Capitolo 8

Schiudo un occhio. Poi l'altro.
Li sento pesanti, sto facendo una fatica tremenda per costringermi a non lasciar ricadere le palpebre. Giro lentamente la testa verso il comodino e mi prende una fitta tremenda alle tempie.
La sveglia digitale segna le sei e un quarto.
Non ho dormito molto, l'ultima volta che l'ho guardata erano le quattro e undici minuti, poi, il vuoto.
Faccio scivolare la mano sul lenzuolo in cerca del telefono. La sensazione dello spazio vuoto e freddo che trovo mi fa salire un brivido lungo la schiena.
Non era un brutto sogno, Daniele non è qui dove dovrebbe essere, non è qui affianco a me.
Il sonno abbandona il mio corpo all'improvviso alla brutalità di questo pensiero.
Mi siedo a gambe incrociate sul letto e recupero il cellulare che, dormendo, ho spinto più lontano del previsto. Mi ricorda che oggi è il 15 Luglio.
Alle undici ho appuntamento allo studio del dottor Lodi e, se non voglio arrivare in ritardo anche questa volta, mi conviene alzarmi e cercare di esser fuori di casa per tempo.
Ormai sono cinque giorni che non metto piede oltre queste mura.
È estate, le temperature sono rientrate nelle medie stagionali e si stanno susseguendo una serie di giornate stupende, ma io il buio c'è l'ho dentro, non lo riesco quasi a sopportare il vigore del sole. Chissà che avrà pensato, la signora Tommasi, nel non vedermi più percorrere di corsa il pianerottolo per poi risalire ansimante sei piani, con le sue borse della spesa. Chissà chi l'avrà aiutata.
Chissà se avrà trovato qualcuno, poi.
In caso contrario sarà stesa a letto con la schiena rotta, o magari morta di fame rassegnata al fatto che da sola, con le sporte, proprio non ce la può fare.
Scuoto la testa riemergendo dai miei assurdi pensieri.
Mi trascino fino alla cucina avvolta nella penombra, sopporto talmente poco l'energia che trasmettono queste giornate che, da giorni, nemmeno alzo le tapparelle. Le ho lasciate appena in fessura, giusto da far entrare la luce necessaria per non dover accendere quella artificiale.
Lo sguardo mi cade direttamente al lavabo. È pieno di piatti, ce ne sono una montagna. È paradossale, perché effettivamente non ho mangiato molto ultimamente, ma in ogni caso sono riuscita ad accumulare una montagna di stoviglie incrostate.

Fantastico.

Apro la dispensa disgustata da me stessa e noto senza stupore che è finito pure il caffè. È finito praticamente tutto a dire il vero, è quasi vuota, come anche il frigo.
Devo darmi una regolata, se continuo così finirò ad avere una casa peggiore di quelli del programma di Real Time, e questo senza aver alcuna patologia che mi porti ad accumulare oggetti in modo ossessivo e compulsivo.
Richiudo lo sportello lasciandolo sbattere e passo direttamente alla fase successiva, la doccia. Magari l'acqua ancora non me l'hanno staccata.
Rimango sotto il getto di acqua gelida per quasi quindici minuti. Ora sto meglio.
Mi infilo nell'accappatoio color salmone e dirigo lo sguardo verso lo specchio.
Ho due occhiaie che manco dopo tre giorni di alcool senza dormire, comunque, vabbe'. Apro decisa la trousse dei trucchi che non tocco da giorni e comincio l'impossibile restauro.

Fa caldo.Si, oggi fa decisamente caldo.

Sono uscita di casa in largo anticipo, calcolando ogni possibile variabile che avrebbe potuto farmi perder tempo, ma alla fine non è accaduto niente. Non ho nemmeno incrociato la signora Tommasi e questo, ad essere sincera, mi è sembrato strano, ma poi ho concluso che, probabilmente, essendo stata in anticipo, il destino ha voluto nuovamente beffarmi. Ma si!
Con l'occasione, mi sono fermata a far colazione in una delle pasticcerie migliori del centro. Mi sono viziata proprio, cornetto crema e Nutella, cappuccino e spremuta all'arancia. L'ho stracciata, lo so.
Piena e pesante come non mai sono tornata alla fermata e ho aspettato il famoso pullman che conduce alla zona industriale. Per un attimo ho ripensato allo strano tipo che ci ho incontrato l'altra volta, quello di cui non riuscivo a reggere lo sguardo.
Ho immediatamente scacciato il pensiero ridendo di me stessa per la figura da imbecille che ho fatto e, alzando gli occhi, ho finalmente visto l'autobus numero 20 arrivare. Oggi era pieno.
Ho imprecato mentalmente e sono salita, schiacciandomici dentro assieme al resto del bestiame.

Finalmente sono scesa nuovamente a terra.

