Come (non) badare al futuro dell'Impero in pochi semplici passaggi
Virgilio ha bisogno di una tisana, Orazio soffre della sindrome di Peter Pan e Ovidio ha le stesse inclinazioni d'un adolescente stereotipato di Disney Channel🌝A VOI IL DELIRIO!
728 AVC (26 a.C)
Virgilio inspira lentamente, ebbro dello splendore fulgido e spettacolare della giornata.
Gli horti di Mecenate sono, in qualsiasi momento dell'anno, una piccola nicchia di rigoglio e pace, pacificanti i nervi tesi, ma questa mattina paiono volere lodare al sublime, al maestoso, alla bellezza di questo cielo pulito e lindo. Gorgoglii di fontane, statue biancheggianti in mezzo al verde.
Chi se lo immagina che tempo addietro il terreno sia stato un lurido ossario?
Nessuno e, tranne l'imperatore dormiente e previdentemente sorvegliato a poche svolte di corridoio più in là, nessuno può infrangere l'aulica, a tratti mitica, aura scesa sui presenti nel conciliabolo poetico.
Orazio e i suoi versi sboccati di recente composizione, Tito Livio pronto ad assopire con i suoi voluminosi rotoli di storia - Ab Urbe Condita è un progetto dal cantiere decennale oramai - Properzio, quando si ricorda di esistere e di non barricarsi in stanza perché contagiato dalla Musa. E infine la nuova aggiunta, reclutata da Mecenate in persona. Un ragazzetto diciassettenne o giù per quell'età, aria da sbruffone e una languida promiscuità negli occhi chiari.
Ovidio.
Venuto a Roma per impegnarsi come avvocato, si distinguerà invece nei salotti culturali, i più in vista dell'Impero si può dire!
Seppur giovane, Virgilio spera che Ovidio abbandoni ben presto certe sue tendenze squallidamente infantili. Un poeta è la massima espressione della moralità, del rispetto, foriero della morigerata severità degli antenati come pretende Augusto...
«Abbiamo ospiti!»
Lo squillo di Mecenate lo dissipa dalle nebbie dei pensieri. Immediatamente a convalidare l'annuncio un trambusto frastornante di bambini sfonda la porta, inondando il porticato di vibranti risate.
Un peso balza addosso a Virgilio, braccandolo al triclinio, comprimendogli il respiro. Neanche il tempo di metabolizzare l'arrivo prematuro della sua ora che boccoli imbrigliati di sole e oro gli solleticano le guance. Giulia è curva sopra di lui, una pallina di vita a cavalcioni sul suo petto, sorridendo a trentadue denti.
«Ciao Virgilio!»
Si tratta solo di lei, la figlia più amata dell'Impero. Tredicenne sbocciante in una giovane donna che ruberà il senno a molti.
«C-Ciao principessa...» Si sfila non senza acciacchi. È solito vezzeggiarla come principessa. Suo padre è il signore del mondo e reggitore dell'Urbe, princeps e imperator. Questo non la rende forse una principessa?
I gemelli di Cleopatra sono incuriositi dal nuovo componente del loro Circolo. Druso e Antonia hanno individuato in Orazio una vittima prediletta, una predilezione ben ricambiata, suggeriscono le risate. Il giovane Marcello, svestito da pochissimo dei panni puerili e della bulla, si cura del piccolo Tolomeo, tenendolo per mano.
A capo dell'incursione, Ottavia Minore viene accolta da Mecenate con un raffinato baciamano. Sistemandosi la palla sulla parca acconciatura in trecce, ricompensa l'amico aretino con un sorriso capace di sciogliere la pietra.
«Grazie Mecenate.»
«Tutto per la sorella più virtuosa delle sorelle.» Le addita uno spiazzo libero tra cuscini e materassi. «Sei qui per sincerarti delle condizioni di Ottaviano?»
Augusto usa soggiornare nella tranquillità lussuriosa degli horti quando un malanno lo fiacca. Episodi sempre più frequenti, solo a inizio anno la febbre l'ha debilitato due volte. Sostiene che la pace ombrosa di questi giardini rinvigorisca animo e fisico. L'anno venturo, da quanto ha appreso Virgilio, dovrebbe recarsi in Hispania al fianco di Agrippa, a soffocare le insurrezioni e soggiogare una volta per tutte quelle province ribelli.
