Elena & Costantino - our secrets, our moments
Volevo scrivere su di loro da un po'!🌝
Augusta Treverorum - Diocesi delle Gallie
Massimiano e consorte sono in visita nelle Gallie e, per non disonorare il suo ruolo di Cesare, Costanzo indice un'accoglienza degna di un Augusto e la sua famiglia.
Elena non contesta, nella sua posizione è consigliabile che non contesti nulla. Non che si sia mai presa il brutto vizio di infilare il becco in ambiti che non le competono. Conosce il suo posto e i limiti che non occorre valicare.
È la prima, vitale regola che una concubina dovrebbe tenere a mente.
Concubina. A un esponente della sua fede più zelante vivere perennemente in un'onta simile lo spronerebbe a un'immediata conversione di vita. O a un matrimonio in seno all'istituzione. Costanzo la ama, non smette di ripeterlo, con lingue umane e lingue lussuriose ed Elena riconosce di stare peccando, predicando bene e razzolando male, ma ricorda anche i suoi limiti, la precarietà della sua posizione, e lascia al potere superiore il suo destino.
Si astiene dai festeggiamenti, il banchetto d'accoglienza un ultimo palpito del carcame di questo Impero frammentato, quattro uomini suturano le toppe in cui è stato lacerato. Costanzo non la forza, ma si augura che cambi idea. Farebbe bella figura, le dice, Massimiano non sarebbe l'unico accompagnato da una donna.
A Elena si torce il cuore nel deludere le sue speranze. Scuote il capo e l'osserva scostare i tendaggi, il salone che inneggia al suo titolo di Cesare.
Cesare. Solo il Cesare dell'Augusto Massimiano, collega di Diocleziano affacciato sugli strapiombi ritorti e scoscesi della Dalmazia.
Non è prevista una concubina.
Si diletta con suo figlio. Massimiano si è portato moglie e successore, bastian contrario alla disposizione stabilita dagli Augusti. Massenzio ha all'incirca la stessa età di Costantino, un piccolo molosso arrogante, in stonante sortita se comparato alla smilza, dinoccolata ossatura del suo bambino.
Ma Massenzio è benedetto da un dono precluso a Costantino e, nei giardini sguarniti di adulti e sorveglianza, gli ospiti si sono affrettati nel salone in un'orda ammorbante l'aria di olezzi e fragranze, se ne vanta alla prima occasione.
«Ho sentito dire che sei un bastardo.»
Elena si ripara nascosta dietro una colonna. I ragazzini, giochi sparpagliati intorno a loro, bivaccano con le gambe a penzoloni sul bordo d'una fontana.
«Bastardo?» Costantino rivolge al più giovane interlocutore uno sguardo spaesato. «Cosa significa?»
«Significa che sei illegittimo.» illustra Massenzio, una sincerità sfumante nella crudeltà. «I tuoi genitori non sono sposati e non potrai ereditare nulla.»
«Non è vero!» Suo figlio è spiazzato. Elena glielo avrebbe spiegato a tempo debito, con le parole adatte. Si rammarica di non averlo fatto. «Stai blaterando fandonie!»
«È così ti dico!» infierisce Massenzio. «Tu resterai a mani vuote. Io, al contrario, diventerò il successore di mio padre.»
«Severo è il Cesare di tuo padre.»
«Ma io sono suo figlio.»
«Spetta al Cesare subentrare a un Augusto alla sua morte o abdicazione.» Si mormora da tempo di dimissioni congiunte di Diocleziano e Massimiano. «Non puoi scontrarti con le regole.»
«Ci sono imperatori che ereditarono il trono dai loro padri.»
«Tu non diventerai imperatore!»
«E tu sei un bastardo!»
Costantino schizza in piedi, sobillato dall'offesa cocente. «Rimangiatelo subito!»
«Bastardo.» Massenzio rifiuta l'ulivo di pace. Un ghigno canzonatorio si dipinge sul suo viso squadrato. «Bastardo! Bastardo! Illegittimo bastardo! Non concluderai mai niente nella vita!»
«Smettila!» L'altro si copre le orecchie, ignorare un'impresa. «Finiscila!»
«Bastard-»
Splash!
La beffa di Massenzio è spinta a mollo insieme a lui. Il figlio di Massimiano viene buttato a pancia all'aria sul fondale levigato della fontana, le vesti fluttuanti e intirizzite, i ciuffi castani flosci e umidicci. Il suo giovane carnefice torreggia in bilico sul lastrone, braccia tremanti paralizzate nell'atto incriminante.
Massenzio frigna disperato, invocando i genitori, aiuto, accusando Costantino. Elena sbuca dal suo ritiro.
«Costantino!»
