo sguardo. "David può ascoltare."
Ander, allora, si alza in piedi, unendo le mani. "Tesoro, ci sono delle condizioni che non possono essere-"
"Dove li hai mandati?"
"In un'altra sede."
"E perché non posso avere contatti con loro?"
Ander guarda negli occhi Beck, stringendo le labbra. "Perché hanno trasgredito la regola più importante e pericolosa. Non possono essere più tenuti aggiornati su quello che avviene in questo istituto."
David sposta lo sguardo sullo studio raffinato di quell'uomo. Un tavolino posto leggermente a sinistra, una scrivania accostata alla parete frontale, una libreria copiosa posta sul lato della stanza, cimeli di ogni tipo e quadri appesi in ogni centimetro di parete scoperta. Quello studio è un santuario dell'antichità, con lettere e documenti storici che Ander tiene gelosamente per sè. Una macchina da scrivere posta su una mensola, vasi in terracotta finemente dipinti a mano, volumi disintegrati dal tempo.
"Sono sicura che c'è stato uno sbaglio" continua a dire Beck, liberandosi dal tocco di David. "Il figlio del presidente non è morto per colpa di Clarisse."
"Sì, invece e le tempistiche si sono addirittura ristrette, Beckie. Ma questi affari diplomatici non vi riguardano" dice, mentre chiude il portatile ancora aperto sulla sua scrivania. "Tornate alle vostre lezioni."
"Le hanno sospese."
"Allora tornate nella vostre camere." Ander lancia un'occhiata ad entrambi. "Possiamo anche essere di famiglia, ma ricordati che qui sono pur sempre il direttore. Ho del lavoro da fare, adesso. Per cui tornate alle vostre mansioni quotidiane." Ander si gira a guardare il suo robot Stuart che, gentilmente, li spinge fuori dallo studio.
Rebeckah entra nella sua camera, seguita a ruota da David. Sul comodino c'è ancora l'invito a cena di Ander del giorno prima. La ragazza si getta sulle coperte rimboccate, guardando le pareti piene di ricordi collezionati in quegli anni. Sopra il letto, i poster dei film degli Avengers. David si siede accanto a lei mentre la porta della stanza inizia a strisciare, chiudendosi. Nota sul comodino l'invito del direttore e se lo rigira tra le mani, guardando la sua calligrafia curata in ogni curvatura delle lettere corsive. "Non ti sei presentata ieri?"
"No. Mi ha portato via degli unici amici."
"Beck" dice David, riponendo l'invito al suo posto e appoggiando una mano sul braccio scoperto della ragazza. "Forse dovremmo capirlo. Ha dovuto prendere delle misure precauzionali."
Beck prende un profondo respiro. "Credi che non lo sappia?" Si gira su un fianco. "E' solo che vorrei sapere come stanno. Sono tre settimane che non abbiamo loro notizie e, detto sinceramente, mi preoccupo molto."
"Staranno bene, Beck."
"Lo spero."

*****

Rebeckah entra in casa, sbattendo la porta alle sue spalle. Và in camera sua e si butta sul letto, rimanendo a pancia in giù e le braccia che fuoriescono dal materasso, con le dita che sfiorano il pavimento pulito e lucidato. Rimane così per qualche minuto, con gli occhi incollati alla parete e la bocca serrata, quando il rintocco delle nocche sulla porta aperta destano la sua attenzione. Benedict è all'ingresso della sua stanza, la vestaglia stretta in vita e una mano in tasca. "Ehi?" chiede, facendo un passo verso l'interno della camera. Beck si mette seduta, facendogli segno di sedersi accanto a lei.
"Il medico ha detto di riposarti, non stare lì in piedi."
"Ma io sono in gran forma" dice l'uomo, abbozzandole un sorriso. Tuttavia le si accosta, sedendosi sul letto. "Come è stato il film?"
"Bello" dice, ma la sua voce e i suoi pensieri sono distanti. Benedict se ne accorge e assottiglia gli occhi chiari.
"E' successo qualcosa?"
Beck si lecca le labbra, sollevando le spalle. "Niente di che. David mi ha detto una marea di stupidaggini."
Benedict raddrizza le spalle, aggrottando la fronte. "Perché avrebbe dovuto farlo?"
"Me lo chiedo anche io" ammette la ragazza, guardandosi le unghie delle mani.
Benedict non dice altro, rimane in silenzio accanto a lei. "Sei grande, Beck. Ed io non sono nessuno in grado di dirti come comportarti in questi casi."
"Oh, ma io so cosa fare" dice lei, girandosi per guardarlo negli occhi. "Non voglio che mi parli."
Benedict prende un ampio respiro, poi scuote la testa e si avvia verso l'uscita della stanza. "Che c'è, adesso?" chiede la ragazza, abbassando pesantemente le braccia.
Benedict si ferma sull'uscio, lanciandole una rapida occhiata. "Niente. Non sono cose in cui posso immischiarmi." Si chiude la porta della camera dietro, lasciando Beck da sola. Lei prende il cellulare dalla tasca e lo stringe tra le dita, spostando gli occhi sulla collana ancora rotta a metà che giace sul bordo della scrivania. Perché lo ha fatto?
Perché David ha voluto prenderla in giro?
Risfoglia i messaggi che si sono scambiati, quei messaggi pieni di commenti sul manoscritto che le ha dato. Non può averlo scritto lui, suvvia.
Beatrice deve ricordarsi di tutto, aveva detto lei. Continua a scorrere quella chat, socchiudendo gli occhi, fin quando non rivede la foto che lui le aveva mandato. Non sembra un fotomontaggio, quindi devono averla scattata per davvero. Scuote la testa.
Viaggi del tempo... ma di che diavolo parlava? Non poteva essere serio.
Va su un motore di ricerca e digita Lexoplan, senza ottenere alcun riscontro. Allora continua scrivendo Memento, ma gli unici risultati che le appaiono davanti sono la traduzione del vocabolo dal latino e un film degli anni 2000. Scuote la testa, cambiando ricerca. Ellen e Jasper Smithers. Dopotutto aveva detto che i suoi genitori si chiamassero così, ma neanche questo tentativo riesce a darle una risposta. Esasperata, chiude internet. Rimane con gli occhi fissi sulla parete spoglia della sua stanza, scuotendo la testa fra sè, poi i suoi occhi incontrano l'unica cosa che ha permesso a Benedict di conoscere il suo nome. Si alza in piedi e afferra con due dita il bigliettino che aveva in tasca quando è arrivata a Londra. Sopprime una risata. Arrivare, che parolone. Lei non è arrivata da nessuna parte, semplicemente non riesce a ricordare cosa c'è stato prima. Guarda quel fogliettino. Rebeckah Smithers.
Non l'ha mai mostrato a David.