Ottavia scuote la testa, riccioli biondi ondeggiano. «No, so che con voi sta in buone mani. Mi serve, ci serve.» si sbriga a specificare. «La tua consulenza amico mio. Agrippa e Livia si stanno cavillando sui preparativi della partenza, sai...»
«Tempi, dinamiche. Usuale matassa da sbrogliare.»
«Hai centrato il punto.»
«Va bene. Speriamo di giungere prima che Livia abbia convertito la dialettica in lancio olimpico di vasi, piatti e qualsiasi oggetto contundente abbia la sfortuna di incappare nella sua ira.» Sospira, scrutatando la sua congrega, minorenni compresi. «I bambini?»
«Io sono un uomo conclamato!» obbietta un offeso Marcello.
«Ridimmelo quando ti spunterà la barba. Comunque sia... dove la ficchi questa spassionata congerie?»
«Ecco...» Il sorriso di Ottavia si fa tirato. «A tal proposito...»
Analizzando i punti e riunendo gli elementi se ne ricava un solo, possibile risultato. Quello che Virgilio scongiura che non si realizzi.
«Oh no.» Si prepara, ponendo le mani avanti, il capo scosso con ardore. «No, no, no. Domina, hai il mio più totale rispetto e la mia più autentica devozione, ma temo di non poterti venire incontro su questo-»
«Ci occuperemo noi dei tesori del princeps!» Aspettava giusto il pretesto per sbarazzarsi di Orazio e la sua allegria a momenti nauseabonda.
Ti sei appena condannato da solo.
Mecenate n'è felice, Ottavia sollevata. Rilassa i muscoli del collo in un respiro grato. «Ve ne sono riconoscente. Proprio non sapevo come gestire le due cose.»
La sua domus soffre forse una carenza di schiavi e servitori? Sono cariche create con uno scopo prestabilito, ubbidienti ai padroni. Stessa cosa per le tate. Appunto! Le tate! È la sorella di un imperatore e non può permettersi delle benedette tate?! Loro indossano forse delle tuniche?!
Virgilio scocca a quella capra ottusa di Orazio un'occhiata astiosa. Il piccoletto sballato di Ovidio li osserva spaesato, non comprendendo il perché dietro a quello sguardo infuocato. Non sono problemi di cui dovrebbe impicciarsi.
«Ma-» tenta di protestare il mantovano.
Irrimediabile. Non si torna indietro. «Ma è perfetto!» esulta Mecenate. «Non è forse così Ottavia? Bene, bene, bene.» Si sfrega le mani con soddisfazione. «Vi affidiamo i lattanti e il ghiro coronato che sta dormendo in camera sua. Non dovrebbe complicare nulla, ci sono i pretoriani per le sue incombenze.» Sospinge Ottavia all'uscita. «Per qualsiasi evenienza non esitate a venirci a chiamare!»
Aspetta, aspetta un attimo. Virgilio è basito. Pienamente. Basito. «Mecenate, non puoi-»
Ma il battente si sta chiudendo, divisorio alle sue rimostranze. «A più tardi!»
Se la sono filata. Lui e Ottavia. Non può essere vero, no...
Smaltendo l'istinto di imprecare nel più turbe, fantasioso e colorito linguaggio di cui dispone conoscenza - ci sono pur sempre in giro dei ragazzini in fin dei conti - Virgilio inghiotte la bile velenosa corrodente il palato. D'accordo. Giulia, Marcello, Druso, Selene, Alessandro, Antonia e Tolomeo stanno sotto le loro ali. Quando li incontra, solitamente, si comportano da decorosi, bravi bambini.
Non cambierà tanto no? È un compito facile a cui ottemperare! Una merenda, passatempi veloci, riposini. È questo il bagaglio basico con cui barcamenarsi con un bambino giusto?
Giusto?
Si volta lentamente, cauto come un molosso circondato da vetri e cristalli.
Una confusione di occhi cerulei, nero pece e brioso, morbido castano si fissano su di lui. Orazio ostenta un sorriso da somaro, Ovidio non ha smesso di girarsi tra lui e il compare, perplesso oltre ogni misura. Livio s'è defilato quando ha presagito il pericolo. Uomo saggio. Properzio... dove caspiterina s'è cacciato Properzio?
Rimangono in tre. Soli a fronteggiare la minaccia.
Si preannuncia un lungo, lunghissimo, estenuante e intenso giorno.
