Cesare & Bruto - It is possible?
Qui lo dico e qui lo ripeto: io sostengo che Bruto sia nato nel 79-78 a.C (nello specifico l'ultima). Dopotutto la relazione di Cesare e Servilia era di lunga data e deve per forza esserci uscito qualcosa🌝anche questa nata de botto stasera!
È un testo prezioso, edificante, quello che, arrotolato nella pergamena, gli ha consegnato suo zio.
«Un regalo Bruto.» aveva proclamato cerimonioso Marco Porcio Catone, le mani coriacee e solide stringenti il presente. «La Repubblica di Platone, tradotta dal nostro amico Cicerone per giunta! Una lettura stimolante, doverosa alla tua età. Sei abbastanza grande per comprendere le dinamiche del nostro glorioso sistema.»
Bruto prova ancora orgoglio all'apprendere che lo zio, a otto anni, lo giudichi maturo a sufficienza da cimentarsi in una lettura corposa come l'opera dell'illustre filosofo greco. Gli piacciono certi argomenti più defilati, leggeri. Poesia, retorica, oratoria e quel bagaglio di materie per cui Giulia, Porzia e Marco si divertono a prenderlo in giro, canzonandolo come un topo di biblioteca. Il perché gli sfugge, giacché Porzia e Marco sono suoi cugini, figli di Catone e, anche se quest'ultimo è fratello di sua madre solo a metà, dovrebbero enumerarsi tra i primi ad assorbire i precetti castigati, puritani, vetusti della Roma arcaica.
La Roma dei padri, la esalta Catone con gli occhi sfolgoranti di fierezza. La culla delle origini. Il tempo mitico dove gli uomini erano all'apice del coraggio e le donne pudiche ricamatrici ai fusi e canocchie.
Bruto non rinuncerebbe mai a fornire a suo zio una soddisfazione e di conseguenza, appena rientrato a casa, salutati gli amichetti, è corso nell'angolo più solitario e remoto del peristilium, estraniandosi dall'esterno disturbante nei suoi chiassi.
Si abbevera assetato di quelle parole intrise di saggezza, rintanato nel suo nascondiglio tra un pingue vaso enorme e la parete vivida di pitture.
«Ecco.» enuncia Platone, in un abile ricamo verbale. «Secondo me, come nascono le dittature. Esse hanno due madri.
Una è l'oligarchia quando degenera, per le sue lotte interne, in satrapia.
L'altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l'inettitudine dei suoi capi,
precipita nella corruzione e nella paralisi.
Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice.
Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.»
Nel sangue. Una ruga perplessa solca la fronte del piccolo Bruto. Perché mai dovrebbe terminare i suoi giorni contorcendosi nel sangue? Che immagine agghiacciante, cruenta. Stupida e brutta. Lo zio ritiene che la Repubblica vada tutelata e preservata con le unghie e con i denti persino, non bisogna tentennare sulla sua salvezza. Ma Platone era un greco e la Grecia non è Roma.
Roma è speciale, scelta e protetta dagli Dei, da loro incoronata regina dei popoli e patria degli oppressi e degli afflitti.
Sorta sulla lapide di un fratello assassinato.
Romolo e Remo. Li saprebbero favellare a memoria anche i lattanti fetidi di latte rancido. Il sangue del fratricidio scaldò il terreno, propiziando un futuro leggendario alla città fresca di fondazione. È stato un atto necessario, ricalcano gli anziani, equiparato a un sacrificio sacerdotale. A una consacrazione.
Roma consacrata nel sangue amato, nelle ceneri della sua pira funeraria.
Bruto storce la bocca. Non è un sacerdote, probabilmente capirà meglio quando sarà più grande.
Un rumore stridulo fende la membrana delle sue meditazioni aggrovigliate.
Ah. Loro.
Cesare.
È un amico di sua madre - anche se Porzia sostiene di aver recepito voci meno lusinghiere riguardo quell'amicizia. Voci che vorrebbero Bruto generato non dal suo omonimo, compianto padre - e spesso li omaggia di sue visite. Più incursioni a sorpresa che visite in verità, ma a Bruto non dispiace la sua persona.
