Augusto & Giulia - worlds apart
Quest'app sta veramente dando i numeri. È la terza volta che tento di pubblicare e si blocca. Dopo i messaggi incasinati pure questa🦀
Vabbè, razione quotidiana di traumi per voi
Roma, Colle Palatino - 746 AVC (8 a.C)
Non ha ragione di preoccuparsi, si ripete percorrendo incessante a tarda notte l'atrio del Palazzo. È accompagnata, le sue guardie non la perderebbero di vista un secondo e, se anche per sbaglio, si allontanasse, la recuperebbero seduta stante.
Non c'è uomo, donna o bambino a Roma che non conosca il volto di sua figlia e non manca bettola, stamberga, taberna, casa di malaffare dove non si rida sulle avventure vivaci, le intemperanze, le trasgressioni della figlia dell'imperatore. Augusto ha scelto da tempo di assumerne le distanze.
Pettegolezzi ingigantiti da episodi isolati, momenti di follia, di sballo andato troppo oltre. Giulia ha sempre avuto un carattere... difficile e straordinariamente famelico di vita, persuasiva e ammaliante, lui stesso si rende conto di avere accondisceso forse in eccesso le stravaganze della sua bambina, e magari un po' di colpa la spartisce con Agrippa, che compensava alla loro unione di caratteri e anni divergenti appagando Giulia con qualsiasi capriccio la prendesse.
Ma adesso è deciso. Va bene. Si imporrà, farà valere la sua supremazia in quanto padre. Ci manca solo che calunnie e berciare di matrone destabilizzino la reputazione di Giulia. E, per luce riflessa, anche quella della sua famiglia.
L'insistenza è un prurito tremendo. Placa il suo girovagare in cerchio, scoccando l'ennesima, stizzita occhiata ai lumi ardenti nelle lucerne. Che ore sono? Notte fonda. Era uscita per una festa, aveva comunicato a lui e Livia. Ai bambini, era sottinteso, avrebbero provveduto loro.
Poche orette, niente di che.
Si vede.
È adulta, perfettamente capace di badare a se stessa, libera nelle sue scelte. Conosce la strada di casa. Queste feste tra il fiore giovanile dell'aristocrazia, focolaio di idee sovversive, pericolose, lo pongono a disagio. In molti, rimpiguati dalla pace che li ha rammoliti, non hanno conosciuto altro, tramano pensieri ostili al regime imperiale, dissotterrano gli ideali impossibili e utopici dei loro padri. Storie fantomatiche e ridicole di Repubblica e unità e uguaglianza.
Vadano a interrogare le montagne di cadaveri e romani sterminati nel sangue quanta uguaglianza e quanta unità ha apportato la vecchia rancida, corrotta Repubblica.
Quando arriva?! Le fiammelle oscillano, dispiegando una coltre di tenere tinte rossastre sulle rappresentazioni, le dee e le ninfe che si rincorrono. Da una porticina dipinta il volto e la mano di una ragazza fanno timidamente capolino, quasi spaventata a porre il naso all'esterno. Sta tornando o fuggendo da casa? Difficile definirlo. Immobile sull'uscio, sulla soglia. Proprio come Giulia.
Il cigolio ravviva le sue speranze e la sua apprensione. Augusto si siede su un divano, la ramanzina preparata.
«Hai idea di che ore siano?»
La sagoma di sua figlia, primeggiante nel ritaglio di luce lunare proveniente dai portoni aperti, arranca con un'andatura barcollante, incerta. Un braccio si regge alla parete. Avvicinandosi alla luce, saltano all'evidenza la sciatteria trasandata dell'abito - un rosso aggressivo e furioso in voga di recente - l'acconciatura disfatta, ciocche cascanti, il trucco sbavato e colante. I segni sul collo. Marchi di labbra.
Giunone, castigata e retta, accuserebbe uno svenimento. Tiberio molto probabilmente... a Tiberio non interessa nulla di sua moglie. La Germania uggiosa e indomita lo terranno occupato, finché stanno lontani il matrimonio può reggere.
«Quale onore!» sbotta sua figlia, una risata fin troppo allegra. «Il signore del mondo, dell'universo, che si trattiene ad aspettarmi!»
«Temevo per la tua sicurezza.» Augusto incrocia le braccia, ritto, una maschera di fermezza.