Ma forse non più di tanto.
Sono partiti con il piede giusto, invogliando i fanciulli a sfruttare appieno la luminosità offerta da giorno simile e, in uno scompiglio concitato di bulle, lanule e sandali picchianti il pavimento, quella fiumana umana ha trascinato Orazio con loro all'aperto. Uno sguardo scombussolato è stato l'ultimo scorcio dell'amico prima che sparisse oltre tendaggi e colonnati, tuffato nel verde.
La vendetta ha sempre un gusto particolarmente dolce e succulento.
Liberati dall'intoppo puerile, lui e Ovidio possono riabbracciare le attività interrotte. Per quanto riguarda il suo caso, sta apportando le ennesime, schizzinose modifiche consigliate da Mecenate al corpo ancora inanimato della sua Eneide. È con rammarico che mutila l'opera, su cui ci sta spendendo anni, di frammenti a lui cari. Mecenate sa ergersi quale patrono favoloso, ma, per contro, è pure capace di assillare l'artista peggio di una madre snervante.
Il ragazzo, invece, bivacca da lazzarone sul triclinio frontale al suo, sbuffando annoiato. Che comportamento degno d'un artista! Cosa l'ha arruolato a fare Mecenate nel loro squadrone di cultura permane mistero fitto.
Almeno una decina di sbuffi dopo, sbavature d'inchiostro sulla pergamena e schiarimenti irritati di gole che Ovidio non riesce evidentemente a decodificare in un secco invito a smammarsela o finirla di disturbare, Virgilio cede.
«Sto cercando di lavorare!»
«Anch'io.» Ovidio sbadiglia e congiunge pigramente le braccia a sostegno della nuca retrostante. «Sto macchinando pensieri.»
«Tu che pensi? Non è un buon segno.»
La testa brulicante di riccioli nocciola scatta in avanti. «In verità-» Il ragazzo si blocca, sviando sguardo e concentrazione. «Hai sentito?»
«Cosa?» Sta cercando di fregarlo il santarellino, su quello il suo udito è affinatissimo.
«Questo... questo rumore.»
Ovidio scende a terra, poche falcate accorcianti la distanza tra lui e il portone, riconducente all'interno della villa. Appone l'orecchio al legno.
È un attore coi fiocchi, gliene deve rendere conto. Replica il turbamento così bene da sembrare quasi convincente. «Sei bravo, davvero.»
«Ssh!» lo ammonisce, l'indice teso sulle labbra.
Zitto. Lui, un poppante ancora fetente di noci e latte e irriconoscente davanti allo sforzo di un letterato, lo sta zittendo? Ha tagliato il limite. Quando è troppo è troppo.
«Ovidio.»
«Ssh!»
Ambisce proprio a prendersele due sberle! Scherza, non oserebbe mai, ma dannazione, come pensa di campare nel loro Circolo eh? Rendita di Mecenate perché è bravo a scribacchiare due poesiole? Se sta continuando però, qualcosa di fondo ci deve pur essere. Riluttante, Virgilio s'accosta, dandogli corda.
«Ascolta.» dice Ovidio, sull'attenti. «Non lo senti?»
Appoggiando l'orecchio al legno può rispondere affermativamente. Ovidio diceva la verità. Un suono sommesso, un mugolio lento e pesante, echeggia aldilà dei battenti.
«Che cos'è?»
«Livio?» lo punzecchia il ragazzo. Eccolo. Un minuto senza sarcasmo era irreale. L'occhiata di rimprovero di Virgilio lo riprende. «Non lo so va bene? Ma è questo il bello.»
Sta subendo troppi sconvolgimenti questa giornata. «Il bello?» Prega gli Dei che non stia pensando a-
«Andare a scoprirlo!» esclama Ovidio, tirando la maniglia e fiondandosi all'interno, tra vasi ombreggiati e affreschi lascivi, vivi di mitologia.
Perché, perché non può vivere un paio d'ora di pace e quiete con persone normali?
Bandendo i tentennamenti, Virgilio si affretta a seguirlo. Pochi passi e la sorgente rumorosa è già stata individuata.
Si arrestano entrambi, sbigottiti.
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, delirante di febbre e imbottito di medicinali, in indumenti spudoratamente notturni, che volteggia rintronato sulle piastrelle.
«Zio Orazio?»