David rimane lì, seduto contro la scrivania del laboratorio di chimica dell'università. Le sue spalle sono chinate in avanti, gli occhi persi su quella sostanza così preziosa che tiene gelosamente con sè. Ha un vuoto nel petto, una voragine che lo sta inghiottendo ogni secondo sempre di più. Gli manca il fiato. Cerca di respirare a pieni polmoni, ma non riesce a liberarsi di quel senso di oppressione che gli fa tremare il busto. Appoggia le mani alla scrivania, chiudendole a pugno.
Non gli ha creduto.
Ha fallito.
Serra gli occhi, portandosi i due pugni al viso. Rebeckah se n'è andata e non gli ha dato una sola possibilità di provare. Ora è lì da solo, con l'antidoto che rimarrà inusato perché l'unica persona a cui vorrebbe darlo è la stessa che lo ha abbondonato.
Si è giocato il suo asso nella manica. Si è gettato a capofitto nel tempo, sperando di cogliere la sua mano e raggiungerla prima che fosse troppo tardi, ma gli è sfuggita e la sua unica occasione è sfumata in un tragico quanto inaspettato fallimento. Ha seriamente creduto di potercela fare, di aiutarla a riprendere coscienza di sè e di ciò che erano, ma questa Rebeckah forse non è destinata a tornare. Stacca le mani dal viso e procede nel suo lavoro. Non può fermarsi, non ora che il futuro è letteralmente nelle sue mani. Forse dovrà dirle addio, perché Rebeckah non lo seguirà mai. Ma David non può lasciarsi sfuggire la possibilità di salvare il proprio mondo. Mancano ancora dei pezzi importanti per ricostruire tutta la storia e forse non li avrà mai, ma ora l'unica cosa che deve fare è duplicare quell'antidoto. Può perderci anche dei giorni, ma deve portare a termine il lavoro. Cerca di calmarsi, si mette in piedi e si arma di mascherina e guanti. Sono anni che riesce a destreggiarsi nel mondo della chimica, non c'è alcun segreto per lui.
Il tempo passa e quasi non lo sente scorrere sulla pelle. I suoi occhi sono incollati sulle provette, sulle fiale e sulla curata attenzione degli elementi. Non deve sbagliare neanche un calcolo. Segna i passaggi su un foglio e con una precisione maniacale duplica perfettamente il liquido rossastro. Si allontana di poco dalla scrivania, vedendo la sua postazione in subbuglio, quando la porta del laboratorio si apre all'improvviso, facendolo spaventare. Si gira, incontrando gli occhi del custode universitario. "Oh, signor Copper" dice l'uomo con una mazzetta di chiavi stretta tra le dita ossute. "Dovrei proprio chiudere, adesso."
David si sfila la mascherina dal viso, annuendo. "Sì, finisco di sistemare e me ne vado."
"La aiuto io, signor Lewis" dice Rebeckah apparendo dal nulla, chinandosi per leggere il nome sulla targhetta del custode. David sgrana gli occhi, vedendola appena accanto l'ingresso del laboratorio. "Ci metterà la metà del tempo."
Il signor Lewis annuisce, facendo entrare la ragazza e chiudendosi la porta dietro mentre si allontana. David rimane con le braccia a mezz'aria, sfilandosi lentamente i guanti in lattice.
"Non sono qui per dire che improvvisamente ti credo" dice Rebeckah, mettendo le mani in avanti. David si lecca le labbra secche, mentre nota Beck vedere cosa nasconde dietro la scrivania. "Io ti ho detto la verità" le dice quando gli si ferma di fronte. "Dammi una sola ragione per cui avrei dovuto mentirti."
"Ah, non so" dice Beck, sollevando entrambe le sopracciglia. "Forse perché - fino a prova contraria - ti conosco da appena un mese?"
"Beck, dico sul serio. Non riesci proprio a capirmi?"
"Non ci riesco, David. E' troppo assurdo per me." Rimane con le mani infilate nelle tasche del pantalone. "Come puoi aver scritto tu quel manoscritto?"
