Augusto - la sottile illusione dell'essere
Uno scorcio introspettivo sul primo imperatore.
È una storia senza inizio e senza fine. Si modifica, si adegua, si plasma. Scorre e fluisce e si ricrea. Come acqua. Come mercurio liquido e argentino che saetta nei canali e nelle ampolle.
Non c'è un'alba e non c'è un tramonto. Solo il sole nel mezzo, che scalda e acceca e incendia. Non c'è un padre e non c'è un figlio. Solo un uomo morto e sangue che si raddensa sul marmo e lo oltraggia, violentando di rosso la purezza del candore.
Non esiste un padre perché un dio non ha padri, un dio esiste e sempre esisterà, cambia e si traveste. Ma un figlio di un dio possiede un padre e allora lui sta sospeso in mezzo. Figlio non proprio figlio di un padre non proprio padre. Adottato. E allora? Conta la carne o conta il pensiero, l'ideale che sopravvive e non scorre via nel sangue?
O sì? Perché è una linea di sangue a unirli. Non sulle sue mani, ma tutto intorno a lui. Sangue degli altri e sangue suo. Con quale costruirà la Storia?
Costruirla? Può farlo? Ha tentato l'uomo, il padre non proprio padre, colui che chiazza e impallidisce sul pavimento. Ha tentato, ha raggiunto la vetta, ma poi, ma poi-
Tu quoque? Anche tu?
All'assassino. Al possibile, no, al figlio che lo accoltella. Ironia. Al figlio, amato come un figlio, vicino quanto un figlio, l'ignominia del parricidio.
Al nipote - l'adottato, il figlio non proprio figlio, di legge, di ideali, impastato degli stessi sogni, ma non totalmente della stessa carne - la gloria solenne della Storia.
«Siamo solo voci.» gli dice una mattina il padre, il prozio, la scintilla di divino insita, ma non ancora esplosa. Ha sedici anni e i promontori spagnoli sembrano volersi allungare fino agli estremi della terra, gibbosità aride e moribonde. «Echi, echi in un'immensa caverna. Non importa quanto urliamo, un giorno ci estingueremo. Flebili, flebili, sempre più flebili. Di noi non rimarrà altro che silenzio.»
«Ma sta a noi impegnarci affinché questo avvenga il più tardi possibile.» ribatte, serio e discreto nell'età dove tutto è lecito nelle fantasie e nei sogni di grandezza.
Incrocia il suo sguardo, un'intesa, un'armonia. Crepitano fiamme roventi dentro il suo prozio, il padre che sarà e che forse è sempre stato.
«Sì.» concorda, un sorriso che si afferma tra le rughe. «Può essere.»
Può essere. Non è. Non certezza. Ha imparato da lui, dal suo sangue disperso, che la certezza è irraggiungibile. Illusione degli arroganti, degli inetti. Non c'è mai certezza. Appassisce subito, è acqua che scivola tra le dita. Inesistente. C'è il solo il momento, il presente.
Carpe Diem.
E cogli il futuro, anche. Il presente non basta. Sii un giocoliere, un attore. Bilanciati e resta in equilibrio. Guarda avanti, pensa, pianifica, supponi. Non sottovalutare. Lascia che siano gli altri a sottovalutare te.
È un dio, il figlio di un dio, ma non controlla. Altro miraggio, sciocca fantasia. Controllare. Non impugni il futuro, non scrivi la Storia. Può bruciare tracce, cancellare nomi, impostare ciò che lascerà ai posteri in accordo alla sua visione e volontà. Ma dopo? Dopo? È un lancio di dadi, saltati dalla mano, ribaltati in aria, ogni uscita è possibile.
Storia e futuro sono intrecciati. È come camminare su una lastra di vetro. Ci riesci, avanzi, avanzi, avanzi, ma attento. Non si procede oltre in eterno. Fermati. Da qui in avanti l'accesso è vietato. Appartiene ad altri. Altri che scriveranno e diffonderanno e copieranno e contamineranno.
Conosci i tuoi limiti.
È stato questo l'errore di suo zio? Del padre scritto, ereditato nel nome, non altrettanto nella carne? Ha superato il consentito? E chi decide il consentito? Lui è un dio figlio di un dio, oro lampeggia nelle sue vene, oro gli asperge il corpo, oro incanta dal suo capo, un timbro di Venere. Potrebbe decidere il consentito.
Potrebbe. Attenzione a non oltrepassare, l'uomo morde. L'uomo si rivolta.
Pretende la pace e poi rivuole nostalgico il passato che ha bruciato, distrutto. Che l'ha bruciato e che l'ha distrutto.
Ha fallito qui suo zio? Il sommo, il grande... accasciato nel sangue arricchente il marmo di colore. Ha cercato d'ergersi a sole. Sfavillante, maestoso. E l'hanno spento, il sudario la sua eclissi.