Sua figlia si reclina contro il muro, effusa d'un aurela luminescente al bagliore delle torce. «Con i tuoi cagnolini in corazza che mi pedinano anche quando mi siedo al cesso sono in u-una botte di f-ferro!»
Fa per scivolare, il padre si fionda a ragguagliarla, ma Giulia recupera l'equilibrio e ricomincia a ridere sguaiata, una profonda, sgangherata risata scavalcante ogni pudore. L'asprezza pungente, inconfondibile, lo assale alle narici.
«Hai bevuto?»
«C-Che c'è di male?» pone, una smorfia di cieca innocenza. Sguardo da bambina inconsapevole. «Era gustoso.»
«Hai gustato a volontà delle prelibatezze servite dalla vita stanotte.» La prende delicato per il gomito - un ubriaco scatta gli Dei sanno solo per quali piccolezze insensate - guidandola verso l'ala degli appartamenti suoi e dei bambini.
Agrippa sopportavi le sue bravate ogni notte? Giulia non ha mai nascosto la sua indole esuberante e festaiola, una ridente accoppiata di spirito e arguzia di cui Augusto stesso va fiero, ma dal pepare la serata con salaci battute a spogliarsi di ogni moralità in pubblico ci passa un fosso, una faglia.
Un oceano!
«Che broncio severo...» Sua figlia gli si piazza davanti, le ciocche sciolte ballerine nell'aria profumata che s'insinua dai giardini, brillanti di lanterne nemiche del buio. «Dovresti p-prenderla con più leggerezza padre.»
Padre. Sta per montare una discussione accesa. Detesta la formalità distaccata e doverosa di quel titolo. Padre. È padre per Roma e l'Impero, per Giulia occorre solo papà. Non si presagisce nulla di buono quando lo chiama padre.
Augusto non lascia cadere la serietà. Ai guanti di velluto ogni tanto va alternato anche il pugno di ferro. «Non tollero simili farse, osceni ricettacoli di indecenza che allentano i costumi e minano l'armonia delle famiglie.»
«Armonia?» Giulia piega il collo e sghignazza, il singhiozzo del vino la interrompe. «Ma se nemmeno nella n-nostra f-famiglia regna l'armonia.»
Non sa quello che dice. È la lingua sbrogliata e incontrollata di Bacco a parlare, gli effluvi le annebbiano la ragione. Augusto si è tormentato nell'angoscia dell'attesa più del dovuto, conveniente chiudere la serata.
«Ti riconduco a letto. È tardi.»
Giulia non è d'accordo. «S-Sono le conseguenze dell'avermi imposta a quel sasso di Tiberio, padre.»
Padre. Di nuovo. «Lo sai che detesto quando ti rivolgi a me in quel modo.»
«Scusami, padre. O dovrei dire, s-suocero di Agrippa?» Corruccia le labbra in una mestizia inscenata. «Povero Agrippa, la sua sposa bambina rimaritata con uno scriteriato rigido come un palo solo per la convenienza dell'Impero...»
«Ne andava della tutela dei tuoi figli, lui avrebbe compreso.»
«Lui ti avrebbe sputato in faccia e dichiarato senza mezzi t-termini quanto stupida fosse la tua trovata.» Zaffate di Falerno gli alitano a un palmo di naso. Giulia è tagliente stasera, una tempesta terrificante. «Sempre che tu l'abbia partorita tutto da solo. Livia ha talento nel tessere le sue trame.»
Livia aveva avanzato una bozza del progetto, vero. Ma non sono cose che dovrebbero importarle! Le sfere maggiori agiscono secondo il loro perché. Incoscienti che accusano sua moglie di ambire a incoronare suo figlio reggitore di Roma. Fanfaluche, invenzioni di annoiati.
Augusto inspira, raggranella la pazienza che Giulia non gli ha ancora rubato.
«Ti avverto: poniti un freno ora o-»
«O cosa?» si accanisce Giulia, un vulcano eruttante. «Mi infliggerai una punizione? Mi sbatterai in carcere? Ci sto dal giorno in cui sono nata grazie a te.» Grazie a lui. Illogico. L'ha protetta, l'ha preservata dalla decomposizione delle istituzioni, dall'odio feroce delle guerre! «Oppure forse dal giorno in cui mi hai forzata a sposare quel blocco di ghiaccio di Tiberio?»
