Ottavia - una madre non è solo di sangue

Buona festa della mamma! 🥳





Roma - 726 AVC (28 a.C)

Ottavia, nei primi tempi del suo primo matrimonio, ha a lungo creduto che non sarebbe diventata madre.

Era giovanissima, vero, poco più che una ragazzina. Dodicenne in precoce fioritura, matura per l'asta nuziale. Ma ha temuto. Enormemente, disperatamente.

Ci sono mariti accorti, comprensivi, che aspettano e dominano le pulsioni primitive e tempestose. Marcello era uno di questi. Bravo, onesto, un composto, stempiato rampollo della facoltosa famiglia dei Claudi. La prima notte, in mezzo a tutto il suo agghiacciante terrore - sui compiti a cui ottemperare, sul dovere a cui non poteva sottrarsi, non importa quando pietosamente giovane - lui l'aveva presa in braccio, la sua delicata sposina bambina, adagiata sulle lenzuola.

L'unico tocca intrusivo una carezza nei riccioli biondi capitolanti sulle spalle, l'acconciatura a sei trecce sciolta.

«Aspetteremo il dovuto.»

Avevano aspettato e, acquisita sicurezza, consumato. Niente. Allora ci avevano riprovato e riprovato. Un affannoso, imbarazzante, assommarsi di amplessi. Alla vigilia dei vent'anni la disperazione stava attecchendo dentro Ottavia.

Dov'erano i figli?

Se potesse incontrare la lei stessa del passato il suo primo consiglio sarebbe quello di non temere. I figli sarebbero venuti. Generati dal suo grembo e non.

Lucenti come un opulento filo di perle. Prima Marcella, celebrata come un miracolo, Marcello poco dopo, la minore delle Marcelle dritta subitanea. Sepolto un marito e coniugata a un altro, le due Antonie erano seguite trafilate. Contemporaneamente Iullo veniva adottato in maniera ufficiosa, cresciuto più da lei che dalla battagliera foga di Fulvia. Antillo, ossesso discepolo del padre, visione saltuaria, comodo nella reggia faraonica di Alessandria piuttosto che nella sua domus. Tiberio, Druso e Giulia sono cari a lei quanto dei figli, benché siano nipoti. Asservito e pacificato l'Impero dalla ribellione di Antonio e della sua regina, Cleopatra Selene, Alessandro Elio e il timido, dolce Tolomeo Filadelfo hanno illuminato un cielo già folto d'astri.

Tolomeo, otto anni compiuti da poco e innocenza trasudante da ogni poro, s'è affezionato a lei... affezionato è un eufemismo. Quel bambino è la sua ombra.

A proposito... dove si è cacciato? Il bagnetto serale non esalerà vapori caldi in eterno e Ottavia sta setacciando gli appartamenti dei bambini da mezz'ora. Un rituale privato, loro i soli protagonisti. Concepito da lei quando il più giovane pulcino della nidiata egiziana è venuto a palazzo dietro ai gemelli, così da facilitare l'integrazione in quel nuovo, oscuro mondo lontano da casa.

«Tolomeo?»

Cerca nel corridoio, mette a soqquadro la sua stanzetta. Selene e Alessandro sono nei giardini con i cugini a osservare sbalorditi un corteo di lucciole sfarfallanti nella notte. Si divertono a provare ad acchiapparle, rincorrerle, urtandosi e capitombolando sul tappeto d'erba, nelle aiuole. Le loro risale si librano contro la luna, le intercetta da qui. Non intende guastare l'atmosfera.

Niente. Nessuna traccia. Rampicanti di angoscia s'infiltrano nell'animo di Ottavia. Si massaggia la tempia, inorridendo ai peggiori scenari.

Santi numi, dov'è quel piccolo brigante?

Un piagnucolio remoto echeggia da lontano. Il suo cuore sobbalza. Tolomeo. L'ha trovato. Tracimante di gratitudine, Ottavia si aggrappa a quel flebile suono, un filo di voce che le indica il cammino.