David scuote la testa, stringendo le labbra. Di tutte le domande che potrebbe fargli, gli pone letteralmente l'unica meno importante. "E' molto semplice. L'ho scritto e ho annerito i bordi dei fogli per renderlo più datato." David sente il cuore battergli nel petto. "Io ti voglio davvero tantissimo bene, Beck, e sapere che non riesci neanche per un momento a porre fiducia in quello che ti ho detto mi rattrista enormemente perché io so chi eravamo e chi potremmo tornare ad essere." Si lascia andare ad un sospiro sconsolato. "Perché sei qui, allora?"
Beck tiene gli occhi fissi in quelli chiari di David e vorrebbe tanto credergli, cedere alla sua storia. Ma non può essere vero. Non è umanamente possibile tornare indietro nel tempo. Sfila il bigliettino dalla tasca ma lo trattiene in mano. Si lascia scappare una risata nervosa. "Che ipocrita che sono" dice, dandogli le spalle.
"Perché?"
"Perché sono tornata dopo quello che ti ho detto."
David appoggia i guanti sul ripiano, tenendo lo sguardo fisso sulla schiena magra della ragazza. "Io sono felice che tu l'abbia fatto" dice lui a bassa voce, vedendo poi la ragazza girarsi nuovamente verso di lui. "Non voglio pensare che tu mi veda come un ragazzo che vuole solo approfittare della situazione. Desidero solo averti dalla mia parte perché non sono mai stato bravo a capire le storie da solo. Quando ci hanno identificato come coppia di lavoro, lo scopo era quello di compensare le mancanze di uno con la conoscenza dell'altro." David unisce le mani davanti alle sue labbra. "Non saremmo mai arrivati fino a questo punto se non avessimo collaborato per tutto il tempo."
Beck nota il fumo delle fiale alle spalle del ragazzo, il suo volto pallido, i capelli spettinati e quegli occhi che la supplicano in silenzio. Prende un ampio respiro. "Mi auguro che quello che sto facendo sia perché la mia mente, in gran segreto, mi sta spingendo a fare quello che normalmente avrei fatto con te." Finalmente allunga il bigliettino del suo nome verso David. "Questo è stato l'unico documento identificativo che mi hanno trovato addosso quando sono finita in ospedale."
David aggrotta le sopracciglia, prendendolo rapidamente tra le dita affusolate. Nota la scrittura raffinata e tondeggiante. Sgrana gli occhi.
Gli è troppo familiare..
Guarda rapidamente Beck. "Lo hai avuto da sempre?"
La ragazza annuisce. "E' importante?"
"Se solo me lo avessi dato prima!" esclama David, sedendosi alla sedia girevole dietro di lui. "Non puoi neanche immaginare cosa nasconda questa scrittura."
Beck incrocia le braccia al petto. "Sai chi può averlo scritto?"
David inizia a fare collegamenti mentali che mai avrebbe potuto sospettare se Beck non gli avesse dato quell'insulso bigliettino. Ha un nodo all'altezza dello stomaco. La afferra per le spalle. "Sì, e nonostante la risposta non mi piaccia affatto, è sicuramente un passo avanti."
"Per cosa?"
"Per la ricostruzione della storia, Beck!" Senza neanche pensarci, si china su di lei e le lascia un rapido e sincero bacio sulla fronte. "Come vedi, mi aiuti sempre anche senza saperlo." Le dà le spalle e si mette nuovamente a lavoro, ma ad interromperlo di nuovo è l'arrivo del custode.
"Allora? Quando ve ne andate?"
"Subito, signor Lewis!" dice David, prendendo un telo e coprendo la sua postazione. In un gesto rapidissimo, recupera l'antidoto della collana e si avvia verso l'uscita, prendendo Rebeckah per mano e trascinandosela dietro. "Buona serata!" dicono all'unisono, procedendo verso l'uscita dell'università, con la loro voce e i loro passi che riecheggiano lungo i corridoio dell'università ormai vuota.

N/A
Pian piano si aggiungono sempre più dettagli alla storia di David e Beck e spero davvero che vi stia piacendo. Lasciatemi qualche voto/commento se vi va e ci vediamo al prossimo aggiornamento ❤

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