Il vezzoso, tenero appello di Antonia Minore lo distrae dalla sua attività di ritocco al corpus ingente delle Satire.
Per quanto Virgilio ci ironizzi, non è una mediocre raccolta di battutine da taverna come potrebbe, falsamente, indurre a pensare il titolo. Toccherà gli argomenti più disparati, un variabile affresco umano. Giusto il tempo di scrutinare ben benino anche questo secondo libro. Li ha già pubblicati entrambi, ma è consentito a un letterato revisionare no? Di pari passo con le novelle Odi, presume di ultimarle entro poco, non manca molto. Finiranno suddivise in due libri, esattamente come accaduto alle Satire.
«Sì Antonia?» Ripone stilo e papiro e leggio portatile. Il mormorio argenteo delle fontane s'insinua nei meandri ariosi della natura, popolata da ninfe, satiri, divinità libidinose e irruenti, prigioniere in carapaci di marmo. «Che c'è?»
Ha visto di striscio il suo trasgressivo padre perché possa compararla a lui, benché i grappoli scuri e ricciuti non appartengano alla madre.
«La palla è rimasta impigliata tra i rami di un albero. Potresti aiutarci a riprenderla?»
Aiutarci, corrispondente a liberala te. Agli adulti la fatica del mestiere. Orazio scrolla le spalle. Tutto per accontentare quelle pesti ambulanti, ci tiene a loro, sicuramente molto più di quanto Virgilio nella sua timidezza assurda dimostrerà mai.
E poi Antonia l'ha chiamato zio! Zio, alla faccia di Virgilio! Un punto in più per lui...
«Detto fatto piccola.»
Druso, Giulia e la restante banda si sono raccolti ai piedi di un olmo frondoso, il vento turbinante fra i rami. Orazio aguzza la vista: la palla s'è incastrata in una biforcazione, il braccio di legno che si diparte. Non è tanto alto.
«Tranquilli bambini.» li rassicura. «Non c'è pasticcio che non si possa risolvere.»
«La morte.» lo sfata Druso in una solarità stridente con la cupezza di quanto appena proferito.
Orfeo ci era quasi riuscito a confutare anche quell'ostacolo. Quasi. Orazio batte le palpebre, inquietato. «Sì... beh... ecco... non devo mica recuperarvi una palla?»
Un bastone dalle ragguardevoli misure accorre in loro salvezza. Orazio non ci pensa nemmeno ad arrampicarsi fin là sopra. È basso, assodato, ma a una certa età non bisogna calarsi in rischi avventati! A furia di pungolare l'insieme di stracci appallottolati si svincola dall'incastro, acciuffata con un balzo da Marcello.
«Grazie zio Orazio!» E il fresco maggiorenne, legalmente parlando, gliela lancia contento.
Un rabberciato assemblaggio di pelli sfrega contro i suoi polpastrelli. La scuote. Bella compatta, non c'è che dire. Da bambino terrorizzava i suoi compagni di gioco, abile e lesto nei calci. Da bambino, già... Getta un'occhiata al lavoro incompiuto messo in stallo sul bordo della fontana. Un sorriso gli arriccia il labbro.
Può anche attendere.
«Sapete ragazzi, alla vostra età ero campione incontrastato di tiri a segno nel mio quartiere di Venosa!»
Versi stupefatti salgono in coro dal gruppetto. Tranne uno. Anzi, una.
«Io non ci credo.» Cleopatra Selene diffida, un tagliente sguardo scuro.
«Te lo giuro! Mi avevano ribattezzato Occhio di Falco. Tutti invidiavano i miei riflessi.»
La ragazzina lo squadra con supponenza. Non di rango, piuttosto di gioco. Crede di saper fare di meglio? «Dimostracelo.»
Come desidera la signorinella. Orazio si posiziona, controlla la durezza del terreno, assaggia l'aria, la direzione del vento. Glielo farà vedere lui alla principessina altezzosa.
«Stai attendendo il secondo avvento di Saturno?» lo canzona Selene.
Molto divertente. Non si lancia una palla così, senza calcolo. Ignorandola, Orazio chiude gli occhi. E uno, e due, e...
L'ammasso vola dalle sue mani, delineando un arco verso la villa.
