Augusto & Giulia - a new world for you
La sessione è alle porte, dovrei studiare, massacrarmi sui libri. Invece sono qui, a combattere l'ansia che mi divora ogni volta, la paura di non ricordarsi un benemerito cazzus e di fare scena muta, scene imbarazzanti davanti ai professori, pensare che se scrivo più di una mail al professore per chiedere chiarimenti sembrerò una rompiscatole, che si ricorderà di me per questo e che se sbaglio si ricorderà di me per essere stata una cretina. Che faccio naturalmente? Scrivo one-shot sulla coppia padre-figlia del mio cuore (e ho iniziato da pochissimo i dialoghi per Acta est fabula ahahaha🥲ci metterò un'eternità già lo so, aiuto) e maledico il sistema universitario italiano che lascia languire i suoi studenti in situazioni di sterco.
Che allievi anche le vostre ansie, me lo auguro.
Roma - Idi di Sestile 725 AVC (13 agosto 29 a.C)
«Per la calma di Giunone Regina, vuoi startene ferma bambina?»
Di tutta risposta, Giulia retribuisce la sua matrigna con una linguaccia. In occasioni normali una simile sfacciataggine le avrebbe attirato una punizione di quelle con i fiocchi, bacchettate sulle mani o divieti a pranzo e cena.
Oggi non è un'occasione normale. È speciale. Fenomenale, anzi storica. Passerà alla Storia, non ha dubbi in merito!
Oggi, tredicesimo giorno del mese di sestile, al sole tiranno che picchia sull'Urbe, il suo papà ritorna ufficialmente a casa. In pompa magna, alla testa di un corteo da sogno, protagonista di un trionfo da sogno. Ha prevalso sulla regina d'Egitto e il meschino traditore Antonio, chiuso un'epoca sanguinaria e spietata, quella delle guerre civili. Roma è pronta a girare pagina, scrivente capitoli di pace.
E Giulia è pronta a riabbracciare il suo papà.
Quanto è passato? Un anno? Mesi? L'impazienza di rivederlo le ha scombinato i giorni accuratamente contati.
Si dibatte nella stretta di Livia, già truccata e preparata di tutto punto, una raffinatezza discreta, poco appariscente. Esattamente come dettano i gusti del papà. Si è fatta bella per compiacere lui, non il pubblico di Roma.
Sbuffando stizzita, la sua matrigna la ghermisce per un braccio, asserragliandola nelle ultime, frettolose, cure al suo aspetto.
«Stai vanificando tutta la fatica delle schiave...» Le raddrizza il diadema d'oro, una riproduzione ridotta di quello che le campeggia tra le trecce elaborate, sopra la capigliatura ordita dalle mani abili delle ornatrices.
«Basta!» Stanca dei ritocchi maniacali, delle mani di Livia che lisciano e sistemano dappertutto, Giulia si svincola e corre all'aperto, al peristilium irrorato di luce e baccano del viavai imperante nel complesso della domus.
Supera la sua matrigna e il suo richiamo, un grido di pura irritazione.
«Piccola-»
Piccola che? Raccogliendo le gonne, Giulia se la lascia alle spalle. Tra le colonne del cortile un pigolio lontano pizzica l'udito. Giulia respira, profumi caldi e avvolgenti, note di rosa e gelsomino e glicine. Serra gli occhi, nell'oscurità rosata delle palpebre si raffigura il suo papà di ritorno, baldanzoso nella sua armatura, premiato con tutti i paramenti e gli onori del suo rango. La prende in braccio, facendola volare.
Quanto si divertiranno! Oh, a stento controlla l'emozione. Quanto manca? La domus è in fermento, dalle prime luci dell'alba schiavi indaffarati ne percorrono i corridoi, ancelle provvedono all'abbigliamento delle loro signore, un marasma di incombenze.
Giulia riapre gli occhi, la contentezza alle stelle. Quando il papà tornerà tutto ritornerà come prima e questo vociare, questo rincorrersi di braccia sovraccariche e pulizie da terminare, sfumerà nel ricordo.
«Giulia sei pronta?»
