Ricordami
Esigo di sapere alla fine se vi ho devastato emotivamente 😜
Ripensa a me
Non dimenticarlo mai
Giulia scorrazza nei corridoi, un frullo squillante di risate, le vesti ariose e traspiranti. La sua voce di bimba lo punge, deliziosa.
«Papà!»
Ottaviano l'ascolterebbe in eterno. Si volta, un sorriso sincero, eccezionale nella sua statua di ghiaccio, spalancando le braccia, levandola in alto. Alle stelle, alla luna che le ruberebbe se solo glielo chiedesse. Tutto per Giulia.
Femmina, una figlia. E allora? La sua intraprendenza demolisce quella di qualsiasi baldanzoso maschio.
Ricordami
Dovunque tu sarai
Rosso infuocato come le fiamme di Vesta. Bianco immacolato come lanoso vello. Il velo incorniciato dalla fragrante ghirlanda, il nodo erculeo saldamente fissato in vita. Una combinazione significativa.
Sposa di bianco e rosso.
«Papà...» Flebile richiamo, esortazione. Ultima ancora lanciata nella speranza di appigliarsi alla salvezza.
Giulia s'è ripresa dal lutto di Marcello meno di quanto ci stia ancora impiegando Ottavia. Il compianto, se possibile, ha acuito la sua bellezza in maniera provocantemente disorientante. Ciocche d'oro fino, sole imbrigliato, iridi di fonte cristallina. Trasparenti come l'acqua, intorbiditi da un rimescolarsi d'emozioni. Paura, tremolante paura. Sicurezze incrinate.
Augusto le solleva il mento. È come suo padre: il pianto non trapela. Ghiaccio e marmo.
Ma lui possiede il lucchetto schiudente quel cuore.
«Agrippa è un brav'uomo. Ti proteggerà, ti terrà al sicuro.»
«Me o la tua successione?»
Bambina cara, si rende conto di essere lei la chiave a tale successione. Astenendosi dal ribattere Augusto le preme un bacio sulla fronte, sopra la cortina fiammeggiante del velo, calato a celare quel suo amatissimo, tenace tesoro.
Rosso come il sangue. Bianco come purezza intatta.
Giulia è l'agnello immolato alla pace di Roma.
Lo sai che devi fare se non sono insieme a te
Ascolta la canzone e tu sarai vicino a me
Gaio viene per primo. E, in cadenza, si susseguono Giulia, Lucio, Agrippina.
Agrippa Postumo è il bambino dei funerali e degli isolamenti.
Agrippa Postumo. Sembra una beffa. Non ne può esistere un altro. Agrippa ha vestito Roma d'una coltre di marmi, ori e lussureggiante prosperità. Agrippa ha sbaragliato Sesto, Antonio.
Agrippa l'ha sostenuto dai suoi più reconditi ricordi.
Il Fato alleato di Enea gli ha voltato le spalle. Prima Marcello, poi Virgilio, Agrippa e a ruota crollano Ottavia, Druso, Mecenate, Orazio. Il malaticcio tante volte sfidante la Morte viene da lei evitato. L'ha fronteggiata talmente tanto che ora le induce repulsione?
Sa solo che è l'imperatore, la sua effige combaciante con l'effige di Roma, e se Roma non vacilla nemmeno lui può concederselo. Il marmo svetta inamovibile, statico. Fermezza incolore.
«Papà?»
Non esce dalla sua cubicula da... quanto? Il tempo necessario ad assecondare la crescita d'una trascurata, biondiccia barba. Mecenate lo rimprovererebbe di sciatteria. Il princeps deve curare la sua immagine, chi meglio di lui dovrebbe saperlo. Ma Mecenate è scomparso.
Orazio è scomparso, inumato al suo fianco, distesi in un comune sarcofago di marmo. Virgilio è scomparso. Druso, Marcello, Ottavia. Agrippa.
Augusto apre pigramente palpebre stanche, esasperate da quella sfilza di morti. Giulia ha occupato un lato del letto, spostando il mucchio di lenzuola stropicciate.
«Sei sepolto qua dentro da più di un mese. Credo che sia ora di dismettere il tuo lutto.»
In un rispostaccia poco imperiale e più da capriccioso malmostosetto Augusto si rivolta dal lato del muro, raccogliendo le ginocchia al petto. Dismetterlo? Non disonorerà la memoria di Mecenate e Orazio o di Agrippa, sua sorella, Druso e gli altri strappati alla vita.
«Se ne sono andati...» sgorga il singhiozzo. Roco, un rovesciarsi fragoroso di cocci infranti. «M-Mia piccola Roma, se ne sono andati. U-U-Uno d-dopo l'altro. Sono rimasto solo...»