La bocca di Selene s'apre a ovale, stupita. Il volo dura poco. La palla rimbalza su un muro, viene deviata dal mascherone a Medusa di una fontana e, in un'impennata pazzesca, investe in pieno il viso di un'avvenente statua di Bacco, troncando la testa dal collo e concludendo le sue acrobazie in aria sfasciando l'intelaiatura d'una finestra, provocando all'interno non poco subbuglio.
S'odono vasi frantumarsi, gatti miagolare spaventati, vetri infrangersi.
Il sorriso muore sulle labbra di Orazio celere com'è affiorato. Cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo. Ha centrato gli appartamenti di Properzio e una statua di proprietà di Mecenate.
«Merda...»
Il piccolo Tolomeo l'attira al suo livello, affascinato. «Che cosa significa merda?»
«Significa che ce la dobbiamo svignare prima che qualcuno ci colga in fragrante.» Fa cenno ai ragazzini di eclissarsi. «Via, coraggio. Via, via! Correte!»
Virgilio si augura che sia uno scherzo. Ma no: è tutto vero e l'imperatore febbricitante in persona spenzola incoerente davanti a lui e Ovidio.
In movimenti sgraziati, la tunica notturna cascante, floscia e zuppa di sudore, madido e pallido, un Augusto fuggitivo dal letto si accorge di loro. Un sorriso che poco si concilia con il termine lucidità si materializza tra i lineamenti sformati.
«Virgilio! O-Ovidio!» li chiama, impappinandosi. Un grumo grigiastro di sudore ha imbevuto la stoffa davanti al petto. «Siete a-arrivati!
A dire il vero sono sempre stati nei paraggi. Virgilio riallinea il controllo sulla rotta. «Princeps, come mai non stai riposando?»
«Riposando?» chiosa Augusto, fermandosi barcollante. «Ma c-che dici sciocchino? Dobbiamo partire!»
Maledicendo mentalmente Musa e le chissà quali tossiche, rimbecillenti cure alle quali avrà sottoposto il Divi Filius, Virgilio pone la fatidica domanda: «Per dove princeps?»
«Come per dove?» Allarga le braccia, rivoli appiccicanti ciocche bionde alle tempie. «Azio no? Antonio ha scelto q-quei... quei... promontori alti... aaalti...» Mima l'altezza delle coste greche scenario della battaglia decisiva. «Tanto a-alti...» Si guarda intorno, perso. «Agrippa... d-dov'è Agrippa?»
Giove sommo sovrano e l'intero corteo dei suoi saettanti cortigiani. Virgilio è a un soffio dal gridare. O dal buttarsi da un balcone.
Va bene, va bene, va bene... manteniamo la calma. Controllo. Calma, controllo e sicurezza. I pretoriani sono il corpo armato più inutile mai istituito, non avranno notato un fuggitivo dalla stanza che erano incaricati di vigilare?! Augusto non ha colpa, casomai andrebbe debellata la febbre che lo stritola nella sua morsa. Deve tornare a letto. Sì, ecco. Ma come?
Si arrangeranno come possono. Maledizione.
«Agrippa si sta preparando Augusto.» interviene Ovidio, strizzando un occhiolino complice a Virgilio. «Arriverà più tardi.»
«Tardi...» Spreme le labbra in una pernacchia poco cortese. Uno spettacolo di cui non avrebbero mai beneficiato se non stesse letteralmente sgangherando. «S-Sempre tardi. Dobbiamo c-combattere!»
«Sei sicuro di riuscirci?» inquisisce Virgilio, avvicinandosi di soppiatto.
«D-Devo!» Augusto gonfia il torace, s'imbocca d'aria e comincia a gironzolare in tondo. «Per Roma!»
«È completamente andato...» Ovidio dichiara l'ovvio.
«Ha il cervello abbrustolito, è diverso.»
Quando era venuto da loro, pochi giorni prima, era l'icona dello sfinimento. Febbre in atto, occhi cerchiati, a momenti si addormentava in piedi. Mecenate aveva proclamato che era loro compito, come al solito, rendere il soggiorno imperiale più piacevole possibile. Da queste mura deve riemergere un Augusto sano e forte, pronto all'ustionante sole ispanico.
Virgilio, al momento, la vede dura.
Terribilmente dura.
Augusto nel frattempo, dimenticati i piani di battaglia, s'è messo a ballare, piroettando su se stesso, sulle note d'una musica immaginaria. Canticchia un motivetto insensato.
«La, la, la...»
Ovidio è l'autentica, induscussa personificazione dello sgomento.
