Capitolo 63

Il serioso medico si inarca con la schiena fino quasi a scomparire sotto il temuto macchinario, per ricomparire dopo qualche secondo con in mano il solito flacone che, ormai so bene, contiene il famoso liquido freddo e gelatinoso già sperimentato nello studio del dottor Lodi.
Dopo avermi rivolto una fuggente occhiata che non sono riuscita bene a decifrare, capovolge il barattolo all'altezza della mia pancia e lascia scivolare su di essa una modesta quantità di prodotto, provocandomi un brivido fulmineo che mi fa rizzare la pelle. Poi, sempre con la stessa espressione austera, armeggia per qualche istante con il sinistro macchinario, recupera l'aggeggio attaccato al filo che permette di vedere la mia piccola, e me lo punta come di consueto sul ventre, cominciando a farlo scorrere lentamente avanti e indietro.
Il modesto schermo posizionato davanti a me si accende di colpo.
Appena qualche attimo e l'immagine che mi è apparsa davanti diventa chiara.
La mia piccola è lì, la vedo con il suo fascio di luce che illumina fiera il buio circostante di quello che a ora è il suo habitat. Dalla minuscola ma già ben designata cassa toracica spunta fiero un galoppante cuoricino, lo guardo pulsare imponente, pare quasi voler uscire dal monitor.
Osservo di sottecchi il silenzioso dottore senza però mai staccare veramente gli occhi dalla mia meraviglia. Pare essersi rilassato, pure lui. Non credo sia solo una mia impressione.
Pigia con forza qualche altro tasto impegnato in operazioni a me sconosciute, e poi, lascia che si liberi l'incanto.

TU TU TU TUM TU TU TU TUM

È lui.
Forte e vigoroso.
Il battito del cuore della mia creatura. La melodia più bella di sempre.
L'anima rientra con un balzo e comincia trepidante a danzare. Non posso descrivere ciò che provo in questo momento, questa emozione è talmente potente che non si lascia sfiorare dalle parole. Sarebbe come prendere un'opera d'arte dall'indiscusso valore e credere di avere il diritto di modificarla a proprio piacimento.

-Eccolo!- esclama emozionata la rossa infermiera, accarezzandomi istintivamente una guancia -Sta benone, hai visto?- gongola poi, rivolgendomi il sorriso più rassicurante che io abbia mai ricevuto.

-Bene- asserisce in tono fin troppo formale l'uomo in camice bianco, spegnendo di colpo quello che è diventato il macchinario più interessante del mondo -Come ha potuto vedere lei stessa, il feto sta bene, il battito è regolare e non ho visionato alcuna anomalia importante- si schiarisce la voce, sedendosi alla scrivania -L'unica cosa che posso dirle è che ha la placenta un po' bassa. Ma ho letto che già sta assumendo ovuli di progesterone, quindi direi che associando la terapia ad un moderato riposo già abbiamo arginato il problema- conclude, cominciando nel frattempo a scrivere il suo referto nel computer.

-O..ok- ribatto io ancora confusa, tirandomi piano su dal lettino e pulendomi quindi i residui di gelatina dalla pancia con un pezzo di carta gentilmente passatomi dalla riccia e materna infermiera -Qu..quindi mi sta dicendo che la mia gravidanza non è a rischio?- chiedo quindi con voce soffocata, avvicinandomi con passo insicuro alla scrivania.

-Né più e né meno di qualsiasi altra gravidanza- controbatte lui continuando a battere sulla tastiera del computer e non rivolgendomi nemmeno di striscio lo sguardo.

Ah. Illuminante

-O..ok- rispondo dunque, fingendo di sentirmi rincuorata almeno in parte dalle sue ambigue parole -Quindi posso stare tranquilla? Continuo la terapia consigliata dal mio medico e sono a posto così?-

-Esatto, Signorina Greco- gira la testa come se si fosse finalmente accorto di avermi davanti e aggrotta la fronte -Non può fare altro- mi comunica poi, gettandomi ancora più a fondo nel mio mare di dubbi e lanciando la stampa del fin troppo elaborato referto appena stilato.