Solo nella prigione dorata da lui stesso costruita.
Oh, gli amari paradossi del potere.
«Tu non sei solo papà.» Carezze sulla schiena, cerchi disegnati con le punte delle dita. «Hai me, Gaio, Lucio, i miei piccoli e quelli di Druso. Le ragazze.» Le sue strabilianti nipoti, orgoglio di Ottavia. «Vipsania e il suo bimbo.»
L'assenza di Livia e Tiberio non gli sfugge, ma non rigira il coltello nella piaga. Ha afferrato da po' come Giulia commiseri la moglie di Tiberio e al contempo non si raccapezzi dell'amore che la lega al fratellastro. Amiche in una bizzarra declinazione del termine.
«Cosa mi rassicura che non scomparirete pure voi?»
Giulia lo tira a sé, le ginocchia di sua figlia fungono da cuscino. La sua mano gli scivola nei capelli bisognosi d'una lavata.
«Il nostro amore.» Voce di velluto e cuore di guerriera. Enea al femminile la sua Piccola Roma.
Amore... il tempo non l'intaccherà, spera.
Ricordami
Ora devo andare via
Giulia è trascinata a forza fuori dal suo tablinium. Si dimena, si contorce nella serra fitta di muscoli dei pretoriani.
Lei implicata in una congiura. Impossibile. Augusto lo sa, lo sente. Non oserebbe mai. Ma Tiberio non ci rifletterebbe due volte a sbatterla davanti al Senato, rivoltare la storia a suo piacimento, sobillare gli animi alla più tetra delle sentenze.
Morte.
Ventotene, sferzata dal vento e flagellata dalle onde, la salverà e salverà la sua immagine. Immagine, immagine, cos'è un imperatore se non un'illusione ben attecchita? Scandali di lussuria e dissolutezza la distruggerebbero.
Ha sacrificato troppo a questa città, a questo Impero, perché anche una singola, microscopica macchia possa danneggiarne la facciata.
Le lacrime ustionano nel silenzio ovattato delle sue stanze. Augusto si preme alla parete, mani a coprire le orecchie, cercando di scordare i pianti di sua figlia, le sue urla, le sue implorazioni.
«Papà! Papà ti prego! Papà!»
Sarebbe stato meglio se non avesse avuto figli, lo colpisce ora il pensiero. Si sarebbe risparmiato un sacco di dolore.
Ora lo colpisce.
Se ne pentirà.
Ripensa a me
Sentendo questa melodia
Ha recitato bene la sua parte e il mondo applaude. Il suo Divo Padre applaude più degli altri. Lo sta aspettando, scoppiante di fierezza, sulla soglia dell'Altrove.
Gli amici persi e i nipoti seppelliti nel fiore della loro giovinezza, ci sono pure loro. Lì, lo attendono.
Vorrebbe che anche Giulia fosse qui. Vorrebbe che lo perdonasse. Perché Augusto ha sbagliato, esatto: Augusto ha sbagliato. Enormemente, un errore colossale, un rimorso a vita.
Mitigato dal perdono distillato con gli anni. Con gli anni? No, subito.
Ha rimpianto la sua decisione nell'istante stesso in cui quei battenti si sono chiusi, negandola per sempre alla sua vista.
La sua Piccola Roma...
Roma è diventata ciò che lui, tramite quel soprannome, intravedeva in Giulia? O il sogno di suo padre s'è distorto in un incubo?
O lui si è intrappolato nella sua trama di sogni e visioni e ambizioni?
Uniremo con le note il cuore e le anime
Giulia soccombe ai morsi feroci della fame, privata del cibo, isolata in una stanza. La condanna di Tiberio è sfrecciata appena suo padre ha esalato l'ultimo respiro.
Consunzione, isolamento.
Slitta in un sonno indolore, afflosciata in un angolo umido. Il buio la rinfresca, carezzevole, dissipato da uno squarcio di luce rosata.
Giulia scivola nell'eterno dove il tramonto incontra l'alba, in un oceano abbagliante e sconfinato, dove la paura si disintegra e il canto e il riso germogliano nel cuore.
«Papà?»
La stava aspettando. Giovane, biondo, affascinante. Il suo eroe d'infanzia, sfoderante un sorriso. La piccola Giulia tende le braccia e lui non tentenna.
La prende, l'abbraccio brilla come una collisione d'astri.
«Mi sei mancata mia Piccola Roma.»
Il tuo amore rimarrà
Sempre per me
N.A: la canzone non mi appartiene naturalmente! Ogni cosa spetta ai legittimi proprietari! Coco 4evah comunque ❤️
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