«Benvenuto nel mio mondo.» Virgilio non si contiene, caustico. «Da poco anche il tuo.»
«Il ragazzo ci si abituerà.»
Sobbalzano entrambi. Tito Livio, ritto e curato, comparso alle spalle da chissà dove, inaspettato come una burrasca.
«E tu da dove sbuchi?» ansima Virgilio riprendendosi dal colpo.
Livio alza spallucce con fare innocente. «Dalla porta.»
Aggiorna la lista: prossimamente eliminare Orazio, il plotone di pretoriani incapaci e Tito Livio. Passandosi le mani sul viso, i nervi rizzati, Virgilio riporta l'attenzione sul loro malato, vagabondo soggetto.
Non più in vista.
«Augusto?» Fruga disperato con lo sguardo dietro le colonne, i vasi traboccanti di fiori, le nicchie adorne di sculture pregiate. «Augusto?» L'hanno perso. Un delirante, fragile imperatore a briglia sciolta in un complesso immenso. Perso. Si ficca le mani nei capelli, sul ciglio dell'esaurimento. «Ottaviano!»
Ovidio, suo opposto, ritratto della placidità, lo agguanta per il polso, dirottando i suoi occhi freneticamente girovaganti a una fontanella in disparte. Un filo d'acqua zampilla dalle fauci d'un realistico leone marmoreo e, nella concavità del vascone, il loro ricercato ha cacciato la testa in acqua, sotto al fiotto scrosciante.
«Augusto!»
Un peso si libera dal cuore di Virgilio. Si precipita a ripescarlo, prendendolo per il colletto irruvidito. Gocce spillano lungo il viso bagnato, le gote avvampanti contrastanti il gelo della fonte. Con l'assistenza di Ovidio e Livio lo ripone a sedere a terra. Tra sudore e acqua non sa dire se sia più una spugna o un essere umano.
«Cosa, in nome del cielo, stavi facendo?!»
«Fresco...» Incurva il collo indietro, i boccoli biondi impastati, alimentanti una pozza tra le fessure dei mosaici. «Era così fresco, tanto, tanto fresco...»
«Riportiamolo a letto.» Una buona idea da parte di Ovidio. Stasera prevede pioggia in via eccezionale.
«Seduta stante.» Virgilio sta per schiodarlo di lì e prepararsi a sorreggerlo, quando l'intontita espressione imperiale si distorce in un portentoso sbadiglio e una testa fradicia casca in avanti, appioppandosi a russare sulle sue ginocchia. La distanza tra lui e l'esaurimento nervoso si assottiglia. Minima. «Oh andiamo!»
Ovidio se la sghignazza sotto i boffi. Livio l'ammutolisce con una gomitata nelle costole.
«Sveglialo.» propone l'autore di decadi storiche.
«Starai scherzando spero!» Da sveglio è un terremoto, non gli va proprio di rivivere le disavventure di poco fa!
Ovidio adocchia l'audacia. Un colpetto sulla spalla di colui che sta inzaccherando di bava la toga di Virgilio. «Augusto?»
Un grugnito lamentoso è il massimo che ne ricavano.
Fantastico. No, davvero. Publio Virgilio Marone si è proprio svegliato questa mattina con l'intenzione di divenire principesco cuscino.
Manto, mia ninfa, salvami.
«Temo che dovremmo trasportarlo con le nostre forze.» Nemmeno Ovidio trasuda gaiezza dalla prospettiva. «A ciascuno un braccio o qualcuno tra di noi è abbastanza forte da caricarselo tutto?»
«Lascia stare.» Il mantovano si issa in braccio il sommo fardello, scomposto e molliccio. Quando sta male, ormai n'è avvezzo, pesa meno di una piuma. «Muoviamoci. E che qualcuno racimoli impacchi freddi.»
«Cosa state facendo per l'amor dei celesti?!»
Ovidio era convinto d'aver assistito a tutto in questa folle giornata: bambini scatenati, imperatori preda di febbri come balordi e poeti burberi tenenti in braccio quegli stessi imperatori. Bambini poi, Marcello ha giusto un anno in meno di lui, però non è un poeta a un passo dalla consacrazione e talentuoso come il sottoscritto!
Invece, oh invece, è costretto a ricredersi. Alla stranezza piace vestire molteplici forme.
