Pasqua
Sotto il cielo di Gerusalemme sogna innocenti messi a morte.
Claudia Procula, da onesta romana, chicco del granaio dell'Impero, non si scandalizza ai sacrifici, alle libagioni grumose e sanguinolente grementi gli altari inghirlandati. Il giorno stesso del suo matrimonio una pecora ha smesso di respirare, un solco gocciolante e purpureo scavato nel vello lanoso, la bestiola che si contorceva, bloccata dalle corde, belante della paura, dal coltello riflesso nei suoi tondi occhi sporgenti.
È la normalità. Dei affamati di offerte e mortali che li placano, le are elette a gogne. Pecore, vacche al macello. Perfino cavalli, in occasione dell'October Equues.
La vista del sangue non le hai mai suscitato sgomento.
Tranne ora, nella Gerusalemme focosa di ideali nuovi e rancori antichi. Tranne ora, nella frescura marmorea dei suoi appartamenti di moglie del prefetto.
Un agnello immacolato, un candore accecante, il manto che s'arriccia morbido come una nuvola. Sta in cima a un altare e non solleva un lamento, un belato, non si scompone in spasmodici, dimenanti brividi all'accanirsi furioso della lama su di lui. Claudia non vede il celebrante assassino in volto. Sa solo che abbassa il pugnale, lo rialza, lo riabbassa con una violenza inaudita, rabbiosa. Si sfoga sul povero, inerme agnello come se costui fosse reo di ogni sorta di sordida empietà.
Non con l'accurata dissezione degli aruspici romani, non un taglio lesto e le sofferenze sono terminate. No. L'agnello deve soffrire.
Ogni colpo è un'altra lama invisibile conficcata dentro Claudia. È innocente, lo sente dentro, lui non ha colpa, l'agnello non ha colpa! Si tratta solo di un animale, cos'ha da disperarsi tanto? Da piangere, una fitta colata di sale e rigagnoli di muco e gemiti rochi, sgorgati dalle profondità della gola?
È solo un agnello.
Il suo sangue insozza l'altare, s'insinua nelle scanalature, scende nei rilievi, infuocandoli d'un rosso lugubre. Scende, sembra deciso a penetrare nel marmo, a venirne assorbito, una spugna compatta e rettangolare. È tanto, copioso, zampilla dall'animale oltraggiato e non si estingue.
Sfiora, alla base dell'altare, il corpo abbandonato mollemente, scomposto e privo di colore, di un uomo.
Buono come l'agnello, coglie Claudia.
Senza macchia come l'agnello.
Il baldacchino d'impalpabile lino è il bersaglio su cui si piantano i suoi occhi sbarrati, sveglia di colpo. Claudia ci impiega un attimo a rievocare il luogo che la ospita, il letto ampio e vuoto, l'aroma speziato e pungente trasudante in ogni vicolo di questa fiera, religiosa città.
Gerusalemme, dai giorni cocenti e notti umide.
Città in cui suo marito esercita la funzione di prefetto su assegnazione imperiale, posto da Tiberio Cesare Augusto in persona. Suo marito. Ponzio Pilato. L'uomo buono è legato forse a lui? Suo marito è in pericolo? Controsenso: nell'incubo era l'uomo innocente, lindo d'animo come l'agnellino, a essere vessato dai soprusi, pugnalato ripetutamente, un Divo Cesare ovino.
Ma allora... se non ha a che vedere con lui... cosa può... chi? Chi era l'uomo nel suo incubo? L'ha già visto, sì era un viso familiare... ma dove? Dove?
Allenta la tensione immobile delle membra sospirando, la calma ristabilita, fissando l'etereo apparato del baldacchino in lino drappeggiato intorno al suo letto.
Sussurra di vento, stesso per i tendaggi. Sono bianchi. L'agnello risaltava d'uno splendente biancore, nemmeno avvicinabile alla tonalità all'improvviso fioca e grezza delle sue tende.
Bianco schizzato di sangue...
Claudia si depone una mano sul ventre piatto, bara di eredi affogati nel suo di sangue. Una sfilza luttuosa di figli e figlie espulsi in profluvi viscidi e rossi. Una volta sola ha partorito una bambina apparentemente intera. Ma, meno il volgere di un giorno in una notte, e il suo cuoricino non aveva resistito.
Non aveva neanche un nome ufficiale, la loro piccola combattente.
È una moglie incapace, ci ha steso pace con questo. Infeconda, una Cerere congelata nella solitudine dell'inverno. Non riesce a portare a conclusione una gravidanza, concepisce, ma li perde. Non sa se additarlo alla sua nuova, potente posizione ai vertici della Giudea, o al colpo della morte della loro stella innominata. Pilato, colpa dell'una o dell'altra o di ambedue, ha diminuito sempre con maggior frequenza la condivisione del talamo.
L'ultima volta è stato... quando? Il mese scorso? Sarà fortunata si si tratterà dell'unica volta in un anno, pensa.
La notte le sbroglierà la matassa contorta di pensieri. Claudia fugge sul balcone, Gerusalemme che s'allunga, ammucchiandosi in case piatte e un imponente Tempio dominante ogni cosa, sotto di lei. Batuffoli di luce lontani le ricordano il momento. La Pasqua. Nelle loro abitazioni, scostando le tende divisorie, i Giudei commemorano la loro Liberazione, desinando su pane azzimo, piatto e tondo come un disco di farina, cespi di erbe amare e agnello.
Agnello. Claudia ricaccia un groppo in gola.
Sono strani questi Giudei, ripete sovente suo marito, ma ci tocca governali e Roma impartirà disciplina alle loro testacce cocciute. È lecito, Claudia ha imparato che Roma illumina di progresso, tolleranza, pace. In nome di Cesare Augusto prima, in nome di Tiberio Cesare ora. Però, però...