Sono stati venti minuti di viaggio interminabili. A un certo punto ho creduto di svenire, ho cominciato a sudare freddo e la testa girava forte mentre mi saliva la nausea. È stato terribile.
Cerco di riprendermi ma mi è difficile, oggi fa veramente caldo.
Cammino per il lungo vialone che conduce all'edificio Europa annaspando, la strada non ha nulla che la ripari dal sole cocente e si schiatta dal bollore dell'asfalto.
Stringo i denti e proseguo, fino all'enorme portone specchiato che, anche oggi, riflette un'immagine di me che mi fa atterrire.
Pigio il pulsantino del campanello, il terzo a destra partendo dall'alto, e attendo che l'enorme specchio davanti a me si apra sull'enorme corridoio di marmo.

Magari sto giro funziona pure l'ascensore.

Niente da fare.
Quattro piani a piedi, pure stavolta.
Arrivo alla fine delle scale stremata. La porta blindata dello studio medico, stranamente, è già aperta.
Entro nella grande e moderna sala d'attesa e, questa volta, la sorridente ed esile segretaria è seduta dietro alla sua scrivania e mi accoglie raggiante.

-Buongiorno signora Greco!- esclama, aumentando se possibile la porzione di dentatura in vista.

-Buongiorno.- rispondo, con molta meno enfasi della mia interlocutrice.

-Il dottor Lodi la riceverà quasi subito- dice -Intanto si accomodi pure-

Siedo nuovamente su una delle comodissime sedie lì affianco, e aspetto.
Ci sono altre sette persone, oltre a me. Dev'essere uno studio d'associati, perché se la segretaria ha detto che ho poco da aspettare, significa che di tutte queste persone, almeno qualcuno è destinato ad altro medico.

-Signora Greco?-

Alzo lo sguardo in direzione della voce che mi chiama.

-Venga!-

Seguo l'esile ragazza fino al fin troppo spazioso studio del dottor Lodi.

Strano mi visiti qui, l'altra volta non ho visto niente che ricordasse uno studio medico!

-Prego, signora Greco. Si accomodi. Il dottore arriva subito-

-OK. Grazie.-

La segretaria mi regala l'ennesimo falso sorriso, poi gira i tacchi e torna sculettando verso la sua scrivania.
Mi accomodo nell'ufficio. Fa veramente freddo qui dentro, mi sfrego le braccia nel tentativo di scacciare la pelle d'oca.
Il dottor Lodi entra, sempre dalla porta laterale, dopo appena due minuti.

-Signora Greco! Prego, mi segua.-

Mi alzo dalla sedia non troppo comoda dell'ufficio troppo spoglio e lo seguo, attraverso la porticina da cui solitamente lui appare.
Entro finalmente in quello che, a tutti gli effetti, appare come uno studio medico.
Accanto al lettino, per l'occasione, è stato posizionato uno strano strumento.
Ha uno schermo, una tastiera e poi un filo abbastanza lungo con all'estremità uno non identificato aggeggio. Credo sia uno di quegli strumenti che usano per fare le ecografie.
Anzi, lo so per certo, ma ne ho talmente tanta paura che fingo di non saperlo.

-Venga signora Greco. Si accomodi.-

Se non la pianta di chiamarmi signora, giuro che gli attorciglio il filo attorno al collo fino a che non gli vedo schizzare gli occhi fuori dalle orbite.

Storgo il naso trattenendomi dentro l'istinto omicida e mi stendo sul lettino.

-Bene. Ora scopra pure la pancia.- dice, mentre recupera da sotto il misterioso strumento un flacone bianco.

Poi, sempre serioso, me lo preme contro la pancia, lasciandovi fuoriuscire un liquido.

È gelido.

Sento un brivido, come un pizzicore, ma poi lui afferra lo strano aggeggio attaccato al filo e comincia a muovermelo su e giù per il ventre.
Sullo schermo al mio fianco appare un'immagine.
Non capisco molto, è tutta una massa informe grigia su di uno sfondo nero.
Il dottor Lodi osserva lo schermo, assorto, mentre, con la mano, continua ad agitare l'affare dalla forma strana.

-Bene.- esclama, ad un certo punto. -Come avevo previsto lei è già entrata nella settima settimana. Quindi, era alla sesta la settimana scorsa.- sottolinea, rimarcando il fatto che ci aveva centrato. -Le beta non mentono.- afferma poi, lasciandosi scappare un sorriso beffardo.

Osservo attentamente l'immagine riflessa davanti a me.
Non ne capisco molto, ma mi sembra senza troppi dubbi di scorgere una testolina e si, ci sono pure quattro pallini che il dottore dice essere due manine e due piedini.
Il cuore mi batte forte, mi sento strana, ma non so definire come.

-Allora Signora Greco, ora è giunto il momento- afferma deciso il dottor Lodi, pigiando su di un enorme bottone.

E in un attimo il tempo si è fermato.
In un attimo l'ho sentito, forte e fiero come un cavallo in galoppo.

TUM-TU TU TUM - TUM -TU TU TUM

È il battito del cuore del mio bambino.

La melodia più bella di sempre.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top