Marcello e Druso corrono nella sua direzione da un'apertura secondaria, anche loro abbigliati nelle loro tuniche buone. Le bulle dondolano, immancabili garanzie della loro libertà di cittadini. Cittadini della Repubblica Romana, la più potente Repubblica del mondo. Il papà l'ha salvata. Beh, lui insieme allo zio Agrippa. Di nuovo il tarlo dell'attesa torna a rosicchiarla. Ma il tempo non si smuove proprio?
Suo cugino e il suo fratellastro la prendono per mano e l'allegria di Druso li contagia, iniziando un girotondo scalmanato.
«Oggi è il giorno!» canta esultante Druso, guidandoli in giravolte vertiginose. «È il giorno! Il giorno!»
«La mamma dice che potrò assistere al trionfo in sella a uno dei cavalli trainanti il cocchio dello zio!» Giulia pensava di non riuscire a contenersi, ma Marcello la supera. Suo cugino sembra sul punto d'esplodere d'emozione da un momento all'altro. Stringe tenacemente la sua mano. Faville d'incontaminata felicità brillano negli zaffiri di Marcello. «Mi farà cavalcare!»
«Sembrerai un condottiero... » sospira trasognata Giulia, regalandogli un bacio sulla guancia, il bacio di una punzella indifesa al suo salvatore.
Marcello s'infiamma di rosso, a bocca asciutta, e sbarrata, come un merluzzo.
«S-Sì...»
La zia Ottavia s'infila nel loro idillio, frenando il girotondo. «Bambini? Siete pronti, è ora di andare.»
Ora di andare! Ora, proprio ora. Adesso. Giulia si lascia andare a un trillo euforico, trotterellando dietro Druso e Marcello. La zia condivide il suo entusiasmo, una carezza sui boccoli.
Monta sulla portantina, Livia e Druso i suoi accompagnatori. La sua matrigna l'avverte di non scostare le tendine. Il popolo godrà della loro visione solo durante la sfilata, sopra la pedana allestita per loro. Non prima.
«Dov'è Tiberio?» Ci sono solo lei e il suo fratellastro su quell'aggeggio rettangolare ondeggiante, un vascello su onde di ciottoli e vele di seta. Quella che li precede ospita la zia, Marcello e Antonia Minore, e il carico prima ancora trasporta le altre sue tre cugine. Dello scorbutico primogenito di Livia non ne ha ravvisato traccia. «Non viene?»
Livia la inchioda al suo posto, stroncandole il virgulto di curiosità. «Tiberio parteciperà al trionfo cavalcando il destriero alla destra di tuo cugino.»
Anche lui onorato con un ruolo in primo piano? Ma non è Marcello!
«Come mai? Lui è solo-»
«Incarnazione del futuro di questa famiglia tanto quanto Marcello.» la rinbecca livida Livia, le unghie torturanti un lembo della palla, trinato d'oro. «O lo neghi?»
Giulia non retrocede, sfidandola con lo sguardo. «Marcello diventerà l'erede di papà.» Ancora sta cercando di comprendere perché non possa maneggiare lei le redini del potere. Il papà chiarisce spesso come le sue doti oratorie farebbero rivoltare nella tomba il magnifico Cicerone. «A meno che non gli nasca un figlio...» Nel dirlo, la conclusione volontariamente sospesa, punta gli occhi sul ventre deserto della matrigna, un tempo sede del fratellino mai arrivato.
Livia si morde la lingua, più purpurea di un rotolo di Tiro, e sull'angusto spazio della portantina, e un confuso Druso, scende il silenzio.
Gli schiavi s'arrestano in un'arteria principale, popolosa d'affluenza e rami sventolati. Giulia si persuade d'essere capitombolata in un sogno, una leggenda dai contorni surreali e favolosi.
Rami di palma e festoni si rincorrono nell'oceano di folla, una massa variopinta invadente le strade, rubante angoli, persino i più nascosti e azzardati. Romani che s'arrampicano ai basamenti, intorno ai plinti, sgominano, spintonano, scandiscono il nome di suo padre, volante e rimbalzante di bocca in bocca. Spodestano le bancarelle, i mercanti, osannano la sua gens. Amano suo padre. Venerano la sua famiglia. Celebrano la pace finalmente instaurata.