I predicatori da lei uditi abbracciavano un altro tipo di disciplina.
O magari non è neppure corretto ridurla a semplice disciplina. Non erano propriamente delle regole. Yochanan, sulle rive limacciose del Giordano, ammoniva di battezzarsi, vero, ma nell'attesa di uno più grande, potente. E forse - il cuore angosciato di Claudia non se la sente mai di cantar certezza - quel grande, quel potente, Messia è citato nei testi giudaici ha carpito, si è avverato nella figura di quell'uomo dalla lingua di fuoco e miele.
Yeshua di Nazareth, detto Cristo.
In gran segreto, velata nelle moltitudini sgomitanti, è scesa nelle vie e nelle piazze, l'ha ascoltato, e nei suoi discorsi rapinosi, nelle sue ricche parabole, nelle sue preghiere, nei suoi gesti motori di scandalo, Claudia non ci ha scorto la minaccia furibonda di molti presunti santoni, il sole squagliante il loro senno. No, le azioni di Yeshua, il suo modo di porsi, di interpretare versi a cui lei mai prima d'ora s'è accostata lascia stupefatti, trafigge l'interiore.
Se suo marito lo scoprisse sarebbero guai.
Uno strisciare nell'ombra la porta a sussultare, girandosi all'improvviso a frugare con lo sguardo le tenebre. Qualcuno si è introdotto nei suoi alloggi?
«Chi va là?» invoca tremula. Solo a pochi è consentito presiedervi a quest'ora tarda, i guardiani alla sua porta. «Longino? Buon Longino, sei tu?»
Cassio Longino, giovane centurione servente il suo consorte, leale, perentorio e svelto nell'eseguire tanto quanto nell'impartire, penetra nel ritaglio d'argento lunare, brandendo la lunga lancia del suo cognomen.
«Eccomi domina.»
È lui, il loro fedele Longino. «Oh, menomale.»
«Non vi sentite bene?»
Bene. Quanto è sfaccettato il senso di bene? Claudia declina lo sguardo, i tetti piatti e schermati da graticci della città s'arroccano intorno ai nuclei di potere.
«Nel fisico fiorisco di salute, nell'animo sono piagata.» ammette flebile, le sue ciocche sciolte volteggianti nel vento. «Un pensiero, una... una sensazione mi opprime. La morte mi ossessiona.»
Un agnello privo di colpa. Un uomo buono. Dove l'ha già visto? Dove? È sicura!
Longino, edotto ai modi dei soldati, si pone subito a sua difesa. Stringe tenace la lancia. «Domina, qualche scellerato ha osato turbarvi con parole inappropriate? Ditemi il suo nome-»
«Nessuno, nessuno caro Longino.» Claudia si sbriga ad attenuare l'impeto. «Viene da sé, sale nel mio cuore come la marea. Solo il pensiero di quel Profeta riesce ad alleviare il dolore.»
«Profeta?» replica confuso il centurione.
«Yeshua, il Nazareno. I suoi discorsi sono... sono... non si possono descrivere. Ti travolgono, sovvertono le tue certezze.»
Non ti fanno sentire sporca e deludente. Le corre la mano al grembo.
«L'avete udito predicare?»
Claudia annuisce. «Parecchie volte. Ti scongiuro, mio marito non lo deve sapere.»
«Non lo saprà domina.» le garantisce Longino e, quando lo fa, con lui c'è da stare tranquilli. «Ma perché continuate ad avvertire questo presentimento?»
Perché? Già, perché? Perché sogna animali torturati e uomini riversi nella morte?
«Vorrei saperlo anch'io. Mi insegue nei miei sogni, vedo agnelli sgozzati, innocenti trucidati...»
A differenza sua, ambientata agli usi locali, a miracoli e guarigioni, Longino spiega tramite dati e ragionamenti. La vita terrestre e cruda dei soldati.
«Le tradizioni dei Giudei in occasione della loro Pasqua devono avervi impressionata fortemente. Potreste ritirarvi fuori città, sulle rive di Tiberiade. L'aria lacustre rilasserà la vostra psiche.»
Tiberiade, il lago dai riverberanti barbagli d'oro.
«Può essere Longino.» Può, davvero, ma prima deve sgravarsi un peso. «Dimmi, tu hai mai visto un innocente venire ucciso?»
L'immediatezza della sua risposta la lascia inebetita.
«Sì.»
Stupida che sei! Lui è un militare, i militari si disfano di innocenti a palate!
«La sua morte ti ha sconvolto?»
Il suo tentennamento la spiazza, se possibile, ancora di più. Non è tipico di Longino.
«Sì.»
«Se non ti turba posso sapere chi-»
«Mio fratello.»
Un silenzio taglia le parole, addensandosi tra di loro. Claudia lo scruta come se il ligio, ferreo centurione di sua conoscenza si fosse liberato d'una scorza seccata e vecchia. Longino aveva un fratello. Beh, poteva quasi essere scontato.
«Oh.» sospira Claudia. «Mi dispiace. Qual'era il suo nome?»
«Marco.» lo dice veloce, uno inanellarsi di sillabe vicinissime. «Era il più piccolo di noi tre. Nostra madre non pensava di poter avere altri figli, la gestazione di Marco la contraddise. Lo accogliemmo tutti come un dono divino. Non ci importava che fosse tardo, diverso dagli altri, sensibile al baccano delle folle, ai contatti.» Un bambino peculiare, di quelli per cui introversi va preso alla lettera. Longino non la sta fissando, si accorge. Sta dissotterrando i ricordi. «Lo amavamo tutti. Essendo più grande ne divenni una sorta di custode. Andavamo tutti i giorni negli uliveti circostanti a giocare, ci acchiappavamo, ci arrampicavamo sugli alberi, mi prendevo cura di lui. Finché un giorno...» Deglutisce, un velo di lacrime.