Un'amalgama di ragazzini e Orazio - rinuncia a domandarsi il motivo - appigliati a una statua decapitata e provanti a riparare al danno con una sostanza collosa sulla quale non si azzarda a chiedere nulla.
«Senza testa, senza testa, senza testa!» cantarella Antonia Minore spensierata, dondolandosi da un braccio. «Gli abbiamo tagliato la testa!»
«Orazio l'ha fatto!» Druso penzola dalla piega del gomito.
«Lo chiamavano Occhio di Falco!» Alessandro Elio si diverte a girare e girare e girare, suo perno una tornita gamba. «Come Horus!»
Virgilio, al suo fianco con un sonnecchiante Ottaviano Augusto rivoltato sulla spalla, sembra sul punto di svenire.
«Mecenate ci ucciderà.»
Loro? Dovrebbe incolpare quei birbanti casomai! Immaturi. Perché non possono imparare da lui? Un modello di educazione e galanteria e rispetto?
Giulia, la mocciosa viziatissima, un faccino angelico possedente il talento di legarsi il paterno volere intorno a un dito, ammira gli amici da terra.
Ovidio taglia la lontananza a larghe falcate. «Tu!»
Giulia lo nota. «Stai dicendo a me?»
«A chi altri? Sei tu la cocca di papà no? Fai valere la tua autorità, ordina loro di scendere immediatamente.»
Orazio sta già provvedento, non privo di difficoltà. Scivola affannato. «Non includere anche me.»
Giulia inclina il capo e, in un baleno, un lucore malizioso trapela dalle sue iridi celesti.
«Dammi un bacio.»
Ovidio deve aver sentito male. Una svista, un fraintendimento. «Cosa?!»
«Dammi un bacio sulla guancia. Di quelli degli innamorati dignitosi. Sei carino, sarebbe uno spreco mantenere quelle belle labbra monde dai baci.»
«Non ci penso neanche!» Che razza di richiesta demenziale è?!
Giulia s'imbroncia. «Allora quando si sveglia dirò al papà che mi hai mostrato scortesia!»
Suo padre, adesso, sta pascendosi in sogni irroranti di saliva il povero, sopportante Virgilio. Non un interlocutore ideale.
«E che sicurezze hai che ti crederà?»
La beniamina di paparino sorride supponente. «So essere molto persuasiva... ora chiudi il becco e baciami!»
«Ma-»
«Non sei ansioso di vivere un giorno in gattabuia vero? Esigo il mio bacio!»
Recalcitrante, sotto gli occhi di tutti, Ovidio spizzica alla velocità della luce l'agognato pegno sulla guancia di Giulia. Percepisce una pelle soffice, intonsa da cosmetici pacchiani. Levigata come una pesca. È il pizzicore della fragranza di... cos'è? Giglio? Giglio e Giulia, sono assonanti.
«Contenta?» brontola, distogliendo lo sguardo.
La ragazzina assente, comprata. Un bacio innocuo il suo prezzo. Intima ai compari di scendere, alla statua ci penseranno più tardi.
Giulia e giglio. Ovidio s'addenta il labbro inferiore. Partenza per una poesia.
Ottavia bacia la fronte bollente del fratellino allettato.
Delimitata su tre lati da griglie amiche della luce, la quale può opportunatamente venire oscurata da tendaggi scorrevoli, la stanza destinata a Ottaviano, nella vastità degli horti di Mecenate, rievoca un serraglio. Suo fratello mugola, sepolto nel sonno e nel cuscino, la febbre che comincia a calare.
È lieta d'aver risolto con Livia e Agrippa. Mecenate è mediatore provetto. I ragazzi poi, dalle testimonianze di Virgilio, Orazio e colleghi, sono stati dei piccoli angeli.
Splendido.
«Si riprenderà zia?» Giulia, inginocchiata su un tappeto dalle contorte geometrie, rimbocca le coperte all'ammalato. Ottavia n'è commossa. Quando si discute della salute traballante di Ottaviano la loro Piccola Roma accorre in suo soccorso.
«Lo farà tesoro, ma è vitale che riposi.»
Escono, adagiando la porta allo stipite al massimo della lentezza. Ottaviano prosegue a ronfare imperterrito.
E Giulia si sganascia improvvisamente dalle risate.
Ottavia si lambicca, confusa. «Perché ridi?»
«Un segreto zia.» Spicca a baciarla sulla guancia prima di saltellare lontano. «Un segreto...»
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