Capitolo 6

Cosa diavolo vorranno adesso?

-Pronto?-

-Signora Greco?- chiede la voce dall'altra parte del telefono. Credo sia quella della segretaria, la stessa che mi ha accolta ieri, quella esile e con il sorriso finto e troppo professionale perennemente stampato.

-Si, sono io. Mi dica.- rispondo, irritata, sia perché mi ha svegliata dopo forse un'ora di sonno sia per il 'signora', che mi sta decisamente sempre più sul cazzo.

-Ah, fantastico! Avevamo il timore di aver riportato male il suo numero, sa, succede spesso- fa una breve ma alquanto fastidiosa risatina di circostanza che mi lascia ancora più perplessa dell'affermazione precedente, e continua -allora, la chiamavo per avvisarla che ieri si è dimenticata di prenotare l'appuntamento per la prima ecografia, sa, arrivate a questo punto un controllino è buona cosa farlo... Sempre che lei voglia farla qui da noi, s'intende...- si ferma un secondo, forse per ricercare un mio consenso. Non ricevendo alcun segnale continua, agguerrita -oltre all'ecografia dovrebbe fare tutta una serie di esami, che il dottor Lodi le avrebbe anche già prescritto... Signora Greco? Mi sente?- ora non c'è la fa più, ora ha bisogno di una mia risposta.

-Si- dico -sono qui. Per quando potrei prenotare l'appuntamento?- chiedo, più per rassegnazione che per altro.

Dopotutto sono completamente spaesata, devo trovare qualcuno che mi guidi, in qualsiasi direzione va bene, purché mi si dica dove devo andare.

-Perfetto. Allora mi dia un attimo, controllo subito quando ho un buco disponibile.-

La soave voce della segretaria si interrompe per dar spazio alla nona sinfonia di Beethoven. Attendo, scarabocchiando su un foglietto di carta che nel frattempo mi è finito fra le mani e gustandomi il condotto uditivo. Meno di un minuto e torna all'attacco.

-Eccomi qui. Allora, signora Greco...- si schiarisce di nuovo la voce, deve essere una specie di tic. -Le può andar bene per il giorno 15? Poi il nostro studio chiude un paio di settimane per ferie, ovviamente il medico per le emergenze è sempre disponibile, ma sa, sarebbe meglio farlo prima il controllo...-

-Ve benissimo. Il 15 a che ora?- chiedo, nella speranza di chiudere nel più breve tempo possibile. Questa telefonata mi sta agitando più del dovuto.

-Per le undici le può andare bene?- s'informa lei, raggiante per esser riuscita a far cassa anche questa volta.

-Ottimo.- dico.

La sento picchiare nervosamente sui tasti del computer.

-Bene. Allora la confermo.- esclama, vittoriosa. -È tutto signora Greco. Buona giornata- conclude.

-Buona giornata a lei- ribatto io, felice di essere arrivata al termine dell'agonia.