Cesare ti travolge con una personalità fuori dal comune. Sorride a Bruto, osserva lui e i suoi amici in disparte, quando si acchiappano e rincorrono nei porticati trapunti di sole. Alle sue scompigliate di capelli una felicità inusitata gli si smuove nello stomaco.
Trova... appagante stare in compagnia di Cesare.
Di nuovo quel suono. Un verso roco, una sorta di strillo. Proviene dalla cubicula di sua madre.
Bruto rizza il capo, la Repubblica ormai trascurata. Servilia Cepione, sorellastra di Catone, vanta una consolidata fama di inguaribile festaiola, i suoi gusti smodati per fortuna non trasmessi alle tre figlie, sorellastre di Bruto. Quello e...
E... le voci odiose di Porzia.
Servilia e Cesare sono amici. Vero che l'amicizia possiede varie sfumature, ma non sfocia mai nel trionfo di Eros.
Giusto?
Non dovrebbe ficcanasare, suo zio lo redarguirebbe. Gli adulti hanno i loro problemi. Però quei suoni, natii degli appartamenti di sua madre...
Si alza, trascinandosi roso dall'ansia. Staranno discutendo, Cesare e Servilia, ciarlando, facezie e battute. I convenevoli dei grandi. Bruto è arrivato, si sporge sulla soglia e...
Venere Venticordia!
Lei, sua madre, inarcata e nuda, tesa come una corda contro il torace di lui, in un concerto di spasmi e gemiti. Cesare la incalza con ardore da dietro, spinte lente, i capelli di Servilia capitolanti sulle spalle. Sono movenze e amplessi velati dai drappeggi del letto, l'aria impregnata di un calore umido, dolciastro.
Bruto ricaccia un sussulto giù per la gola, si tappa la bocca e corre, corre più lontano che può, nelle profondità della domus.
Lotta per cancellarselo dalla mente, veramente, ci mette tutto il suo impegno, ma la scoperta oscena non sloggia. E non l'aiuta l'annuncio della mamma che Cesare si tratterrà a cena.
L'uomo che ammira con timoroso rispetto lo raggiunge poco prima, in camera, dove Bruto s'è previdentemente tappato, stemperando lo shock con il suo amato manoscritto platonico.
«Sei sempre così pensieroso?»
Bruto si puntella sui gomiti, strappato dalle righe inveenti sull'ingiustizia della tirannia. Cesare, già stempiato nonostante non abbia raggiunto l'età del grigiore, si appropinqua al letto sua roccaforte.
«S-Stavo pensando...» minimizza, il ricordo dell'incontro... intimo che si sovrappone alla sua figura. No! Deve toglierselo di testa!
«A cosa piccolo vorace lettore?»
Sta sorridendo. A lui. Quella bizzarra felicità s'irradia nuovamente dentro Bruto.
A cosa? Adesso s'è ficcato nei guai, come ne esce fuori? I suoi occhi cadono sulle ultime righe ripassate.
«Così la democrazia muore: per abuso di se stessa.
E prima che nel sangue, nel ridicolo.»
Nel sangue. Romolo e Remo.
«Al mito della Fondazione, la morte di Remo.»
«Decantata da tuo zio suppongo.» I rapporti tra Catone e Cesare non sono proprio idilliaci. Bruto sta imparando che in politica nulla è idilliaco, temporaneo e perfetto. «Quali dubbi nutri?»
Bruto sgrana gli occhi. Catone non glielo chiederebbe mai. Per lui un dogma è fatto e finito.
«Non può essere sacro un omicidio.» Si strofina il naso. «Remo era suo fratello, gemello per di più. Stesso sangue e stessa carne, Marte non l'avrebbe mai permesso.»
«Anche gli Dei hanno le mani legate davanti al Fato.»
«Ma se la nostra Repubblica si fonda sull'uguaglianza di tutti gli uomini non ha senso che uno prevarichi sull'altro e lo uccida. Nell'uguaglianza non c'è motivo di sfoderare il pugnale.» Bruto non si è mai spinto a tanto, esporre i suoi pensieri. Non con il severo Catone. «Poi... poi è orribile.»