Lacrime? Longino? Voleva bene a suo fratello. Roma non concepisce la virile debolezza. Claudia, nelle sue perdite silenziose, sì.
Avanza l'ipotesi più plausibile. «Cadde da un albero?»
«Lo lapidarono.»
Lapidazione. Un bambino. Un altro innocente schiacciato dall'ingiustizia. Ovunque si volti trova innocenti uccisi!
«È terribile!»
«Stavamo giocando a nascondino, io contavo, lui corse a nascondersi. Terminato il conteggio mi recai a cercarlo. C'era... c'era un gruppetto di ragazzini che amava provocarci, si beffavano di lui con epiteti che gradirei non ripetere.» Bambini accaniti su altri bambini, l'innocenza non dovrebbe degradarsi a tanto! Chi li ha resi degli abbietti criminali? Chi? Chi è stato il responsabile di un'innocenza contaminata da adulta arroganza? Un formicolio le avvolge i palmi. Claudia vorrebbe strangolarli uno ad uno, quegli adulti-no! Cosa pensa? Pregate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano. «Marco aveva trovato un nascondiglio dentro un tronco caduto, chissà come loro erano capitati di lì, nello stesso momento. Credo che l'abbiano trascinato fuori a forza, deriso, e nel frattempo agito. Non lo saprò mai. Quando arrivai Marco era steso sul terreno rosso di sangue, fissava il cielo. L'erba sanguinava, le pietre nelle loro mani sanguinavano.» Longino si lascia scappare un singulto soffocato, il pomo balzante incerto. «"Ti abbiamo tolto un fardello" mi dissero. Non ricordo bene se ne picchiai uno, però a un certo punto giunsero gli adulti, qualcuno riportò a casa il corpo.»
Il corpo pestato e irriconoscibile del piccolo Marco...
«I colpevoli vennero puniti?»
«Non lo so domina.» Scuote la testa e l'accenno di lacrime muore. «Me ne andai poco dopo. Ero un secondogenito dopotutto, di me potevano farne anche a meno.»
Claudia ha provato il supplizio insostenibile della perdita d'un figlio, il buio addosso, distorcente il mondo, appassente i brandelli di felicità. Osa solo immaginare, in un brivido fiorente di pelle d'oca, il fulmine di dolore attraversante la madre di Longino e Marco alla vista del corpicino fiacco.
«E tua madre?»
«Per quel poco che rimasi non si riprese mai. Marco era il suo miracolo, la sua perla. Ricordo lo strazio sul suo volto quando le mostrarono ciò che rimaneva di mio fratello, il suo urlo squarciagola...»
Claudia ha urlato alla morte della bambina? Un grido intenso, ginocchia cedenti...
«Sarà stata distrutta.»
È il turno di Longino d'annuire. «"Me l'hanno ucciso" gridò, non so a chi. Aveva ragione se intendeva anche a me.» Un'ombra l'oscura. Non generata dalla lancia, dall'elmo, da altri componenti dell'armatura.
Lui? Come può pensarlo?!
«No.» Si getta Claudia.«Quella banda di delinquenti assassinò Marco.» Si appunta che non sono delinquenti. Chi è lei per dirlo? Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano, il comandamento di Yeshua. Ma Marco! Il suo attoce delitto! È ingiusto! «Tu non-»
«Io ero il suo custode.» Il centurione si rizza, lancia tesa, pervaso di disciplinata obbedienza. «Era mio dovere proteggerlo. E ho fallito.»
Il fratello carnale sottratto, ma decine di fratelli romani salvati. «Per questo hai deciso di proteggere Roma?»
«Non è un compito in solitaria per lo meno.»
No, non vi è carenza di assistenti.
«È nobile quanto proteggere quella povera anima innocente.» afferma Claudia con decisione.
«Come voi dite domina.»
«Lo è Longino, lo so. Io ho visto i miei figli morire, scheletrini effimeri, globuli di carne, tessuti e sangue, in successione.» Un maschio, un altro maschio, una femmina e poi un terzo maschio. La bambina ostinata a vivere era la quinta. «Quale colpa avevano? Quale colpa aveva il tuo dolce fratellino?»
I Profeti della strada direbbero di attenersi al volere di Dio. Claudia non lo capisce questo volere, non ci vede nulla di buono in innocenti immolati, puri come agnelli. Perché? Perché? Yeshua guarisce le ferite dell'anima, potrebbe curare pure le sue? Potrebbe darle un senso? O è troppo romana, troppo straniera, per arrivarci?
«Sono solo un soldato domina.» Longino è pratico. «Non mi reputo abbastanza sapiente per saperlo.»
Non è da solo nel mistero incomprensibile.
«Lo stesso vale per me Longino, lo stesso vale per me...»
L'aria è greve d'un nauseabondo profumo di rose, manca poco alla ricorrenza di Pasqua dei Giudei e il fato probabilmente trova divertente prendersela su Ponzio Pilato, prefetto della Giudea.
Un uomo arrestato, un sovversivo l'hanno informato. Avrebbe rinviato la cosa a dopo le celebrazioni, Gerusalemme è intasata di carri trafficanti, pellegrini e mercati tracimanti, ma quel branco di sciacalli del Sinedrio insiste, preme. Da questa mattina all'alba, anzi, persino prima, l'uomo sballotato tra le dimore dei sommi sacerdoti.
Se c'è una cosa che Pilato ha imparato, durante questa pagina in qualità di prefetto, è che il Sinedrio incarna la quintessenza della scontentezza. Su tutto. Sorrisi e salamelecchi di alleanza e amici, belle frasine infiocchettate, e appena uno tenta di risolvere un problema affliggente queste lande sabbiose, quella banda di bacucchi si oppone bastian contrario, latra di leggi, tira in ballo le loro Scritture. Secondo il nostro credo questo e quest'altro, secondo la Legge di Mosè...