Cerca di mantenere la calma. Fredda e pacata, uno specchio d'acqua ghiacciato. «Io non ti ho forzato Giulia, stai esagerando.»
«Oh scusami.» lo provoca, scaldata dalla rabbia. «Mi hai caldamente consigliato di scegliere proprio lui quale tutore dei miei figli. Miei o tuoi?» La deriosione è rimpiazzata da una tristezza indicibile. «Di quanto intendi privarmi ancora?»
Augusto è tentato di ribadirle lo stesso ritornello: per Roma, a un imperatore dei successori sono indispensabili. Gaio e Lucio sono stati adottati secondo un preciso piano. Necessario. Come tutto. È Roma bussola delle loro vite, burattinaia muovente i fili. Non sono altro che tasselli nel vasto mosaico, più preziosi rispetto agli altri, ma fondamentali alla stabilità dell'insieme.
La muta regola del potere. La prigione del potere.
«Il sangue non si muta, sono solo formalità.» chiarisce conciso. «Nel profondo rimarranno sempre i tuoi figli.»
A Giulia non basta.
«Le formalità sostengono un Impero adesso? Emozionante scoprirlo...»
Vuole proprio irritarlo!
«Finiscila con questo atteggiamento bambinesco. Ti stai ricoprendo di ridicolo.»
«E tu padre?» Un lucore furbesco le scintilla nei fossi azzurri. «Oh ma le virtù violate delle verginelle romane compongono una collezione di cui vantarsi...»
Quelle sciocchezzuole. Storie messe in circolo dai suoi nemici. Da ragazzo si è divertito, ha alimentato i sogni romantici di più di una fanciulla, non lo nega. Quanti anni fa comunque? Livia, se incappasse in lui approfittante dell'innocenza di una ragazzina tra le coperte, non esiterebbe a menargli sonore, e legittime, scudisciate. A lui e alla sventurata amante.
Scenario impossibile.
«Non mi vanto delle diffamazioni orchestrate dai miei detrattori.» sentenzia Augusto, braccando nuovamente la figlia, riprendendo il cammino.
«Le malelingue germogliano dal seme della verità.»
Nocciolo marcio della menzogna in questo caso figliola.
«Tagliala subito!» l'apostrofa, al limite della sopportazione. È testarda, un toro continuante a incornare, sempre alla carica. «Quando capirai che mi sto preoccupando per il tuo bene?!»
È la goccia che fa traboccare il vaso. Giulia si gira, il suo veleno lo travolge impetuoso.
«E tu quando capirai che io sono una donna e non una merce di scambio?!»
Si ostina a non capirlo. Le quantità spropositate di vino le ottundono i sensi. «Ne va del tuo bene...»
«Bizzarro come coincida sempre con il bene di Roma!» Sono a poco dal traguardo, attraversano il porticato delimitante il raccolto, discreto cortile antecedente le stanze di sua figlia. Giulia si divincola, uno strattone e nel palmo di Augusto aleggia lo spettro del suo calore. «In fondo però non sono la tua Piccola Roma? Un modellino su cui sperimentare le proprie losche ambizioni, di cui abusare. Alla Grande Roma però regali pace. Alla Piccola dolore.»
Dolore. Sibilato con disprezzo. Preferisce non crederci. Sua figlia non lo disprezzerebbe mai, non nell'intimo. Quella particella d'amore sopravvivrebbe a tutto.
«Sto cercando di-»
«Di, di, di che?» gli fa il verso Giulia. «Che cosa padre? Di continuare a usarmi come cavia?»
Cavia di cosa? Di che? L'ha anche sistemata affinché affronti la crudeltà, la spietatezza, le atrocità dell'umana natura! Ha dato tutto perchè sia protetta, lei e i suoi figli, lei e le vite di migliaia, contenute nella potenza della sua mano. Bilanciarsi tra amore e dovere non è facile, bisogna sviluppare doti da equilibrista. Augusto ha provato, non sa se sarà sufficiente, ma ha provato.
Gliene sia dato atto.
Nonostante le perdite, Marcello e poi Virgilio, Ottavia, l'inseparabile Agrippa, quest'anno orribile gli ha sottratto Mecenate prima, Orazio poi. E ha perseverato. Sempre. Comunque. Per Roma.