Gli occhi terrorizzati di suo figlio si piazzano su di lei, sfuggenti e colmi di lacrime come il loro proprietario. Costantino si dilegua ansimante, abbandonando la scena della malefatta.
«Costantino!» Elena non intendeva ammonirlo. «Costantino aspetta!»
Corre nel labirinto di siepi, mura di bosso e gelsomino alti come sipari.
Sa dove trovarlo e si stupisce assai poco quando lo rintraccia rincantucciato sul fondo del suo guardaroba, confortato dalla serica vicinanza delle sue tuniche e vesti e ghingheri cosparsi di gioielli.
Elena si inchina e striscia a carponi, suo figlio che non muove un muscolo, una statua di pietra e lacrime asciugate alla sua vista. Si siede accanto a Costantino, gli orli di sete e velluti che le pizzicano il retro del collo.
«Sei scappato perché sapevi d'essere in torto?» pone quieta, aspettando una risposta quando Costantino reputerà idoneo dispensarla.
«Mi ha chiamato bastardo.» calca l'enfasi, l'asprezza di quell'insulto. Distogliendo lo sguardo dagli intrecci sul pavimento, iridi castane e vispe la interrogano, setacciando il suo animo. «Perché tuo e mio padre non vi siete mai sposati?»
Troppe differenze, un divario sociale vistoso, incongruenze di pensiero, religioso soprattutto. Opposti amalgamati in una chimica imperitura tra lei e Costanzo. Un soldato in ascesa, carriera brillante, non può vedere irrisolti i suoi obbiettivi per colpa di una concubina di bassa estrazione, vago passato e fede discutibile. Un Augusto o un Cesare deve unificare il suo dominio contraendo matrimoni politicamente vantaggiosi.
Una moglie in rotta di collisione con tutto questo non è contemplata.
«Siamo diversi sotto molti aspetti.» Elena attira suo figlio sulle ginocchia, inala il suo odore di piccolo sole rischiarante le loro vite al buio. «La società non ci avrebbe mai accettato.»
«Così come non accetterebbe un illegittimo?»
È un tarlo mordente. «Costantino-»
«Agli occhi della legge io deturpo il vincolo del matrimonio. Non mentirmi.»
Un castano dalle calde sfumature si fissa nei suoi riflessi identici. Elena tentenna. Non può negargli la dolorosa verità. Un giorno, non molto lontano, dovrà lottarci contro e prenderne atto.
«Sì...» E d'improvviso le labbra agiscono senza ricevere un suo comando. «Ma non agli occhi di Dio.»
Si pente subito della svista. Costantino inclina la nuca, corrucciandosi sospettoso. Elena si azzanna le labbra colpevoli. Costanzo è stato lapidario: venera chi ti compiace, ma evita di spiattellarlo in giro. Specialmente se la divinità adorata corrisponde a un uomo seviziato nel più macabro supplizio romano.
«Dio?» pigola Costantino. «Madre, vaneggi incoerenze. Gli Dei favoriscono la legge, formano i due sostegni dell'umana rettitudine e moralità. Dei e leggi. Quello che è vietato agli occhi della legge tale sarà anche agli occhi degli Dei.»
Lo pizzica sul mento, dolce. Non intendeva quegli Dei, soli al tramonto. «Sei sveglio piccolino.»
«Un bastardo va contro le norme e i costumi.» espone Costantino, fermo e sicuro come un piccolo oratore. «La legge non mi accetta e non mi accetteranno neanche gli Dei.»
«Magari sbagliano.»
«Madre!» Suo figlio si sottrae all'abbraccio, allibito. «Stai dicendo un sacrilegio!»
«Un artista che non ama la sua creazione non trovi sia insensato?»
«Esiste, è possibile.»
Aveva pensato di avvicinarlo al suo credo quando sarebbe stato più grande, in un'età dignitosa per afferrare i concetti semplici eppure immensi predicati da quell'uomo coniugante mortalità e divinità tanto tempo prima. Ora l'occasione si presenta propizia. La mente di Costantino è un metallo duttile che Elena può battere e rimodellare a piacimento.
Non convertirlo. Lei non si arroga una simile pretesa. Solo... aprirlo a nuove esperienze, vicende.
«Dio sorpassa vincoli e consuetudini bambino mio.» Prende le sue mani, i loro sguardi connessi. «Lui ti ama a prescindere dalla tua nascita o estrazione.»
«Dio? Quale Dio?»
Roma ne ha incensati e incorporati a caterve, la confusione è naturale.
«L'unico vero Dio.»
«Madre...» Capisce e il coraggio viene meno. «Stai... stai proponendo il Dio dei cannibali? Quella setta che si ingozza di carne umana e si ubriaca di sangue? I-I-»
«I cristiani.» Malelingue partite da un'errata lettura dei riti. Si cibano del corpo, ma trasfigurato nel pane. Si dissetano del sangue, ma diluito nella forma di vino. Commensali alla mensa eterna. «Esattamente.»