Perciò, se non vuole che le frizioni s'intensifichino in una terra già ostile, sia di tempo che di abitanti, deve scrollarsi quest'impiccio di dosso, tendere l'osso al Sinedrio e, si spera, lo lasceranno in pace.
Nonostante alberghi in lui uno spicciolo di curiosità, sul serio. Quest'uomo arrestato, condotto prima a casa di quella zecca di Caifa, successivamente di suo suocero Anna, non è un uomo comune.
Un Profeta che ha fatto molto discutere, operatore di miracoli, a quanto gli hanno riportato. Resuscita i morti, guarisce gli storpi, ai ciechi restituisce la vista, la parola ai muti, l'udito ai sordi. Favole naturalmente. Il mondo abbonda di ciarlatani e di imbecilli ignoranti che ci credono. E l'ignoranza, se accresciuta, è uno stoppino capace di scoppiare nei fuochi delle insurrezioni.
La Giudea spicca come focolaio, il popolo mal sostiene la dominazione romana. Presto ne faranno l'abitudine. Roma introduce leggi, regolamenti volti al benessere collettivo. Lo fa per loro, diffondere la luce della civiltà.
Dovere sacro, sì. Di ogni cittadino amante la sua patria. Pilato non crede di avere smesso d'amarla, Roma eterna, abbagliante di marmi, agghindata d'ori. Aveva cominciato euforico e pronto in gioventù, operando prima sotto il buon Augusto, adesso al servizio del tetro Tiberio. Eccitato, spendersi per Roma, qualunque carica gli sarebbe stata assegnata andava bene.
Cosa si è rotto nel tempo? Quand'è che la fiamma s'è affievolita? È prefetto, un ruolo non di poca caratura, cappeggia una litigiosa provincia di superstiziosi, aridi bigotti attaccati al loro unico Dio e alla loro travagliata storia di peregrinazioni.
Ha scalato, eppure...
L'ombra dell'irrequietezza lo pedina, onnipresente come un morbo attecchente la letizia. Si è dileguata la gioia del principio, solo Claudia riesce a irradiare ottimismo. Sarà il clima ostile di questa fetta dimenticata da Giove? Gli zeloti conservatori e le loro rappresaglie? Israele libero, strepitano.
È libero, vorrebbe ribeccare Pilato, nella libertà colta di Roma.
Caifa, Anna e i loro affollano l'anticamera al pretorio, un parlottio di paramenti pesanti, caterva di gioielli. Sommi sacerdoti e capi del Sinedrio. Neanche a Pasqua se ne stanno buoni.
L'uomo è dentro, gli comunica Longino, a capo della sua scorta.
Interrogare un profeta. Bell'occasione. Pilato non l'ha mai fatto. Vediamo di investigare questo mistero.
«Che accusa portate contro quest'uomo?» Si pianta davanti a Caifa, interrompendo il berciare in gutturale aramaico.
Il sommo sacerdote, barbuto e cerimonioso, non si degna neppure d'un saluto.
«Se costui non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato.» sibila, fessurando gli occhi. «Si fa proclamare Re dei Giudei. Afferma di essere il Messia, il salvatore. Una bestemmia orribile!»
Malfattore. Già cominciano. Fino a prova contraria si tratta solo di un predicatore come gli altri. Giudeo poi.
«Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!» sbotta infastidito Pilato. Se si proclama in titoli giudaici che siano loro a occuparsene.
«A noi non è consentito mettere a morte nessuno.» risponde Caifa, come se gli stesse sventolando la sacrosanta verità.
Aaah... e sia! Lo stanno già irritando abbastanza. Valutiamo questo presunto Messia e tagliamo la testa al toro. Ordina di spalancare il portone del pretorio, la massa sacerdotale naturalmente non entra, in osservanza delle loro leggi, per non contaminarsi. Contaminarsi con cosa? Ignominie romane? Per favore. Il male romano differisce forse da quello giudeo?
L'uomo, Yeshua, sosta al centro. Incarnato cotto dal sole, neri capelli fluenti, mani graffiate dalle corde. Un Giudeo come tanti altri.
«Sei tu il re dei Giudei?»
Yeshua alza la testa e un luccichio celeste lo sorprende. Non ha mai visto occhi d'un azzurro così stupefacente. Lo dovrebbe stupire ben poco. In un calderone ribollente di crocevie come la Giudea e la Samaria e regione confinanti, in cui si mischia sangue orientale, africano, greco, addirittura romano, può nascere qualsiasi combinazione di colori. Questi occhi però, hanno qualcosa...
«Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?»
Insolenza giudea! Risponde per indovinelli. Pilato non si lascia scalfire. Esercita la sua autorità di prefetto - per quanto non lo rallegri, per quanto non ci ritrovi più un senso - e spetta a lui inquadrare quest'uomo nell'ottica di Roma, perché Roma lo remuneri per le sue trovate. Ha davanti forse un mago? Un truffatore? Un seguace d'un risveglio religioso? In molti lo seguono, dodici gli hanno detto. Allora forse un capo militare? No, il suo viso tracima mitezza.
Un figlio di Roma non deve mai lasciarsi fuorviare. Non basta a definire l'uomo, gli serve altro. Indizi ulteriori. La giustizia dell'Impero non si fonda solo su quattro millantate attribuzioni regali. Vanno provate.
«Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me.» Gli gira intorno, avvoltoio sulla carcassa. «Che cosa hai fatto?»
Il Nazareno, dignitosamente, si erge in pacata compostezza.
«Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei, ma il mio regno non è di quaggiù.»
I suoi servitori. Lui, che predica eguaglianza e amore, dispone di servitori? E chi sono? Quei dodici? Effettivamente, ora che Pilato ci riflette, dove sono? Dei discepoli devono stare con il loro maestro.
«Dunque tu sei re?»