«Tolomeo!»

Il figlio di Cleopatra asperge le ginocchia dinoccolate di perle salate. Accucciato nell'interstizio tra un busto di qualche decrepito antenato e un panciuto vaso eruttante un profluvio floreale, larghe foglie fuoriuscenti simile a lingue verdi, il bambino sta piangendo.

Piangendo.

«Tolomeo Filadelfo, dov'eri finito?» Ottavia s'accosta gentilmente, veli volteggianti, scosse trillanti di bracciali e orecchini. «Stavo ammattendo nel cercarti!»

Occhioni tremuli, amalgame di pece, s'intersecano nei suoi zaffiri.

«È vero che la mia mamma mi ha abbandonato?»

La dissecca di parole. Tolomeo aveva appena sei anni quando i suoi genitori hanno preferito i colli fioriti dei Campi Elisi al disonore di una sfilata in catene, alla mercé del ludibrio, dell'insulto e alla vergogna. Il suo mondo in frantumi, trasferito dalle sponde del Nilo alle trafficate e poliglotte vie di Roma. Il ricordo di Cleopatra VII manomesso dalle grida dei soldati, il clangore delle spade.

Contorni sfumati. Ottavia sa cosa comporti perdere un genitore alla sua età. E smarrirlo nelle nebbie della memoria.

Lo sa bene.

«Chi ha insinuato una cattiveria simile?»

Il bambino intensifica la stretta ferrea intorno alle ginocchia. «Nessuno...»

«Tolomeo...» Ottavia piazza in campo la sua arma vincente: l'occhiataccia truce, giudicante. Da punizione in agguato.

«L'ho sentito da alcuni ambasciatori ricevuti oggi a palazzo da Ottaviano.» cede alla pressione di quello sguardo. «So che non dobbiamo giocare nella Sala delle Udienze quando ci sono visite, ma... m-ma stavo per sloggiare e raccogliere i giochi e-e l-li ho sentiti parlottare...»

«Ti hanno visto?» Si sforza di non fiondarsi da suo fratello a denunciare quei beoti e caldeggiare la loro decapitazione immediata.

Tolomeo nega col capo.

«Non credo, ma commentavano come Ottaviano ci avesse affidato alle tue cure, non con toni... favorevoli. E... e-e hanno detto che la nostra mamma ci ha a-a-abbandonato per-» Il visetto si contrae dal pianto, rigato dalle lacrime.

«Per?» Ottavia è al suo fianco. «Per cosa tesoro?»

«H-Hanno detto che c-c-ci h-ha abbandonato per a-abbracciare la m-morte...»

Malfattori! Schifosi vermi disgustosi! Ottavia abbraccia, sì, le membra frementi di brividi del bambino sconvolto, non il teschio putrefatto di Thanatos.

«Oh Tolomeo! Non devi credere a quelle scempiaggini.» Se lo culla, il mento strusciante sulla nuca corvina. Come possono aver pronunciato parole così crudeli? A pochi passi da un bambino sensibile, puro, illibato dagli orrori del mondo? «La tua mamma non ti ha abbandonato. Vedi, le circostanze-»

«Lo so.» riprende fermezza la voce in precedenza indebolita dall'emozione. Tolomeo Filadelfo sprofonda nel suo sguardo, solenne come un sacerdote. «La mia mamma sei tu e sono sicuro che non mi abbandonerai mai.»

Il silenzio risponde perfettamente allo stato interiore di Ottavia. Spiazzata.

Il bruciore le sale le punge la vista. La mia mamma sei tu. Non avrebbe mai osato sperare che i tre spaventati, disorientati bambini ornamento della parata trionfale di suo fratello si sarebbero mai adattati pienamente alla loro nuova vita. Era una preghiera rivolta sottovoce, una debole speranza appunto, persino lei non ci avrebbe scommetto sopra più di tanto. La realtà dei piccoli era stata sovvertita in un battito di ciglia, eppure...

