Messalina - me and my demons

I baci di Gaio Silio sono tutto tranne che passionali.

«Basta.» Messalina si rivolta, inarcando la schiena in una perfetta corda d'arco in tensione, tra le coperte purpuree, frangiate d'oro. Respinge l'amante, un calcio irritato. «Finiscila.»

Lui è frastornato. Assembla i pezzi dopo qualche secondo, rivolgendole uno sguardo da cucciolo bastonato. «Ma... mia diletta...»

«Non sono la tua diletta.» O, s'è per quello, la sua dea, l'oggetto del suo desiderio, la visione apparsa in sogno o il suo giocattolino. Non è di nessuno, Messalina.

Non nel profondo.

«Vattene.» gli ordina secca. Il tono autoritario dell'Imperatrice. Torna a stendersi mollemente sul triclinio disfatto, un putiferio di coperte e cuscini volati dovunque, il petto nudo, seni pieni, turgidi, esaltato dal tremolio della lucerna. «Mi hai stancato.»

Gaio Silio, intontito dall'incantesimo che, volente o nolente, Messalina scaglia su chiunque la scorga - una Venere bruna, l'essenza di una notte cupa nei pozzi neri dei suoi occhi, nella sua chioma rigogliosa che le abbonda sulle spalle in un profluvio di boccoli, nel bocciolo rosso sanguigno delle sue labbra - sembra esitare, confuso da quell'inspiegabile cambiamento. Nudo, i pettorali scoperti, raccatta indumenti e quel suo ultimo briciolo di dignità, inchinando deferente il capo e dileguandosi.

Un cane ubbidiente.

Uno tra i tanti nel canile.

Ma scialbo, spaventato. Affondava in lei quasi con... delicatezza. La delicatezza è per i deboli, riflette Messalina amaramente. Per gli sciocchi. I gingilli delicati finiscono per rompersi, infrangersi contro la parete dura, impenetrabile, della realtà.

Gaio temeva la donna o l'Imperatrice?

C'è differenza?

Il confine è labile e Messalina gioca una volta a impersonare una, una volta l'altra, e, in certe occasioni, lascia che si fondano, unendosi in un connubio desolato, rabbioso - rabbia furibonda, primordiale di donna, rabbia da uragano - attraente.

Le donne, ha capito, sono sottomesse perché temute.

Autrici della vita, covata nel loro grembo. Un potere immenso, necessario. Vitale, ironicamente. La capacità di generare, saper soffiare la vita in informi bitorzoli di carne, fibre e grumi di sangue.

Sono artiste, le donne, e di questo eccezionale talento gli uomini hanno paura.

Cosa esiste di più prezioso della vita? Chi la dona è padrone.

Gli uomini bramano d'essere padroni e, a cagion di ciò, sottomettono le donne, che a causa di questo prodigio, di questo sacrificio, nascono deboli.

Come se tutta la loro forza dovesse venire convogliata in quell'atto supremo.

Donarsi per un altro.

Ma l'uomo non si dona. L'uomo è geloso, possiede, freme dalla smania di possedere. Terre, città, mari e montagne. Persone, animali.

Donne.

Completamente.

Messalina reprime un gemito di ribrezzo a rievocare la prima volta che Claudio l'ha toccata. O tutte le volte in cui le scivola dentro, violando un'intimità alla portata di tutti. Sua debolezza e sua forza. Il suo sesso le impedisce molto, la vincola a un'esistenza d'obbedienza e restrizioni. Di energie profuse nel perpetuo sfornare eredi. Ma il suo sesso è anche ciò che gli uomini anelano.

Messalina ha trasformato il suo corpo colpevole nel suo riscatto.

Lo vogliono? Piace loro sfogarsi su un paio prosperoso di seni? Sulla fessura delle natiche? Sul solco che le attraversa la schiena?

Bene, l'avranno.

Tutti.

E lei, brandendo quest'arma, li dominerà.

È un animale, l'uomo, ha imparato Messalina. Vive d'impulsi e spesso gli è impossibile controllarli. Una donna, al contrario, sposa la razionalità, abituata com'è a una vita regolata, scandita dai tempi del corpo. Per questo risulta più facile a una donna, affinante la sua bellezza - una lama che deve preoccuparsi di mantenere affilata, curandola al meglio e non permettendo che sfiorisca prima del momento opportuno - esercitare il potere su un uomo, celata tra le ombre.

Scaccia le ombre e tanto più quelle diverranno ingorde di luce e, quando meno te l'aspetterai, ti salteranno alla gola.

Una lezione che Messalina ha memorizzato molto bene.

È turbata dalla presenza di Agrippina a palazzo. La nipote di Claudio ostenta sorrisi devoti, promesse indiscusse di fedeltà, gratitudine quasi deprimente davanti allo zietto. Parvenze. Maschere. Messalina le scorge e sa che quella donna sta tramando qualcosa. Agrippina è affetta dalla vendetta, contagiata dal medesimo desiderio di rivalsa contratto da Messalina. Non sfodera in campo il suo corpo, però.