Chiudo la telefonata e mi rendo conto di avere un messaggio. È di Daniele.
Non lo aprirò adesso, non prima di essermi lavata viso e denti e aver bevuto il caffè.
Non prima di aver fatto un ora di yoga e una di training autogeno per evitare di svenire poi, nel leggere le sue parole.
Non la reggo questa situazione. Non ancora almeno.
Mi tiro con fatica su dal letto e rimango seduta sul bordo a fissare le ante chiuse della parte d'armadio dove, prima, c'era la sua roba. Rimango così, immobile, per qualche minuto.
Forse non avrei dovuto essere impulsiva, forse avrei dovuto tenere qualcosa e gettarla poi, una volta pronta a lasciarlo andare davvero.
Scuoto la testa pensando alla stupidità del pensiero che ho appena fatto e mi alzo in piedi di scatto.
Dovrei andarmene.
Si, dovrei fare le valigie e lasciare a mia volta questa casa che ormai più casa non è. Dovrei trovare la forza di lasciarmi tutto alle spalle, anche se non l'ho scelto io, io non ho scelto proprio niente. Io subisco, devo subire le scelte altrui.
Le scelte di chi diceva di volermi bene, e invece mi ha pugnalata senza ritegno alla prima occasione.
Un fremito di rabbia mi risale esplodendo nel petto. Mi ci voleva. Se non altro è stato meglio del caffè, mi sono risvegliata di colpo.
Rinuncio alla moca da quattro che mi sparo intera ogni mattina onde evitarmi il collasso cardiaco, e mi infilo dritta dritta sotto la doccia.
L'acqua è gelida e scorre quasi violenta dal miscelatore, alzo la testa per ricercare il getto sulla faccia, magari mi riprendo. Come piego la testa all'indietro, ecco una nuova vertigine e subito un conato. Non ce la posso fare.
Fra tre ore devo essere al lavoro e fatico quasi a reggermi in piedi. Mi convinco che la colpa è dello stomaco vuoto, e dopo essermi avvolta nell'accappatoio corro in cucina e mi avvento sul cartone della pizza intatta di ieri sera, nonostante siano le otto e mezzo del mattino.
Addento lo spicchio freddo di quello che ormai sembra un pezzo di plastica, e la nausea si fa più forte di prima. No, non va.
Torno in bagno, riempio il lavandino con l'acqua fredda, e ci immergo la faccia completamente. Da qui sotto posso gridare con tutta la forza di cui dispongo, nessuno mi può sentire. Libero l'urlo che da troppo tengo incatenato nel petto e mi sento subito meglio.
Riemergo per prendere il respiro, allo stremo.
Stanno suonando alla porta. Strano, non aspetto nessuno.
Mi auguro che non sia Daniele, magari è passato a chiedermi se ho trovato la sua chiavetta, non mi stupisco più di niente ormai.
Mi asciugo velocemente il viso e corro ad aprire.
Una folta chioma di ricci rossi, appartenente ad una donna di mezza età dalla robusta corporatura mi si para davanti non appena schiudo la porta, squadrandomi dalla testa ai piedi con enormi occhi nocciola.

È Agnese, la madre di Daniele.

-Ciao Melissa... Posso entrare?- chiede, timorosa.

Evidentemente lei sa, a differenza della mia di madre.
Se tutto va bene gliel'avrà già presentata la sua nuova fiamma, il pezzo di merda.

-Certo Agnese. Prego, accomodati.- le rispondo, cortese.

Non sono felice della sua visita per dir la verità, vederla è solo l'ennesimo squarcio all'anima. Siamo sempre andate d'accordo io e lei, la chiamavo mamma addirittura.
Ma ora non me la sento più, difatti ho usato il suo nome, l'ho fatto adesso.
Chissà che effetto ha fatto a lei, chissà se ci ha fatto caso.
Agnese entra con un sorriso di circostanza sulle labbra e si accomoda sul divano. È visibilmente a disagio, non sa cosa dire.
Non so nemmeno perché sia venuta onestamente, non so a cosa possa servire.

-Posso offrirti un caffè?- chiedo, giusto per sbrinare la situazione.

-Oh grazie Mel, lo prendo volentieri.-

Mel. Se non altro non ha preso del tutto le distanze e continua a chiamarmi con il mio diminutivo. Non m'infastidisce che lei lo faccia, lei può, lei potrà sempre.
Preparo la caffettiera e, dopo averla messa sul fuoco, le siedo accanto sorridendole, cercando di farla sentire un po' meno a disagio.
Ha le mani giunte, lo sguardo assorto, perso in chissà che mondi lontani.
Vorrei saltarle con le braccia al collo in realtà, sprofondare nel suo petto materno e liberarmi di tutte le lacrime, vorrei chiederle perché, perché a volte la vita è così cattiva.
Vorrei chiederle come si fa, come si fa ad essere mamma.
Vorrei chiederle cosa devo fare.

-Sai Mel- comincia, a un certo punto -ho pensato a lungo se fosse o meno il caso di passare di qua...- fa un silenzio breve, anche se a me sembra lungo, eterno -Io ti voglio bene, lo sai Mel, sei come una figlia per me. Lo sarai sempre.- mi sorride. Ha gli occhi lucidi e rossi, credo stia trattenendo le lacrime.

Io lo sto facendo.

