Capitolo 61
Apro gli occhi di colpo e, dopo un attimo di totale confusione, tiro il sospiro di sollievo più sentito della mia vita. Il salva slip è pulito.
Le labbra si piegano in una smorfia di rilassamento, strappo un paio di quadratini di carta igienica, la uso per asciugarmi e mi alzo finalmente in piedi.
Il cuore fa un capriola nel petto e il sangue si gela di colpo.
La carta si è macchiata. Si è macchiata di rosa.
Con il braccio ancora teso nell'intenzione di gettarla rimango basita a fissarla per un minuto buono.
Non può essere normale. C'è qualcosa che non va
Avvicino tremante il pezzo di cellulosa incriminato e lo analizzo nel dettaglio.
Le macchioline sono due, appena visibili, di un rosa molto tenue.
Non ho perdite. Se avessi perdite avrei macchiato il salva slip. Forse mi sto facendo solo viaggi inutili con il cervello, forse ha ragione il dottor Lodi, forse sono particolarmente sensibile e facendo la visita si è rotto qualche capillare.
Ma è normale che i capillari perdano per così tanto tempo? Non dovrebbe già essere tornato tutto a posto? Ho preso regolarmente gli ovuli come consigliato dal medico, sono giorni che sto praticamente sdraiata a letto in assoluto riposo, eppure continuo a sentirmi terribilmente stanca, spossata, sfibrata.
È inutile, non ci riesco, non riesco a stare tranquilla.
Forse dovrei andare fino all'ospedale, così, anche giusto per dare una controllata e togliermi ogni dubbio.
Respiro lentamente, getto il pezzo di carta nel water e tiro l'acqua, mentre un fremito colmo di angoscia e terrore mi attraversa dentro. Ho paura.
Ma questa non è la solita paura, non è nulla che io neanche lontanamente conosca.
È quella sensazione di sentire la terra tremare forte sotto i tuoi piedi, forte al punto da arrivare ad aprirsi all'improvviso, formando una voragine pronta ad aspirarti al suo interno per non lasciarti più. È quella sensazione di sentirsi persi, persi al punto che nonostante si cerchi con ogni risorsa un qualcosa su cui potersi aggrappare si scopre poi di essere circondati solo da lastre di ghiaccio, scivolose e avverse lastre di ghiaccio. È quella sensazione di sentirsi vuoti, vuoti al punto da riuscire a sentire solo l'eco affannato del proprio respiro, vuoti al punto da pensare di non esistere neanche più.
Trattengo il respiro per qualche secondo poi, nel girarmi per uscire finalmente dal bagno, finisco col scontrarmi con la mia immagine stremata riflessa sullo specchio.
Sono bianca come il marmo del lavandino e i solchi viola sotto gli occhi paiono ancor più accentuati dal risalto che dona loro il pallore.
Non mi sono pesata in questi giorni, ma potrei scommetterci che sono calata minimo di un paio di chili, perfino le ossa penso si siano assottigliate.
Mi prendo la testa fra le mani, inspiro lentamente, getto fuori l'aria nel disperato tentativo di far così spazio dentro di me per giungere ad una soluzione e mi avvio spedita verso la camera da letto. Devo vestirmi e raggiungere l'ospedale prima che sia troppo tardi, altrimenti rischio di perdere l'ultimo tram utile e il taxi già è previsto per il ritorno, sempre meglio risparmiare.
Non lo so se sto esagerando, ma non mi sento tranquilla e un controllo non potrà di certo far male.
Apro l'armadio, infilo una tuta pressapoco decente, una pettinata veloce e sono pronta.
Respira Melissa. Coraggio. Andiamo
Questa sera tira un piacevole venticello fresco, l'ideale per avere almeno l'illusione di potersi riprendere.
Raggiungo la fermata di buon passo puntando diretta al tabellone degli orari, non sono del tutto sicura che ci siano ancora corse e, considerati gli avvenimenti dell'ultimo periodo, so che sulla buona sorte non ci posso di certo contare.
Scorro velocemente con gli occhi fino alla fascia serale non sostenuta da buone speranze ma, inaspettatamente, constato con immenso piacere che entro una decina di minuti il tram dovrebbe essere qui. Tiro un mezzo sospiro di sollievo e mi lascio scivolare sulla panchina della pensilina, chiudendo lentamente gli occhi.
Non mi era mai davvero pesata tanto la solitudine, non avevo ancora sentito così prepotentemente la mancanza di una spalla su cui poter sprofondare.
Non avevo mai avuto tanta voglia di gridare.
Mi stringo fra le braccia, un brivido di freddo mi attraversa da capo a piedi, il timore di essermi sopravvalutata torna imponente a farsi sentire. Forse non sono abbastanza forte per affrontare tutto questo da sola, forse ho solo mentito a me stessa nel volermi convincere che mi posso bastare.
Accarezzo dolcemente la pancia mentre una lacrima comincia a scegliere silente il suo percorso rigandomi la guancia.
So che è difficile ma da qualche parte la forza la devo trovare. Questo piccolo esserino che cresce nel mio ventre conta su di me, questa è una battaglia da cui non mi posso per nessuna ragione congedare.
Il tram appare finalmente all'orizzonte e, dopo qualche secondo, mi si ferma davanti permettendomi di entrare.
Oramai sono quasi le dieci e il mezzo è praticamente vuoto, faccio un paio di passi e mi siedo sul primo posto utile perdendomi poi con lo sguardo, sovente, fuori dal finestrino. Oramai è buio, ciò che passa all'esterno difficilmente si fa catturare, volente o nolente sbatto imperterrita con il riflesso di una Melissa a me sconosciuta e il cuore davanti a quest'immagine non può che sobbalzare.
Giro la testa cercando qualcosa su cui concentrarmi, ma la spettralità dei sedili vuoti accompagnata dall'impercettibile stridore delle rotaie dona all'affanno di questo momento ancora più clamore. Sento la paura che riesce a farsi strada dentro di me senza pudore.
Il siluro rosso si ferma per la quattordicesima volta, premo il bottone che permette di aprire le porte e scendo al lato opposto della strada rispetto l'ospedale.
L'enorme edificio bianco con la porta a vetri mi osserva minaccioso, attraverso tremante la strada consapevole di dover far un bel giro per poter accedere all'ingresso del pronto soccorso.
Il rumore dei miei passi nervosi riecheggia impertinente sovrastando l'irreale silenzio circostante, alzo gli occhi verso la luna piena e mi ritrovo per la prima volta della mia vita quasi a pregare. Non sono mai stata credente, ho smesso di frequentare la messa dopo la prima comunione, ma mai come ora ho sentito il bisogno di credere in qualcosa. In qualcosa di più grande, di davvero potente, di spettacolare. Di credere in qualcosa che mi possa davvero salvare.
Un leggero brusio si comincia a percepire in sottofondo, riporto in carreggiata lo sguardo e vengo immediatamente abbagliata dalle forte luci provenienti dagli enormi finestroni della sala d'attesa. All'estrema destra c'è una grande porta automatica, sopra alla quale è riportata su di un insegna, a grandi caratteri, la scritta 'Pronto Soccorso'.
Ok Melissa. Ci siamo
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