Pelle d'oca si rizza su Giulia, paralizzandola, il respiro intrappolato. L'amore del popolo, l'amore di Roma, la sta investendo, la inebria, scombussolandola. Non ha mai pensato, o provato, una sensazione simile. Ritrovarsi al centro dell'universo.
La sua famiglia al centro dell'universo, giacché Roma è l'universo.
E, siccome il cuore di Roma combacia con la figura di suo padre e lei impugna le chiavi di quel cuore, al centro di quel cuore, ne si può dedurre che al centro di Roma ci sia lei. Lei. Amata e riverita.
Come una principessa.
Fiammante d'orgoglio, cerca di non cadere nelle allettanti distrazioni lungo il percorso, mantenendo il passo alle costole di Livia e della zia. Strano. La pedana li attende nella direzione opposta. Dove si stanno recando? L'arco, ridente di marmo e fregi e drappi pendenti, le inghiotte nella sua ombra.
La risposta la sorpende, issandola da terra, non appena lei si accanisce su di lui in un temporalesca cascata di baci e abbracci.
«Zio Agrippa!»
Nei retroscena del corteo che avverrà da qui a a poco lo zio Agrippa si assicura che tutto stia procedendo secondo i piani. I soldati sono disposti in ranghi ordinati e dritti, carri strabordano di mucchi di chincaglierie e stranezze egiziane, reperti della soppressa civiltà dei faraoni. Un baldacchino protegge dai raggi una replica sorprendentemente realistica della morente regina Cleopatra, il corpo laccato d'oro colto dagli spasmi dell'agonia, un braccio cascante e un altro intorno alla serpe che le si accanisce sul seno.
Sono tre bambini - di cui due giudicherebbe suoi coetanei - a destare la sua attenzione. Pesanti catene ricavate dall'oro zecchino li immobilizzano, dipartenti dal cocchio anch'esso d'oro e guarnito di rifiniture e gemme sopra il quale il papà entrerà in scena. Marceranno anche loro? Sono diversi eppure simili, sole e luna. Velata di scure tonalità notturne lei, uno spicchio arcuato sopra la testa, una mezzaluna d'argento, capisce. Un disco pieno tondeggiante sorge dai boccoli arruffati di lui. Il piccolino veste abiti tradizionali egiziani, lino e occhi truccati e un diluvio di gioielli.
«Sei cresciuta.» rileva lo zio Agrippa riponendola a terra, immagine del generale vittorioso nella sua armatura, la cresta dell'elmo accarezzata da un refolo di vento. Abbraccia Livia e Ottavia, scompiglia amichevole le teste dei ragazzi. «Il macello avrà inizio tra poco, vi conviene prepararvi.»
Di già? Manca ancora l'atteso degli attesi!
Ottaviano compare e concentra gli sguardi di chiunque. Giulia sgrana gli occhi, esterrefatta. Quello è il suo papà? Il viso colorato del rosso saturno dei trionfatori, uno schiavo reggente la bulla e la corona d'alloro alle sue spalle. Stando alla tradizione gli sussurrerà di non lasciarsi montare la testa dal fasto, dalla magnificenza. Rimane un uomo. La sua corazza, combinata a pterugi e mantello svolazzante, in contrasto con la corporatura esile, gli infonde un'autorità, un'aura di superiorità, su chiunque che risulterebbe impossibile non venirne sedotti.
Un conquistatore di cuori, nonno Cesare rinato.
«Papà!»
Le sue previsioni erano esatte. Ottaviano l'affera, la lancia in aria, Giulia vola e ricasca nelle sue braccia, ridendo in accordo con il suo papà. Il mondo si cancella, svanendo. Papà si sporge a baciarla sulla gota, attento a non sporcarla con l'impataccata maschera rossa.
«La mia Piccola Roma... ma guardati un po', ti lascio un minuto e ti rivedo signorina. Mi sei mancata da morire.»
Giulia si profonde in un abbraccio, lo cinge al collo. «Anche tu papà, tanto, tanto, tantissimissimo! Adesso non andrai più via, vero?»