Potrà anche averlo detto a caso, ma la parola re è una freccia al tallone di Roma. Le parole sono sassi scagliati, palle di neve che s'ingigantiscono in una valanga. Una valanga sotterrante Roma, questa misera provincia.
«Tu lo dici. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.»
La verità? Quindi, se Dio esiste, ha mandato la verità nella persona di quest'uomo comune, falegname d'un villaggio? E la verità, la verità... cos'è lui se in lui sta la verità?
Pilato si blocca, assottiglia gli occhi. «Che cos'è la verità?»
L'ha inteso come beffa. Se lui la conosce che la declami al mondo! Ma Yeshua non la prende per lo stesso verso.
«Per te?»
Per lui? Forse un tempo la sapeva, un tempo la sua verità coincideva con Roma e il servizio prorompente. Ora? «Ci sono molte verità. La mia, la tua, la loro. Sembra che tu voglia imporre la tua.»
Urlando che il Tempio è divenuto una spelonca di ladri, venendo accolto festoso e trionfale su un tappeto di mantelli, rami di palma e germogli. Un ingresso da condottiero a Gerusalemme... in sella a un asino.
«Roma agisce diversamente?»
L'Impero impone, ma come un maestro assennato.
«Roma illumina le tenebre con fari di cultura, civiltà, diritti.»
«Può farlo anche Dio.» mormora Yeshua. «Può farlo anche l'amore.»
Amore. Pilato, nella sua esperienza, ha visto come l'amore deperisca. Come venga calpestato. Dalle lance di Roma e dall'odio degli uomini.
L'ha inquadrato finalmente: un filosofo sognatore.
«Tu affermi di volere cambiare il mondo attraverso l'amore, ma saprai come me, se possiedi un briciolo di raziocinio, che l'amore esagerato muta in idolatria, l'idolatria spiana la strada al fanatismo e fanatismo è una parola che molti tuoi ferventi compatrioti sembrano conoscere molto bene.»
A spade e grida belluine.
«L'amore vero non si serve di armi.»
Lo sapeva! Togliamo filosofo, questo è un sognatore fatto e finito. «Allora rischia di finire schiacciato sotto la crudeltà umana.»
«Chi ha detto che non possa avvenire l'incontrario?» Yeshua inclina la testa. Quell'azzurro, zaffiri incastrati nella roccia bruna, lo trapassa.
Che cos'ha addosso quest'uomo?
«La realtà.» sentenzia duro Pilato. «La vita.»
La vita che ti prosciuga della passione, dell'ardore. Del motivo.
«Io sono la Vita.»
È la verità, è la vita. Quante cose si crede di essere questo profeta? Se non è un sognatore allora è un pazzo. Pilato frantumerà le sue sciocche fantasie con la pietra scagliata da una fionda denominata logica.
«Quindi, poniamo caso che, quella bontà d'animo insita nel cuore dell'uomo, quell'amore naturale, da te predicato, esista.» Braccia allacciate dietro la schiena, riprende a girargli intorno, un fruscio di toga. «Immaginiamo una giovane fanciulla in età da marito che, per amore del padre, sottosta al suo volere e si sposa con un vecchio ubriacone violento, il quale non le consente un giorno di pace. L'ha fatto per amore, ma che amara ricompensa ne ha ottenuto?»
«L'amore non comprende forse anche la dignità? L'amare se stessi?»
«Eppure tu hai dichiarato che dovremmo amare gli altri come amiamo noi stessi.»
«L'amore nasce da dentro, dal cuore, e se un cuore non è in pace non riuscirà a diffonderla a chi gli sta intorno.»
Ha fiducia nell'umanità il nostro predicatore. Vada a spacciarlo ai cadaveri beccati dai corvi sui campi roridi di sangue. Ai suoi compatrioti affissi alle croci.
«E cos'è la pace?»
«L'amore.»
Una medicina non sempre efficace.
«Ma non si può imporre l'amore.» Così come non si può imporre molto altro di non fisico. Se si ama qualcuno si rispetta la sua decisione di non venire amati. «Lederebbe la libertà altrui.»
«L'amore stesso è liberta.» squilla Yeshua con una calma surreale al tempo e al contesto. «Ma, come in ogni cosa umana, necessita della moderazione.»
Frugalitas. Pilato n'è colpito. Quest'uomo conosce i valori romani? Non è cittadino dell'Impero, potrebbe averli intercettati casualmente. Sta cercando di capirlo, poiché anche il più spregiudicato dei criminali è mosso da motivazioni, e lui para le sue domande con dilemmi, rompicapi contorti. Digressioni da filosofi.
Chissà, magari lo è davvero.
«Umana, hai detto.» gli puntualizza. «Perché? Dio, ammesso che il vostro Dio esista, non si controlla?»
«Lo fa e sa farlo, nei suoi modi. Come ora.»
Ora. Piomba pesante e forte nel pretorio rivestito di pietre e marmi.
«E se un uomo non volesse ricevere amore?» lo incalza Pilato. Visto che il falegname di Nazareth mastica un'erudizione apparentemente fuori dal comune, saprà dispensare una risposta giusta.
«Vi è forse una zolla di terra che non abbisogna d'acqua?»
Come non detto. Un'altra frase condita di enigmi.
«Dentro magari, ma fuori l'orgoglio impedisce al bisogno di emergere.»
Yeshua non demorde dalla sua posizione. «Amando si può infrangere qualsiasi guscio.»
«Anche quello romano?» Pilato si ferma, questi giri di parole lo stanno stordendo. «Toglimi un dubbio: se tu sei veramente il Messia predetto di questo popolo, sei venuto per loro. I Giudei ti attendono, profeti Giudei hanno riempito libri di profezie riguardanti la tua persona. Loro, non il resto dell'umanità che segue altri culti e venera altri dei. Contraddice il tuo messaggio: se l'amore è gratuito, illimitato, disponibile a chiunque, come mai privilegiarlo solo a una cricca ristretta d'un misero popolo vagabondo? Perché benedire e salvare loro e non noi? L'amore non dovrebbe abbattere le preferenze e le divisioni? Perché Re dei Giudei e non Re del Mondo? O dei poveri? Dei disperati, dei miserabili?»