Cesare sorride, il sorriso degli adulti davanti a un fatto che i bambini ingigantiscono. «Non tutto al mondo è giusto Bruto.»
«Roma dovrebbe esserlo. È la padrona del mondo.»
«Ti imbottisce di queste storie tuo zio?» L'altro scuote la testa, ridacchiando. «Proprio Catone il brontolone...»
Discendente del Censore. Lo porta nel sangue il brontolare, vero! Bruto si concede una risata.
«Già! Ma...» Il pensiero lo rabbuia improvvisamente.
«Ma cosa Bruto?»
Ingoia la tensione. «Ma tu riusciresti a farlo? A uccidere una persona che ami, un fratello, a sangue freddo?»
Un silenzio ponderato, solenne. Cesare si raddrizza e nella sua postura Bruto scorge una fierezza innata. Catone impallidisce al confronto...
«No.» risponde. «Non credo.»
In guerra il discorso cambia. La guerra è l'idioma di Roma, predica Catone. Fondamentale alla costruzione del prestigio romano.
«Anche se si trattasse di un atto sacerdotale?»
Uno sbuffo. «Non ci vedo molto di sacerdotale nel fratricidio. L'empietà non si smacchia tanto facilmente.»
Empietà. Mani lorde del sangue del gemello. Bruto prova a immaginarsi mani simili alle sue, ma più grandi e robuste, nerborute dall'aratro.
Non ci riesce. Lui non si azzarderebbe mai a-a... m-ma nemmeno pensarci!
«E se fosse necessario?»
Cesare ruba tempo per riflettere su quella domanda. Bruto lo aspetta, diligente.
«Il concetto di necessario è variabile Bruto.»
Variabile. Quindi quello che può essere necessario per me non è detto che lo sia anche per altro. Capito.
Cesare tende una mano alla sua zazzera castana, una scapigliata scherzosa.
«Filosofo in erba!»
Gli piace la sua felicità contagiosa, venire notato dai suoi dardi d'onice. Riveste Bruto d'un senso d'importanza. Mi vuole bene, capisce, e lo dimostra. Ascoltando suo zio chi manifesta esagerate emozioni è un rammollito, indegno delle virtù romane. Cesare invece... Cesare è diverso.
Bruto lo accoglie ora, netto e chiaro: farebbe qualsiasi cosa per quello scintillio accattivante nel suo sguardo.
«Andiamo ragazzo, tua madre non è tipo da lunghe attese.»
Il concetto di necessario è variabile.
Anni più tardi, affondando la lama nel petto di quell'uomo amico, padre di figura e chissà se di carne, si domanderà se lo sia veramente.
È necessario sbarazzarsi di un tiranno?
N.A:
Piccola presentazione dei personaggi citati, tranne Bruto e Cesare per ovvie ragioni. Tanto li ritrovate tutti nella mia storia principale.
Porzia: cugina di Bruto e sua futura moglie. Sapeva della congiura e molto probabilmente, insieme a Servilia, incoraggiò Bruto a prendervi parte. Dopo la sconfitta e il conseguente suicidio del marito a Filippi perderà la ragione e morirà ingerendo dei carboni ardenti.
Marco: Marco Catone, omonimo del padre Uticense (qua non ancora nominato con il soprannome che gli derivò dal suicidio post disfatta di Pompeo). Marco seguirà il padre ad Utica, verrà perdonato da Cesare, si unirà alla congiura e morirà a Filippi.
Giulia: Giulia Minore, figlia di Cesare, sposa di Pompeo. La sua morte per parto sarà la miccia appiccante la guerra civile tra il marito e il padre.
Servilia: madre di Bruto, amante di Cesare e molto probabilmente una tra le pochissime donne che quest'ultimo abbia davvero amato. La loro relazione, assai duratura e storica, si dipanò lungo i decenni ed era di pubblico dominio. Donna spregiudicata e influente, si crede che spinse il figlio a partecipare alla congiura delle Idi di Marzo.
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