«Non ho chiesto io di ricevere questo fardello!» urla e Giulia arretra. «Tu ti lamenti, ma hai mai pensato di non essere l'unica sofferente a questo mondo? Di quanti stiano peggio di te, condannati a una vita di stenti, a patire i morsi della fame, del freddo, della disperazione che li atterrisce un pezzo alla volta? Prigionieri di un destino che non si sono scelti, soffocati in un ruolo che non hanno voluto?!»
Incatenati a un'eredità, proiezione dell'ombra magnanima e immortale di Cesare.
«Ma proficuo di vantaggi, non è vero?» sputa con acrimonia sua figlia.
Vantaggi? Quali, quello di dover anteporre lo stato alla felicità di sua figlia? Il benessere di molti privilegiato al posto di quello della persona a lui più cara? Uccidere la propria personalità, rivestirla di gelo e marmo. Indurirsi. Il potere stronca la morbidezza di cuore e d'animo. L'ha imparato sulla sua pelle.
Assistere impotente all'affievolirsi della fiamma vitale nei suoi amici, lapidi pavimentanti gli ultimi anni.
Strizza gli occhi, ricacciando indietro le lacrime svilenti. «I fantasmi dell'animo non costituiscono alcun vantaggio.»
«Magari li ha creati tu stesso padre.»
Come se avesse deciso lui di ritrovarsi in questa situazione! Non ha tradito Cesare, i suoi ideali. Ha tradito il ragazzino fiducioso nel futuro che se la spassava con i suoi migliori amici ad Apollonia. Ha tradito il bimbo idolatrante il prozio.
Loro. È rinato nella missione di suo zio, completata da lui. Da loro. Tutti loro, la sua famiglia e i suoi cari amici.
Stanno girando in tondo, cani mordenti le loro stesse code. Inutile. Augusto le oppone le spalle, il profilo orientato al muro. «L'ora è tarda, faresti meglio a coricarti. Deponiamo qui l'ascia di guerra, non intendo proseguire oltre in questa futile e sconclusionata discussione.»
Nella notte svolazzante di pollini, pregna d'alloro e mirto, le falcate di Giulia eccheggiano rabbiose.
«Sempre distante dalla mischia, proprio come in battaglia.» mugugna, l'ubriachezza dissolta. «Agrippa diceva il vero.»
Augusto, ferito, si allontana. Meglio fingere di non avere udito.
«Buonanott-» sta per augurarle, voltandosi un poco.
Giulia, di tutta, estrema risposta, sbatte la porta. Un rumoroso schiocco di legno.
Le figlie... dolcezza e acredine dei padri. Discutere con loro è come combattere contro un minotauro. Augusto si stropiccia la fronte, esalando un sospiro esasperato. Domani mattina ne riparleranno con più distensione, a Giulia sarà sbollita la sfuriata. Spera. Mai scommettere sul sicuro con lei. Adesso ideale rifilarsela a letto.
«Nonno?»
Cinque teste, un compendio di oro e castano, gaudenti di riflessi, fuoriescono sotto il colonnato in una sinfonia frusciante di camicie da notte. Gaio, Iuliola, Lucio, Agrippina e Agrippa Postumo appuntano i loro sguardi confusi sul nonno per i due maschi maggiori giuridicamente alzato a padre.
«Che succede?» s'erge a portavoce Gaio, sicuro nei suoi dodici anni. Scolpito e ben piantato, un ritratto del suo compianto padre.
«Niente.» minimizza Augusto. Il loro battibeccare li avrà svegliati. Cavolo. I malesseri degli adulti non devono intoccare la purezza dei piccoli. «Tornatevene a dormire.»
Ubbidienti, i cinque curiosi si riavviano verso le coltri. Tutti tranne Postumo.
Postumo.
Il nome una lancia rivoltata nel cuore dell'imperatore. Onnipresente rimando alla morte di Agrippa. Onomastica ereditata dalla sua morte. Se fosse ancora in vita ostenterebbe un nome differente. Non ne ha colpa, questo vispo fuscello di quattro anni, un sosia del genitore, una somiglianza sconcertante. Non ne ha colpa sul serio. Ma ogni volta che Augusto incrocia i suoi punteruoli scuri e guardinghi si illude che Agrippa sia ritornato dai Campi Elisi.