Se c'è un Dio per quale ragione è Dio solo dei Giudei? Chi conforta gli altri, di lui ignari perché non aderenti a questa fede o perché non li ha mai raggiunti notizia della sua esistenza? Il Dio dei mendicanti romani? Dei borseggiatori? Degli impiccati? Il Dio del ladro che dal patibolo urla la sua verità?
Il Dio di chi ha perduto di vista il suo scopo? Che il suo sangue sia romano, giudeo, greco o egiziano?
La calma del Nazareno altrove l'avrebbe reputata irritante. Stranamente appicca curiosità. Scava in fondo. «Quando incontri un malcapitato per la strada e gli presti soccorso, ti soffermi a indagare sulle sue origini? La volontà di aiutarlo lo scavalca.»
«Sempre se quella volontà c'è.»
«C'è. Altrimenti l'uomo non disporrebbe di un cuore per amare.»
«E di una ragione per pensare.»
«Non è detto che debbano operare uno ai danni dell'altro sai? Ovunque esiste la collaborazione.»
E la luce si contrappone al buio, il freddo al caldo. Le basi, grazie tante. «Come l'inimicizia.»
«Un padre ama forse un figlio più dell'altro?»
Gli affiorano alla memoria i testi racimolati, quell'infarinata d'informazione minima all'amministrazione.
«Da quella scarna conoscenza che posseggo delle vostre Scritture ti risponderei di sì. Giacobbe preferì Giuseppe ai suoi fratelli, nonostante questi fossero onesti lavoratori.»
«Ma, scoperto il destino di Giuseppe, li perdonò.» rincara Yeshua, deciso. «Perdonare è amore, è una sconfitta dell'orgoglio.»
Persino quando l'orgoglio è così spesso da non lasciar filtrare un raggio di luce? Si astiene dalle coltri di Claudia per la ragione opposta. Nelle braci danza un numero sproporzionato di bambini congedati dalla vita ancor prima di intraprenderla. Non lo sopporterebbe un altro, un altro figlio morto.
«Roma dovrebbe perdonare quegli sgangherati folli degli zeloti allora? Quei fanatici che ambiscono a demolire la pace e la convivenza civile tra i nostri due popoli?» L'ha tirato in ballo lui questo perdono impossibile. È arduo pure perdonare se stessi, guarda Claudia. Il suo animo non emenda gli errori del suo corpo traditore. «Tu parli di perdono, ma ti scagliasti infuriato sui mercanti occupanti il Tempio giorni fa. Avresti potuto perdonarli, invece hai sbattuto a terra i loro banchi, rovesciato i loro prodotti, creato scompiglio.» Si sta contraddicendo dunque? «Sono lavoratori, certamente lo saprai, come chiunque a questo mondo devono racimolare tre talleri con cui sfamare moglie e figli. Lo sforzo in nome della famiglia non è anch'esso una forma d'amore?»
«Non lo è l'avarizia. O l'arricchirsi sul nome di Dio.»
«Tuttavia imporre ad altri il proprio pensiero è una negazione dell'altrui libertà.»
E non è da Roma. L'Impero consente innumerevoli libertà. Gli schiavi ornano il quotidiano, esistono da sempre. Colonne reggenti la volta dei potenti. Sostituibili. La libertà si arresta solo al nome di Cesare.
«Siamo tutti egualmente liberi ed egualmente schiavi.»
Sarebbe una frase da sovversivo, uno Spartaco spezzante catene.
«Attento Nazareno, ti stai addentrando in un territorio pericoloso.» Pilato leva un dito minaccioso. «Un'affermazione del genere implica che un nobile sia allo stesso livello del suo servo.»
«Lo sono. Uniti dall'amore, uguali nell'amore.»
Con i suoi seguaci potrebbe liberarli? Insurrezioni? Scontri? Nella sua mente si avvicendano convulsi.
«Ma non è realizzabile! Sono tasselli nel mosaico della società, ognuno dedito alla funzione che gli è assegnata, la regolano. La società e la legge sono indispensabili all'ordine universale. Creano armonia.»
«Così non agisce anche la fede nel cuore dell'uomo?»
La fede, non Dio. Non il suo Dio. Io ho fede nella Triade Capitolina, in Giove tonante, in Giunone verde di gelosia, in Marte flagello delle battaglie. Questo diminuisce la mia ipotetica bontà? Restringe le mie possibilità di salvezza?
Mi sminuisce agli occhi del tuo Dio retto e giusto?
«Gli animali vivono senza leggi e guarda la loro bassezza, il loro azzannarsi e uccidersi gli uni gli altri per la sopravvivenza.» enuncia Pilato, ragguagliando entrambi sul sentiero della logica e dell'osservazione. «Ne osservano una soltanto: la legge del più forte. Il predatore divora la preda, il più debole trema nella paura e soggiace al furbo.»
«L'uomo non mi è poi parso tanto diverso.» ribatte Yeshua. «Ma l'animale agisce per istinto, la spada la si solleva con lucidità.»
Una lucidità raggranellata. Sei dinanzi al tuo nemico incatenato e il tempo si contrae, dilatandosi, raggranellato nel sudore che spilla da te, da lui, si mescola sulla terra sozza, si amplifica nei vostri respiri. Ti rendi conto che stai per ucciderlo. Sei il suo carnefice, lui la tua vittima. Il potere si gonfia dentro di te. Ti esalta dolcemente.
«La libertà nella decisione.» esala Pilato.