-Non dirò nulla riguardo ciò che ha fatto mio figlio, non voglio farlo e non mi compete. Ogni coppia fa e sa il fatto suo.- sospira, mentre si stropiccia nervosamente il lembo della camicetta di seta bianca che indossa.

È nervosa, lo è terribilmente.

-È orribile il modo in cui si è comportato Daniele, e ne sono consapevole, voglio sia chiaro. Gliel'ho detto, senza peli sulla lingua, il fatto che sia mio figlio non lo esonera dal fermo giudizio che riservo a certi modus operandi.- si ferma, abbassando lo sguardo. Poi molla la camicetta ormai deturpata e mi afferra le mani, decisa. -Oramai però io sono una donna cresciuta, ben conscia dell'imprevedibilità della vita. Ora tutto ti apparirà ingiusto, triste e insuperabile, ma te lo assicuro, non è così. Da madre, mi sento di dirti che questo è il momento giusto perché anche tu ti rivesta di una certa consapevolezza, Melissa. Diventare adulti, purtroppo, significa anche dover accettare che la vita ci metta davanti ostacoli all'apparenza insormontabili, piuttosto che dolori tanto grandi da essere quasi inconfessabili. È la vita, gira così.-

Dove vuole arrivare?

La caffettiera comincia a ribollire. È pronto il caffè.
Agnese si alza di scatto, come non vedesse l'ora di trovare un pretesto per sbrigliarsi da una conversazione che lei è solo lei ha voluto iniziare. Perché poi, non lo riesco proprio a capire.
Si avvia in silenzio ai fornelli e spegne il fuoco, poi apre il mobiletto dove sa che stanno da sempre le tazzine e ne prende due, diverse una dall'altra, perché a casa mia non esistono servizi coordinati. Sono démodé.
Versa il caffè, accompagnandolo con lo sguardo, e torna verso di me, sempre con il sorriso plastificato e forzato che mantiene incollato da quanto è entrata.
Mi porge la mia tazza, e si lascia cadere sul divano, al mio fianco.
Non vorrebbe essere qui, lo si nota benissimo. Ma allora perché è venuta? L'ha forse mandata Daniele?

-So che ieri Daniele è stato qui.- dice, come leggesse nei miei pensieri. -Sono stata io a dirgli di venire.- continua, richiamando se possibile ancor di più la mia attenzione.

Come sarebbe che gliel'ha detto lei di venire? Si è consultato con sua madre per una stupida chiavetta? E, soprattutto, lei è così insensibile da avergli consigliato di presentarsi qui, dopo ciò che mi ha fatto, per una ragione così idiota???

Non sto capendo. La guardo con gli occhi sbarrati e lei si rende subito conto delle infinite domande che mi stanno passando per il cervello. Cambia difatti subito espressione, facendosi decisamente più seria e cupa poi, continua a parlare, gravando anche il tono della voce.

-So che ti ha detto di essere passato in cerca di documenti.- dice, cercando di trattenere qualsiasi espressione facciale, onde evitare di far trapelare quelli che sono ora i suoi sentimenti. -Ma, chiaramente, non è il reale motivo per cui è passato, Melissa.-

Ah. Beh menomale, almeno questo.

-E allora che c'è venuto a fare qui?- chiedo, usando involontariamente una certa violenza.

Agnese si incupisce ancora di più e abbassa lo sguardo che fino adesso non mi ha scostato per un attimo. Deglutisce rumorosamente e li capisco che tutto vorrebbe, meno che dovermi dire ciò che sta per confessare.
Sembra appassita, tutto su un momento. Perfino la sua folta chioma che solitamente è fin troppo vaporosa, sembra aver perso vigore.

-È venuto per dirti una cosa importante. Molto importante. Ma poi ti ha vista e ha perso completamente il coraggio...-

Eh beh ti credo, per poco non lo lasciavo agonizzante in una pozza di sangue!

-È una cosa che devi assolutamente sapere Melissa, non scoprire. Non sarebbe compito mio parlarti, ma visto com'è andata ieri con Daniele, non vedo alternative. Per questo oggi sono qua. So che farà male, ma è necessario.-

Farà male? C'è qualcosa che può farmi forse ancora più male?

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