«Mai più bimba mia.»
«Mai, mai e poi mai?»
Un raggio di sole attraversa il ghiaccio degli occhi di Ottaviano. Un raggio scaturito dalla sua presenza. Suo padre sorride. «Te lo giuro. Roma sarà in pace d'ora in poi. Vivrai in pace, prego che non conoscerai altro.» Si rivolge ai presenti, familiari e amici. «Voi tutti non conoscerete altro che florida, abbondante pace. Una prosperità degna dell'età di Saturno. È tempo di chiudere le porte.»
Le porte del Tempio di Giano! Giulia sa - e il suo precettore le ha mosso i complimenti per essersi informata - che sono state serrate solamente al tempo di Numa Pompilio, il secondo re. Secoli fa! La pace non ha mai regnato veramente a Roma da allora.
Comincerà da oggi, grazie al suo papà.
«Fratello.» pone Ottavia con fare timido. «Quei bambini sono-»
«Sì.» Diretto, mentre ricala Giulia ai suoi piedi.
Lei aggrotta le sopracciglia. Chi sono? Provengono dall'Egitto, la zia li conosce?
«Sono bambini, non trofei.» La zia impazzisce per bambini di qualsiasi tipo, loro avvocata. «Susciteresti solo compassione esponendoli.»
Ottaviano sale sul carro, lo sguardo remoto. Giulia scova Marcello e Tiberio in sella ai maestosi purosangue bardati con briglie preziose. Suo cugino la saluta, un sorriso radioso. Il maggiore dei suoi fratellastri la colpisce poco, il suo solito grugno musone.
«Potevi consigliarlo alla loro madre.» Il papà schiocca le redini, lo schiavo sorregge la corona e la bulla. Un condottiero in fieri. «Prima che decidesse di abbandonarli al loro destino.»
Ottavia non demorde, rincorrendo lenta il cocchio. «E quale sarebbe il loro destino?»
La voce di suo padre si disperde nel boato della folla, nelle odi giubilanti, scuotenti rami di palma e d'ulivo, ritratti di Venere, dea loro matriarca, nella pioggia di petali. Giulia s'aggrappa alla gonna della zia.
«Quello di finire nelle tue cure!»
Seguono tre giorni di festa, di banchetti strepitosi, di cerimonie solenni e svaghi.
Tiberio guida una torma di giovani aristocratici nel lusus Troiae nel Circo Massimo volti a commemorare la dedicazione del Tempio del Divo Giulio, guizzando su un cavallo nerboruto insieme a una dozzina di altri ragazzi nobili. In nome di Marcello il papà distribuisce monete ai bambini meno fortunati. Giochi gladiatori inaugurano nuove arene, nuovi teatri. Si brinda, si canta, si festeggia. Cosa? La pace ritrovata, la fine delle guerre, la minaccia dissolta all'orizzonte.
Tre giorni stupendi, ma durante i quali Giulia riesce a ritagliarsi assieme al papà meno di un secondo libero. Improvvisamente è l'uomo più ricercato di Roma. Senatori, plebei, tribuni: chiunque gli sottopone questioni, problemi, battute, spartisce con lui e famiglia desco e vino. Non ha un istante di pace il suo povero papà.
Stasera è diverso.
Corrompendo i pretoriani di guardia con la sua arma vincente, enormi occhioni dolci, Giulia s'intrufola nel calidarium. Volute torride s'arricciano verso l'alto, evaporando dalla vasca. Immerso nei marmi ustionanti - contro i quali anche Giulia è costretta a infilarsi gli zoccoli ciottolanti sulle piastrelle - Ottaviano si rilassa, steso contro il bordo, reclinando la nuca bionda.
Giulia s'accovaccia alla sua altezza, ridacchiando birbante, i palmi coprenti gli occhi del papà. L'umidità le appiccica la veste da notte alla pelle.
«Mia Piccola Roma?» indovina Ottaviano, un sorriso emergente alla sua nomina.
Giulia gli toglie le mani, incrociando, voltato il papà, un paio di occhi oscurati dalla stanchezza. Spossa davvero così tanto la guerra?