No. Oh no. Pensava che quello fosse il potere. No, no, no. Il potere non è diventare un sole abbagliante, ma sapersi tramutare nella nube che lo nasconde.
Elargire raggi con parsimonia, discrezione. L'uomo gioisce del sole quando lo riscalda, non quanto lo acceca.
Essere nuvola al sole, l'involucro di terracotta della lucerna alla fiamma che in esso arde. Illumina e non ferisce. Pelle di marmo alla carne fragile, effimera e palpitante. Scorza di pietra nera e rozza alla pepita d'oro interiore.
Travestimenti. Maschere. Mutevole come fiamma, che ritempra, ma non brucia. Come acqua, che scorre e rinfresca, ma non straborda. Un attore, un camaleonte. Una parte e un'altra e un'altra ancora.
Bambino fin quando è servito. Ignoralo, è un ragazzino. Che male può attentare un piccolo diavoletto insolente?
Il bambino ascolta, assorbe.
Custodisce.
Bambino nel Senato a smascherare i vecchi avvizziti, i veri bambini. Figlio e padre e condottiero e principe e imperatore e figlio di un dio. Infine Dio. Dopo, certo, in vita non si rischia. La pazienza coltiva buoni frutti. Ma è asceso, confermato.
Multiforme come Venere che soccorre il suo vagabondo figlio. Venere che non soggiace a un amore spericolato, non si avventa a lasciarsi consumare prorompente. Venere è l'amore delicato, premuroso. Aiuta, sorregge.
È Bacco - è Antonio assuefatto alla sua regina - che si abbandona all'ebrezza e ciondola e trangugia la vita come se il mondo potesse sparire nel giro di una notte. È lui che trascina e soccombe all'estasi, al momento. Troppo presente in Bacco, troppo, niente futuro. Eccessi e vanità.
O no? Rispunta dopo anni la domanda. Chi consacrerà la Storia? Gli innamorati della sventura, chi rischia, chi osa per il sentimento che sopravvive imperituro a imperi e stagioni, o il cauto, il prevenuto, lo studioso sfaccettato e minuzioso?
La passione o il sogno da realizzare?
Chi spreca tempo a soffermarsi sulle lacrime fraterne di Romolo, sull'amore per il fratello massacrato, quando quel sangue innaffia il solco originario? L'umanità si commuoverebbe, ma l'umanità è estasiata da Roma, dalla città di cui quel sangue è genitore.
Dalla maestosità sorta da un sogno, non dalla lacrimosa sorte piovuta su Remo.
Che si decidano allora.
Però l'amore... l'amore... il sangue. Ecco, si vede: dal sangue nasce la magnificenza, la grandiosità. Dal sangue nascono imperi. Non lo verserà, ha promesso, non più.
Ma quello continuerà a scorrere. Nelle vene dei suoi discendenti, nelle vene di sua figlia.
Dal sangue all'immortalità. È un pegno. La guarda dormire accoccolata al suo fianco, nel letto in cui s'è rifugiata, sorpresa da un incubo. La sua bambina. Bella come Venere, bionda di divina fattura. Oro e sangue raccolti in lei, nel suono leggero e sommesso del suo respiro.
Amore e sangue. Il suo per la sua vita. Per la pace che vivrà.
Può riuscirci?
Certo, deve. Dovrà. Di nuovo assumere molteplici forme, vestire sembianze, cambiare aspetti. Non per un sogno. Stavolta lotta per la pace.
«Sai una cosa che trovo... particolare... del tuo poema?» attacca una mattina satura di primavera al suo caro poeta mantovano, riparati sotto un portico rinchiuso nella glicine.
«Cosa princeps?»
«Che si ferma alla sconfitta di Turno, ma nessuno, da nessuna parte, canta mai della pace che seguì, la pace che Enea portò nel Lazio.»
Sul volto del poeta si disegna un sorriso. «Non tocca a me princeps. Tu sarai il primo bardo che la canterà.»
Ha ragione. Note placide, lente. Sempre cautela, sempre attenzione. Sii fumo, ma non andare negli occhi. Annebbiali al punto giusto cosicché non si rendano conto. Inganna, contraffai, strappa all'ingiuria del fango e della decadenza.
Ancora e ancora e sì, ancora.
Questa storia non ha una fine, non ha un inizio. Spumeggia come un fiume di sangue da un padre divino a un figlio divino, Tevere scarlatto che poi si snoda in innumerevoli rivoli lungo le pagine della Storia. Padri e figli e figlie e zii e pronipoti. Sogno che si fa realtà, vendetta che si fa ambizione.
È figlio e poi padre, dio e poi città e quella città abbraccia il mondo intero. Roma ribollente d'oro, senza albori e senza finali. Eterna.
Come la Storia.
Lui è Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, primo e ultimo, il solo, distruttore e iniziatore. Chiude e inaugura, novello Giano Bifronte.
Trattenete i vostri applausi, forse la commedia è lungi dal terminare.
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