Costantino sgrana occhioni spaventati, tremante e paralizzato come un cerbiatto. «È proibito!»
«È amore.»
«Disumano.»
Un amore talmente potente da sacrificarsi in effetti potrebbe parere anche così. Elena si fa da parte, sollecitandolo ad accostarsi. «Costantino.» lo appella tenera. «Vieni vicino a me.»
Ancora tentennamenti.
«Non mi ciberò certo della tua carne!» scherza Elena e un sorriso sboccia sulle gote pallide di suo figlio.
Una volta accozzato alla madre, lei si sente finalmente libera di estrarre dal collo un monile di fattura bassa, grezza, scolpito da mani poco abili.
«Cos'è?» lo addita Costantino.
Appesa a una banale corda, una P in legno è attraversata da una croce rovesciata, il numero dieci. Le dita di suo figlio percorrono il gambo snello e sottile, accarezzano la gobba della lettera sovrastante, le gambe intersecate della X.
«Il Chi Rho.» gli decifra Elena quella combinazione. «Sono lettere dell'alfabeto greco, tu l'hai studiato.»
«Lo so a memoria!» Costantino gonfia il petto d'orgoglio. «Ma cosa compongono? Un codice?»
«Una specie. Le iniziali di un nome speciale.»
«Quale?»
«Khristòs.»
Un parolone su cui il palato del suo bambino si impappina. «Khr-, Krist-è troppo dura! Però so tradurlo.»
«Ah sì?»
«Unto.» La spensieratezza s'incupisce di mistero. «Chi è unto? Quell'uomo? Il criminale reo di mistificarsi come un profeta?»
«Lo chiamano Nazareno.» Yeshua di Nazareth, Messia e Signore.
«Chi Rho...» mormora pensieroso suo figlio e studia le lettere incrociate, un sovrapporsi di P e X. «Ha un bel suono.»
E una bella storia, una fantastica, appagante, bellissima storia lavante via le scorie passate e germogliante in un rigoglioso, felice futuro.
Elena prega che un giorno suo figlio sappia andare oltre le apparenze di un simbolo.
Gli anni volano e mietono vite. Alla morte di Costanzo si sprofonda nel finimondo. Amicizie sciolte e nuove alleanze, l'Impero riformato in un assetto divergente dall'originale. Altri Augusti e altri Cesari, Massenzio escluso dalla spartizione insorge e lo scontro tra lui e suo figlio appare inevitabile.
Elena assiste, ascolta. Non sgarra dal suo ruolo, non una sbavatura. Prima era compagna e ora è madre e gli uomini combattono le loro battaglie, guitti su un palcoscenico, una farsa. Giocano e piagnucolano sul cimitero della gloria d'un tempo.
Il Ponte Milvio è velato dalla nebbia. L'esercito di Massenzio conta il doppio delle forze. Elena crede nei miracoli e nei prodigi, si aggrappa alla speranza e si rifugia nella sua tenda.
Costantino infuria all'interno, i lembi ondeggianti violentemente nell'aria umida.
«Madre.»
Elena è stranita dall'euforia dirompente dal viso di suo figlio, il suo sorriso, il fiatone come se avesse corso fin qui.
«Madre, com'era quel simbolo?»
Ripone il ricamo sulle gambe. «Simbolo?»
«Quello dei cristiani.»
Quello dei cristiani. Un'isola di pace in un mare di vita burrascoso riemerge dagli abissi della sua mente. Elena si sfila la collana mai dismessa. Costantino si avvicina con fare riverente, occhieggiando le due lettere sovrapposte come se in esse risiedesse la chiave alla vittoria.
«Con questo segno vincerai...» sussurra e prende Elena di sorpresa, baciandole riguardoso e lieto le mani. «Grazie, grazie, grazie.»
Da quando è entrato Elena ci ha capito meno di niente. «Di cosa?»
«Di tutto madre.» ansima suo figlio e le preme un altro bacio sulla guancia. «Di tutto.»
La vittoria è schiacciante. Massenzio affoga nel fiume, tradito dal peso della sua armatura. Suo figlio trionfa. Sopra gli scudi dei suoi soldati ha dato disposizione fosse tracciato il segno dei cristiani.
Elena si prostra sulla terra zuppa di sangue e cadaveri e vite spirate, la fronte sfiorata dell'erba. Un singhiozzo le sgorga, il cielo è una limpida tavola.
Ha capito il suo Costantino. Dopo anni. Dopo prove.
«Grazie...»
A se stessa o al suo Dio?
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top