«Stasera hai del tempo per me?» domanda candida, nutrendo una speranza.
Una mano bagnata, raggrinzita e arrossata dalla permanenza in acqua, le sfiora la guancia. «Sono stati tre giorni folli e ti sarai sentita trascurata, me ne rammarico. Ma questa serata sarà dedicata interamente a te, te lo prometto.»
A lei. Ripiomba all'amore da capogiro che l'ha accanita nelle strade di Roma. Tutti amavano la sua famiglia. Anche lei. Come una principessa.
«Mi racconterai una storia.» impone lei, un pizzico di superbia, dato dall'avere il papà intorno a un dito.
«Come desidera la mia signora.» Le imprime un bacio sul dorso della mano prima che lei esca, rifugiandosi tra gli aerei tendaggi del baldacchino, nella cubicula di suo padre.
Il lucignolo tremola, affrescando le pareti in una farsa di luci e ombre. Ottaviano fuoriesce dal bagno lavato e fresco, il pallore perenne levigato d'oli. Giulia si diverte a contare i segni punteggianti l'epidermide delicata del suo papà, così sensibile sia al caldo che al freddo. Assomigliano a lentiggini, qualcuno ha messo in giro che la loro disposizione ricordi le stelle dell'Orsa. Non si è mai avvicinata tanto da verificarlo.
Cambiato in indumenti più sobri, convenienti al riposo notturno, il padrone dell'Urbe, del mondo, sotto ogni aspetto fuorché di annuncio ufficiale, la raggiunge, imbaccucandosi stretto a lei tra le coltri leggere.
«Quale storia gradiresti mia Piccola Roma?»
Ci pensa sopra, arrossendo all'epiteto, perché da tre giorni in avanti lo associa all'opulenza sublime, alle folle oceaniche trasudanti amore. Per la sua famiglia, lei una principessa in tutto e per tutto.
«Dimmi cosa farai adesso.» Si rannicchia nell'abbraccio del papà, scivolando nel suo di amore. Gli esamina le dita, aprendone il ventaglio. L'anello con il timbro di Cesare non se lo leva mai. «Arriverà definitivamente la pace?»
«L'ho promesso.» Il palmo di Giulia aderisce al suo. «E manterrò tale promessa. Roma l'agogna, l'ha implorata. Se gli Dei ci sostengono agiranno con ogni strumento a loro disposizione affinché questo sogno si realizzi.»
«E come sarà la pace?»
Si coricano, Giulia prende a cuscino il petto del padre. A ninnananna il battito del suo cuore. Papà è qui finalmente. È a casa. Da lei. Dalla sua principessa.
«Come sarà...» si lascia trascinare Ottaviano, perforando con gli occhi della mente il telo del baldacchino e soffitto, in alto fino al cielo. «Giustizia ed equità all'ordine del giorno, raccolti fertili, guadagni lucrosi. Mari di grano dorato e mari calmi, navigabili. Mai più un romano alzerà la spada contro un altro romano. Le città si arricchiranno di monumenti e bellezze, le arti rinasceranno. Fioriranno ovunque benessere e unità. Sembro lo zio Mecenate nelle sue colorite utopie, lo so.» Fatto inconsueto alla luce del giorno, Ottaviano ride. Ma la notte non è il giorno e nasconde bene i suoi segreti. «Il grande Cesare auspicava, sognava piccola mia, sognava questo.»
Dalla sua bambina non si muove un lamento. Oh, s'è addormentata. Starà sognando il mondo in pace per cui hanno lottato e lotteranno? È sfiancante, Ottaviano sospira e se ne rende conto, ma, alla fine di tutto, gratificante.
Sua figlia conoscerà unicamente la pace.
Roma porterà a compimento le qualità della sua Giulia: acume, spirito, meraviglia. La bacia sulla fronte, soffiando sulla lucerna. Le tenebre s'impadroniscono della stanza.
«Renderò il mondo un posto migliore per te mia Piccola Roma.»
Sbadigliando, per la prima volta da molte notti, Somnus lo rapisce serenamente.
Accanto alla sua bambina.
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