Suo figlio incarna la sua rivalsa.

Quel demonio brutto e fulvo del suo Lucio.

Il trono appartiene al sangue di Messalina, di diritto spetta a Britannico! Claudio è un cieco - zoppo, balbuziente, tonto, Claudio è molte mancanze - o fingerà di non accorgersene, non ci darà peso. Messalina si dichiara pronta a sfidare Agrippina, se il destino lo vorrà. Non si sbarazzerà di suo figlio!

«Siamo entrambe donne affrontanti i travagli che l'esistenza ci presenta.» L'ha fermata, ieri, Agrippina, nei corridoi rilucenti, un sorriso da serpe. «Dovremmo sorpassare i nostri dissapori, metterli da parte e unirci in un fronte comune contro questo crudele mondo. Il futuro della dinastia sta a cuore a tutte e due, no?»

Non una dinastia con lei. Non incrociata con il suo sangue ardente d'ambizione.

Messalina si farebbe trafiggere piuttosto!

Si alza, massaggiandosi le spalle indolenzite, accovacciandosi a sciacquarsi dagli umori vischiosi di Gaio su un bacile in un angolo della stanza.

Questo palazzo, queste regole - imposte alla sua famiglia, alle donne - la soffocano in un cappio dorato, stretto dal dover respirare giorno dopo giorno la stessa aria immonda di Claudio, Agrippina e del suo sgorbio. Nei lupanari della Suburra l'aria è fetida, impregnata dal tanfo del marciume, umida e pesante, ma Messalina la inspira con immenso, grato, piacere.

Felice.

Licisca, la celebrità della Suburra.

Dalla vizza parrucca paglierina, gli occhi bistrati, il corpo scolpito nel marmo. Lei, voluttuosa, benedicente quel lurido postribolo. I capezzoli cosparsi di polvere dorata, la libidine accesa, la sete inarrestabile.

In quelle pareti sporche di fumo, con il sudore colante sulla fronte, il soffitto annerito dalla fuliggine, Messalina calza un'altra maschera.

La più gradevole.

La meno umiliante.

La vogliono tutti? E che tutti l'abbiano.

Se non può governare la sua esistenza, che governi il suo corpo.

Quale sollievo quando anima e carne si scindono nei riti orgiastici, occulti, al chiaro di luna, nelle remote profondità dei giardini!

Il dolore svanisce, momentaneamente, si perde nella notte. Messalina divora la notte. L'odore acre, puzzolente, delle erbe bruciate. Il rullo del tamburo, ripercosso nel suo corpo, che si propaga, un'onda, un velo lacerato tra gli umani e gli spiriti. I cuori battenti all'unisono, al ritmo dei tamburelli, al suono dei flauti, al gemito del vento e della terra. Le menti offuscate dagli effluvi delle piante, l'incenso sprigionato dai bracieri, le fiamme che s'innalzano fino a oscurare il firmamento. Aperti, spalancati, neofiti su una nuova, più nitida, visione. L'ombra della realtà. La nudità, scarna, luminosa delle cose. Gli spiriti li travolgono, invasandoli. Messalina si sente parte di tutto, epicentro, ventre spurgante vita in continuazione, una cascata di vita.

Il sangue pulsa. Lei e i suoi compagni si abbandonano, danzando, pregando, accoppiandosi. Incontenibile libidine, calda come cera. I movimenti concitati, il vino ingurgiato, rivoli rossastri, brillanti lungo il mento.

Rosso asprigno, rosso rabbia cocente.

Rosso sangue.

Chi ha pugnalato il cielo? Mesi più tardi Claudio la scopre, il rito segreto del suo matrimonio salta a monte e il tramonto è una mattanza insanguinata su Roma.

Il sangue versato per sfamarla, pensa malinconia Messalina, le vesti vorticanti, gonfiate dal vento negli Horti Lucullani, suo estremo rifugio. Il sangue immolato alla sua gloria. Il pegno della grandezza.

La vita che Roma rimodella, prende.

Non la dona.

Non come una donna.

Guida la spada del tribuno mandato da Claudio a profanare le sue carni da molti profanate, da molti desiderate, da nessuno mai veramente ottenute. Conduce il bagliore del ferro alla gola, al petto, finché non la trapassa al ventre. Il sangue inzacchera viscido, si espande.

Come si espande...

Il cipiglio squadrato del tribuno le incombe. La vista s'annebbia. Messalina crolla in ginocchio, bellezza impotente.

L'incantesimo si è spezzato.

«Se la tua morte sarà pianta da tutti i tuoi amanti, allora piangerà mezza Roma!»

Messalina non piange. Perché dovrebbe?

Ha tolto le maschere.

È libera.

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