Come può saperlo un falegname? Il massimo che avrà maneggiato saranno chiodi e martelli.
«Pure all'uomo servirebbe una sola legge, ma si rifiuta di apprenderla.»
«Quale?»
«La legge dell'amore, su cui i potenti non legiferano e la natura non esercita influsso. Può un re proibire a una madre di riversare un sentimento incondizionato e puro sulla creatura generata dal suo grembo? O a due fratelli di provare affetto? O a uno sconosciuto di lanciarsi in sostegno d'un indifeso?»
Amore e compassione sono fratelli, ma diversi.
«Quella a cui ti riferisci prende il nome di pietà.»
«No, non mi pare sia tanto malinconica.»
Eppure anche la pietà sboccia dall'amore. No?
«Non fai altro che sparlare e ripetere di amore, amore... è questa la tua arma?»
Yeshua, lentamente, si volta a confrontarlo e l'attrazione dentro Pilato cozza con la paura, il timore. Un romano che si lascia incutere inquietudine da un Giudeo, un falegname? Giammai. Si strofina la toga, distogliendo lo sguardo.
«Sarà una rivoluzione.»
Sicuro, convinto. È tentato di crederci.
No!
«Con te a capo?» Pilato ride, riacquista il contegno. Gli insignificanti non scaleranno mai sulla cima. «Sei abile a incantare, un bravo oratore, te ne rendo atto.» A Roma saprebbe accattivare le masse nella sua tela, Cicerone il sommo, se fosse vivo, lo amerebbe. «Ma attualmente non sei libero. Sai che molti godrebbero al saperti morto?» Caifa e il suo circolo di serpi. «Sai che ho il potere di zittirti per sempre? Potrei, se rintracciassi in te un motivo di condanna.»
E di nuovo quella lentezza solenne, il tono ineluttabile, l'azzurro limpidissimo s'intrufola nelle sue pieghe.
«Tu mi condannerai.»
«No, non lo farò. Sei un idealista, un sognatore. I tuoi sogni d'amore e fratellanza sono innocui. Roma non ci scorge una minaccia. Ma non posso concludere con un nulla di fatto. Sei un giudeo, di conseguenza suddito di Antipa. Ti manderò da lui. Quella scimmia ammaestrata vanta meno giudizio d'un cane. Ti rilascerà, vedrai.»
Dovrebbe mantenersi imparziale. Tuttavia non puoi trattenersi dall'ammirarlo. Yeshua di Nazareth, nelle sue fantasie passionali, fanciullesche, lotta con uno scopo.
Una ragione, guida del suo mandato.
Pilato reprime una fitta d'invidia. Segnala a Longino di condurlo via, agli armati rimanenti di riaprire le porte. Le dolciastre ventate di rose lo inondano, zaffate negli spiragli. Gerusalemme ne trabocca.
«Vedrò il compiersi della Verità.» dice Yeshua mentre lo strattonano per le corde ai polsi.
Verità. Ancora. Che cos'è la verità?
Pilato s'irrigidisce, gli oppone la schiena. I sacerdoti farfugliano, un guazzabuglio impaziente. «Non ho ancora compreso bene quale sia questa verità.»
Pacificherebbe i suoi dubbi comprenderla?
«Ti auguro di riuscirci.»
Il prefetto l'ha condannato. Di più: se n'è lavato le mani.
In senso letterale.
«Me ne lavo le mani! Il suo sangue ricada su di voi!»
Longino non deve domandarsi le ragioni dietro alle decisioni dei suoi superiori. Obbedienza. Sempre. Cieca e indistruttibile come l'Urbe Eterna a cui ha votato la vita. In fondo il prefetto è stato messo alle strette. Il popolo ululava al sangue del Nazareno. Loro, insofferenti alla giornaliera mano romana, ma pecore sottomesse, unite in un appello alla crocifissione, soddisfatte nella goduria perversa di un innocente sofferente oggi.
Un loro comandamento non intima forse di non uccidere?
Ha obbedito. Dopo il rimpallo tra Erode e Pilato e la decisione popolare il Nazareno è stato legato al palo, flagellato come prescrive la giustizia. I suoi ragazzi si sono sbizzarriti, stimolati dall'aria di Pasqua. Si dichiara Re? Allora ecco il suo copricapo di spine appuntite d'euforbia, un mantello di porpora regale e, dolce in fondo, l'immancabile scettro! Canna cava e floscia.
E il trono.
Una croce di legno.
Zuppa di sangue. Si stupisce ancora quanto il Nazareno ne stia grondando, lacero e lussato, impregnato. Non ricorda nemmeno quale fosse il suo colorito in precedenza. L'uomo è scarlatto, impiastricciato, contuso e gonfio sugli occhi, percosso.
L'ha trascinata nella polvere, tra due ali di folla ingiuriante, che sputava feroce, insultava.
Ma sapeva, oh sapeva il prefetto che questo rantolante presunto profeta, spirato sulla croce, il suo corteo regale un ornamento di donne lacrimanti e un ragazzino dall'aria sperduta, avrebbe provocato un terremoto? La luna antistante il sole in uno spicchio di madreperla incoronante il nero? Buio e turbamenti e... e...
La terra trema, i massi si sfaldano, rotolano, crepe venano il cranio del Golgota. Longino incespica, casca, si rialza, i palmi sfregiati. Tito, suo aiutante, gli urla nel vento, fendente il sussulto del monte.
«Sono morti?»
Il Nazareno e gli altri due. Se il deriso re centrale s'è afflosciato, plumbeo come le nuvole scurenti il cielo, i ladri condannati insieme a lui? Quello con cui ha scambiato una manciata di gemiti nel loro aramaico ringhioso e l'altro, che sghignazzava di beffa finale?
Respirano. Presto il giorno finirà, il sabato santo ebraico s'inaugurerà. Non potranno seppellirli. Devono sbrigarsi a morire.