Non riesce a sostenerlo. Non ce la fa.
«Ho detto di tornare a dormire!» lo riprende, una punta di dolore più percepibile di quanto vorrebbe.
Postumo scappa, accollandosi al corteo dei fratelli. Si maledice interiormente. Non era sua intenzione spaventarlo...
Massaggiandosi le palpebre, un sospiro rassegnato, conviene che l'unica cosa dignitosa ora è quella di andarsene dritti a letto.
«Vattene!»
Febe, una delle schiave adette alle sue cure, sbianca all'ira della sua signora, eclissandosi in un battito di ciglia.
Giulia calca nervosa i marmi pregiati, oltrepassa tendaggi impalpabili, nembi d'incenso nascenti da tondeggianti diffusori tempestati di gemme. Si butta sul letto, il ringhio compresso nel cuscino.
Sventura a suo padre, cada sulla sua casata, si riversi su tutta Roma! Non si vergogna delle sue parole. Ha pronunciato la sacrosanta verità. Perché, perché non può essere normale?! Amare, compiere quel cavolo che le pare e piace. Regole, regole, l'amore è insofferente alle regole! Ha recitato tutti i ruoli affibbiati da questa umiliante società che ti schiaccia e piega: la figlia timorosa, la sposina devota e deferente, la madre sfornante figli per lo stato, eredi al marito e al padre, dal suo grembo snodata la strada verso il futuro.
Adesso basta. Ne ha piene le rotule. Vuole, agogna, la sua libertà, finora assaporata nella breve parentesi delle festicciole e sollazzi notturni, i bagordi di una Roma scrutata dagli astri. Basta, basta.
Basta.
Picchia il materasso. La sua vita è un copione deciso da altri, l'autore suo padre. Da bambina pensava di non potersi considerare più fortunata. Aveva tutto: amici, un palazzo da principessa, una famiglia amorevole, un genitore vicino e presente nei limiti del suo ruolo. Quanto si sbagliava. Prova compassione nei confronti di quella madre sconosciuta, una completa estranea nella sua giovinezza.
Come lei vittima di un tiranno. Tiranno? Il papà? Padre, lui è padre, stemperante l'acido nella gentilezza.
Lei è il pegno alla pace di Roma.
Io sono Dafne e mio padre Apollo. Mi devasta e spezza per ricavare la sua corona di gloria. La scorteccia, squarcia il suo tronco, rompe le sue radici.
Infrange i suoi sogni.
Ciondola nel dormiveglia, emergente a tratti dal sonno, rannicchiata sul letto con l'abito da festa ancora addosso.
Papà - suo padre, è il freddo e chirurgico padre, orco, carnefice, boia legiferante nella sua esistenza - viene con le primigenie lame di luce dalle finestre. Le solleticano il viso. Mantenendo la schiena rivolta all'entrata, Giulia sprofonda nella sua apatia. Avverte il suo arrivo, la suola dei sandali sugli splendori marmorei, lo schiarirsi nervoso della sua gola. È venuto ambasciatore di pace.
Ti pareva.
«Ti... ti ho portato la colazione. Io, Livia e i bambini non ti abbiamo visto.»
Depone il vassoio zeppo della parca mensa dello ientaculum, probabilmente focacce, sano latte e miele, sul mobilio vicino.
«Giulia... ti prego, non serve mantenere il muso. Ieri sera ho... h-ho esagerato, lo so.»
Lo sa. Vorrebbe ridere. Adesso lo sa.
Augusto si accosta al suo letto, appropriandosi di un lato, giochicchiando impacciato con le mani prima di accarezzarla sulla schiena.
«Bambina mia, per favore. Tranquillizzami, facciamo pace. Sono conscio dell'impopolarità di alcune mie decisioni, ma la salvezza del futuro dipende da loro. Assicureranno una duratura pace, sia per te che per i tuoi figli.»
Giulia non smonta il suo silenzio. Gli concede un minimo. Si sposta, riposando le guance sulle sue ginocchia, le mani di suo padre le vezzeggiano i capelli.
Non sorride. Non parla. C'è la soluzione perfetta ai ladri della felicità, una punizione per questo padre o papà o come vederlo non lo sa più nemmeno lei.
Indifferenza.
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