Una mano mi si posa delicatamente sulla spalla -L'importante è che tu stia tranquilla Melissa- credo che la presenza di quest'infermiera sia di fondamentale importanza per il mio equilibrio psichico, ora. Già solo il fatto che mi stia chiamando teneramente per nome dimenticando la formalità significa tanto -I piccoli sentono tutto dalla pancia, soprattutto lo stato d'animo della loro mamma- m'informa, accarezzandomi con gli occhi.

-Ecco fatto- se ne esce il medico porgendomi le carte appena stampate -Queste le consegni giù al pronto soccorso. Ora la saluto, a breve tornerà l'infermiera che l'ha accompagnata qui e le darà il passaggio per il ritorno. Arrivederci- quindi, senza lasciar spazio a nessuna eventuale mia altra domanda, prende e se ne va.

-Ti saluto anch'io, Melissa- mi comunica la donna riccioluta regalandomi l'ennesima fugace carezza -Ti faccio i miei più sentiti auguri per la tua gravidanza- mormora dunque, mimando il gesto di saluto con la mano e lasciando a sua volta la stanza.

La giovanissima signorina con la divisa verde che mi aveva accompagnata in reparto poco prima torna galoppante dopo qualche minuto sempre provvista di sedie a rotelle.

-Eccoci qui, signorina- squilla trionfante -Possiamo andare- mi sta porgendo con calore la seduta infernale.

Vorrei dirle che ora la visita l'ho fatta, che il medico ha detto che tutto sommato sto benone e che quindi, per questa volta, potrebbe lasciarmi tranquillamente raggiungere il piano inferiore con le mie gambe. Ma non lo faccio. Non vorrei mai che se ne uscisse con qualche altra frase contenente chissà che strano messaggio pendente fra le righe. Oramai leggo il subliminale in ogni cosa e parola.
Partiamo alla volta del pronto soccorso con la medesima modalità del ritorno. Lei che traina silenziosa l'aggeggio a due ruote cigolante ed io che mi sento soffocare e schiacciare dal prepotente e oserei dire macabro mutismo che regna, soprattutto la notte, fra questi corridoi.
Una volta arrivate in prossimità del triage comincio a sentirmi leggermente meglio. So che a breve sarò di nuovo fuori di qui e potrò tornarmene a casa decisamente più leggera di quando sono entrata.

-Bene- mormora la poco affabile infermiera giunte in prossimità del corridoio adiacente gli ambulatori -Attenda qui, la chiameranno a breve. Arrivederci- mi lascia su un angolino sempre seduta sul trabiccolo a rotelle e, sculettante, se ne va.

Dopo appena dieci minuti, con le carte di dimissioni finalmente fra le mani, mi lancio fuori dall'ambulatorio a passo spedito, frugando nel frattempo nella borsa alla ricerca del cellulare. Nella foga di farmi liberare ho dimenticato di chiamare il taxi.
Raggiungo in pochi attimi la grande porta automatica che mi permette di guadagnare l'uscita e, come rialzo lo sguardo con il mio Samsung finalmente recuperato, sbatto inaspettatamente contro due occhi familiari ma irriconoscibili.
Andrea mi guarda stupito o forse è semplicemente stralunato, non riesco a capire. Ha gli occhi viola, crepati, iniettati di sangue. È terribilmente pallido e non avevo mai visto due occhiaie così profonde, nemmeno ultimamente sul mio viso.

-Melissa...- sussurra con l'ultimo filo di voce che evidentemente gli è rimasto.

Poi, senza riuscire a dire un'altra sola parola, esplode in un pianto disperato che non tenta minimamente di soffocare e mi getta, trasferendomi tutta la sua afflizione le braccia al collo, lasciandosi poi sprofondare nella mia spalla ed inondandola di infinite lacrime.

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