Longino li agevola, martellandoli sulle ginocchia, il rumore di ossa fracassate. Fa per riservare il medesimo trattamento al Nazareno, quando una donna, sorretta dal ragazzino, si slancia ai piedi trafitti del figlio. Bacia il sangue, si colora il mento di sbavature rosse. Il ragazzo, delicato, la stacca.
La madre.
I loro occhi s'incrociano - i suoi celesti e l'eco dimenticato, volontariamente soppresso, riecheggia prepotente - si fissano.
Me l'hanno ucciso!
Gliel'hanno ucciso. Come Marco. Squarci di sangue e ferite.
Me l'hanno ucciso!
Non ha mai contravvenuto a Roma. Il Nazareno è un uomo da niente in una terra da niente, ma qualcosa scatta in lui e Longino balza ad afferrare la sua lancia.
Trafigge, il costato cede.
Un fiotto liquido, uno sputo rosso e contemporaneamente acquoso lo investe, trasportato dal vento, spruzzato sulle palpebre, intruso nel palato. Longino le sbatte, sputacchia, vacilla. L'uomo pende dalla croce, inerme e finito. È morto. L'hanno ucciso. Loro o l'indecisione di Pilato? O il Sinedrio? O l'ira del popolo? Tutti questi segni, i prodigi, i... i...
Me l'hanno ucciso!
Sente il respiro mancargli. Un secondo Marco. In qualsiasi vita non riesco a salvarti. E improvvisamente piange. Lacrime copiose, inarrestabili, colano sul volto imbrattato di sangue profetico, un pianto che lo piega. Perché sta piangendo? È solo un uomo, un uomo qualsiasi, un criminale. Un Giudeo in più o in meno che differenza arreca?
Perché sta piangendo?!
Si prostra, la lancia recante le macchie, rubini incrostati. La raccoglie, la serra al petto. Sente il bisogno impellente di sfilarsi l'elmo, un clamore di metallo e polvere.
«Davvero costui era Figlio di Dio.»
Di qualunque dio abbia accolto suo fratello.
Tre giorni dopo Claudia piange di gioia, in una primavera rinata e crepitante di brezze frondose, variopinta di colori. Aspetta un figlio. Sa, innato, che nascerà vivo e sano.
Tre giorni dopo, a una tomba che è stato incaricato di sorvegliare, Longino scappa esterrefatto da un uomo che non dovrebbe vivere.
Tre giorni dopo, Pilato ammira Gerusalemme dall'alto e spera che, se il sognatore è veramente risorto, potranno riprendere, un giorno, quella conversazione sulla verità.
Sta ancora cercando di capire cosa sia.
N.A
I nomi di Claudia Procula e di Longino ci provengono da tradizioni successive. Nei Vangeli il soldato che trafisse il costato di Cristo, il centurione che lo riconobbe quale Figlio di Dio e la moglie di Ponzio Pilato non hanno nome. L'unica menzione a costei appare in Matteo, in cui si riporta che "Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua" (Matteo 27, 19). Ho cercato di estrapolarla da questa scarsa, corta apparizione. I suoi drammi sono inventati. Del resto, a seconda delle tradizioni, pure il suo nome varia, sebbene sia comunemente accettata come Claudia Valeria Procula, o, più semplicemente, Claudia Procula.
Stessa cosa con il passato di Longino. La tradizione cristiana lo identifica sia nel soldato che ferì il costato da cui sgorgarono sangue ed acqua, sia nel centurione riconoscente la natura divina di Gesù. Il seguito è un fiorire di leggende, alla discrezione di chi ci creda e di chi no. Longino santo, secondo il cattolicesimo, guarito da un'infermità agli occhi dopo essere stato irrorato dal sangue messianico. Portatore di sacre zolle di terreno intrise del sangue di Cristo che, leggenda vuole, sarebbero oggi quelle reliquie custodite e venerate a Mantova. Dopo aver predicato, e vagato, in lungo e in largo, Longino avrebbe subito il martirio in Cappadocia.
Ponzio Pilato, infine, l'ho sempre considerato un personaggio interessante. Diviso dai dubbi, come Giuda, ma, a differenza di quest'ultimo, costretto a esercitare un dovere. La sua astensione dalla condanna di Cristo può venire giudicata in molti modi. Personalmente credo che stesse semplicemente cercando di svolgere il suo lavoro tra due fuochi, quello dell'ortodossia puritana della casta sacerdotale da un lato e i suoi superiori romani dall'altro. Giudico equamente Gesù o il suo proverbiale lavarsi le mani fu sinonimo di codardia, menefreghismo? Non mi ritengo una teologa, se esiste una risposta definitiva non spetta a me fornirla. Certamente giocò la propria parte un variegato stuolo di personalità e, per chi crede, la molteplicità dei personaggi invischiati nella vicenda può rappresentare la colpa unanime dell'umanità peccatrice. Ma, ripeto, non mi ritengo nessuno di autorevole in questo campo per dirlo.
Perché Pilato non avrebbe dovuto sentirsi incuriosito da questo famoso, nuovo, giovane predicatore? Se i suoi gesti non erano stati abbastanza forti, la sua entrata a Gerusalemme era avvenuta sotto gli occhi di tutti. Pilato senz'ombra di dubbio avrà sentito parlare di lui. In veste di giudice l'avrà interrogato in qualcosa di più di un breve scambio di battute (e in ciò i tre sinottici armonizzano, laddove Giovanni, per quanto più teso alla visione teologia, dettaglia e allunga la discussione. Infatti le prime frasi del loro incontro sono prese direttamente da Giovanni), in veste di uomo, tralasciando la diversità di rango e di cultura, mi immagino avrà voluto capirlo.
Buona Pasqua a voi tutti! Scusate il ritardo 😂
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