Non risponde. Non ci riesce. La commozione le comprime la favella. Artiglia bramosa Tolomeo al proprio petto, se lo serra protettiva, felice. Il bimbo si abbandona nella vasta leggerezza delle sue vesti.

Ottavia lo travolge di baci sul visetto, sulla nuca, nei capelli.

«Vieni.» lo sprona dopo essersi asciugata le lacrime e riappesa al contegno. «Andiamo a fare il nostro bagnetto.»

Dismette le schiave, l'acqua ancora a temperatura ottimale nella vaschetta di bronzo a misura di bambino. Ottavia spoglia Tolomeo, si allaccia il grembiule, un sobrio appunto di matrona che suo fratello non esiterebbe a elogiare, versa lozioni nell'acqua, ampolle comprate a un banco di rarità esotiche. Gli oli che piacciono al suo bambino. Il suo bambino?

Perché no? Non può vederlo in tal ottica?

Fiore di loto. Ambra. Incenso. Evocanti l'Egitto lontano, ancora presente in questi gioielli di bambini. Schiuma spumeggia sull'acqua, Ottavia striglia e sfrega, strizza la spugna e soffia boccioli di schiuma dalle dite di Tolomeo. Risate sublimano nell'aria, a ogni soffio corrisponde un bacio. Prende balocchi e quelli galleggiano, Tolomeo immagina di capitanare un vascello, sbaragliare pirati.

«Cola a picco Sesto Pompeo!»

«Come siamo agguerriti...» Si sistema su uno sgabello, sul lato della vasca.

«Io batto tutti!» Soldatini e modellini di navi ritornano a scontrarsi.

Le fiamme nelle lucerne scemano e l'acqua si raffredda. Preleva un gocciolante Tolomeo in braccio, asciugandolo nel telo, strofinando sui boccoli appiccicaticci alla nuca. Sprazzi di boccacce, quando riemerge il suo visetto Tolomeo Filadelfo si cala nei panni d'un buffone, storcendo bocche e cacciando fuori lingue.

«Monello!» Un pizzicotto amorevole gli arrossa il mento.

«Il tuo mamma!»

Mamma. Una lama di colpevolezza le ferisce il cuore. Ti ha partorito una donna che non sono io. Per primo l'ha amato una donna che non è lei. Una regina perita nella dignità autentica delle regine.

«Tolomeo.» dice al momento di metterlo a letto, pulito e profumato, e lo dice con tutto il rispetto che prova per quella donna scomparsa, tagliata fuori dalla vita di Tolomeo, Alessandro e Selene di sua scelta. Velenosa scelta. «Tolomeo, non scordare mai che la tua prima mamma ti ha amato tantissimo.»

La testolina dondola fiacca, il bambino sarà ancora sveglio per ascoltarla?

Prega di sì.

Gli rimbocca le coperte e socchiude la porta con lentezza, decisa a controllare che anche gli altri scalmanati siano nei loro letti.

«Io invece non sarò mai un traditore?»

Iullo, piazzato alle sue spalle, la coglie senza preavviso. Fresco di toga virilis, rinunciante alla bulla da pochi mesi, per un istante la illude che Marco Antonio possa essere risorto dai morti. Il buio e la scarsa luminosità tirano brutti scherzi.

«Come?»

Uno scroscio di riccioli corvini rovesciati sulla spalla, il ragazzo inclina il capo. «Se Tolomeo ha trovato in te una madre io potrei... potrei non passare mai per un traditore come nostro padre, no?»

Ottavia tentenna. Gli occhi indagatori, una sfumatura scura come fondali inesplorati, insondabili, fitti di segreti, di Iullo che si soffermano su di lei, risveglianti brividi. Non c'è figlio di Marco Antonio che non abbia ereditato il suo sguardo rapace, poco importa il colore. Il suo marchio indelebile.

«Iullo...» Spalanca le braccia, invito eloquente. Il ragazzino ci si tuffa, combattendo il singhiozzo. Uno tra i primi suoi affidati, amato come una parte di sé. «Tu non sei tuo padre. Nessuno pretende nulla da te.»

«Il mondo intero sembra in trepidazione di un mio scivolone.»

«No, tesoro...»

«Non sono destinato a diventare altro che uno spregevole traditore secondo tuo fratello, non mentirmi.» Raddrizza le spalle, umido e teso. «La vedo, la sua palpabile diffidenza quando per caso ci ritroviamo nella stessa stanza. Sono il fantasma che lo perseguita. Una possibile vendetta a piede libero.»

«Levati queste sciocchezze dalla testa.» Ottavia racchiude il suo viso nei palmi, onesta. «Tu non hai colpa degli errori di tuo padre.»

Esitazione. Il pomo balzellante nel collo taurino di Iullo. «Lo credi?»

«Ne sono fermamente convinta tesoro.»

L'abbraccio intorno alla sua vita è l'appiglio di Iullo a lei, all'infanzia salda che gli ha dato, al ricordo di Antillo, trucidato mentre supplicava asilo al basamento della simulacro del Divo Giulio. Alla salvezza di cui Ottavia s'è resa sua benefattrice, sua protettrice. Sua madre.

«Fila a nanna mio erudita quattrocchi.» gli smozzica pungente, sciogliendosi da lui e marciando nel corridoio, le decorazioni marmoree risuonanti al suo passaggio.

In uno dei numerosi peristili un chiarore traspare dalla finestrella dello studiolo di suo fratello, riproponendosi in frammenti causati dall'intelaiatura sul raccolto cortiletto sottostante. Ottavia leva gli occhi al cielo. Mancava solo l'ultimo.

Il primo bambino che ha accudito.

Disdegna di bussare, il bambino cresciuto - da tanto - in questione solleva l'attenzione dal disordine di documenti alla sua scrivania, scarruffandosi la capigliatura bionda.

«Bussare sarebbe cortesia.»

«Anche ritirarsi a nanna fratellino.» Gli strappa il foglio che stava esaminando dalle mani. «Ti sei prodigato abbastanza per Roma Ottaviano.»

«Ma-ahia, ahia, ahia!» Una smorfia di dolore, il signore ufficioso del mondo tirato per l'orecchio dalla sorella maggiore. «Fai male!»

«Cosa devi fare?»

«Va bene, va bene!» Interrotta la pena, si massaggia il lobo offeso e rosso. «Controbattere è vano suppongo.»

Ottavia annuisce vincente. «Del tutto vano.»

Strascicando fuori suo fratello sbuffa. «Sei asfissiante, le tue ansie sono asfissianti.»

«Lo faccio per il tuo bene.» Preghiere, orazioni, nuvole d'incenso e un corollario di ghirlande votive al suo Genio sono parche consolazioni perché la sua salute non subisca bruschi crolli. «Sei prezioso.»

«Ottaviano, Ottaviano, stai attento, corri piano. Guarda bene cosa fai o ben presto ti ammalerai!» fa il verso l'altro, rispolverando un vecchio ritornello infantile. Canticchiato periodicamente come risposta alle premure soffocanti di madre e sorella. Fila alla porta. «Qualche altro divieto sorellona?»

«Quello di non comportati alla stregua di un lattante.»

«Non sono forse il tuo?» Lo snervamento si stempera in un bacio di commiato spiccato sulla guancia. Bacio della buonanotte. «Il tuo imperator dei viziati»

Coccolato e amatissimo, con lui il suo apprendistato. Ottavia soffia sulla lucerna, la stanza precipita nelle tenebre. Il battente cigola nell'accostarlo.

«Solo e unico.»

Il primo di molti, tutti custoditi nel cuore.

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