Capitolo 58
Dopo l'infelice telefonata di mia madre, sono finita col replicare il mio controproducente solito atteggiamento, chiudendomi così in me stessa e negandomi senza riserve a tutto il resto del mondo.
Oggi è venerdì, sono passati quattro giorni dall'ultima volta che ho messo piede fuori di casa e anche dall'ultimo contatto con una qualsiasi altra forma vivente, se non calcoliamo le piante che ho qui.
Ad un primo acchito si potrebbe certamente dire che ho fatto nuovamente qualche passo indietro, ma ho deciso di crogiolarmi nell'idea che il vero collante che mi ha tenuta arenata per ore e ore a questo letto è sicuramente il mal di pancia.
Si, perché non mi bastavano i giramenti di testa continui e la nausea tacchente, ci si dovevano mettere pure i crampi ad estenuare le mie giornate, sia mai che io possa dire di cominciare ad intravedere un po' di luce, alla fine di questo lungo, infinito tunnel.
In un primo momento, ad esser sincera, mi sono anche preoccupata.
Le fitte son sempre state deboli, ma ricordavano tanto il fastidio tipico che precede solitamente il ciclo mestruale, sono cominciate lunedì sera, il giorno stesso della visita e, considerando che al mattino ancora non potevo dichiararle del tutto terminate, ho deciso di chiamare per sicurezza allo studio del dottor Lodi.
Devo dire che la segretaria si è dimostrata da subito molto comprensiva e mi ha immediatamente messa in contatto con il medico che, con tutta la poca grazia di cui è maestro, mi ha decisamente rassicurato. In un primo momento.
Poi è successo che martedì notte, andando a fare la pipì, mi sono resa conto che il salva slip era lievemente colorato di rosa. Un rosa timido, quasi impercettibile, ma pur sempre rosa.
Il panico ha cominciato a salire imperioso, impossessandosi di ogni millimetro del mio corpo, della mia mente, del mio spirito. Ho provato a cercare le risposte dentro di me ma non le ho trovate, allora mi sono spinta a fare una cosa che in una qualsiasi altra occasione non avrei mai fatto, ho chiamato sul numero delle emergenze del dottor Lodi nonostante fossero quasi le due del mattino.
Lui mi ha risposto. Seccato, perplesso, assonnato, ma mi ha comunque risposto.
Gli ho spiegato per filo e per segno cosa avevo visto, quello che sentivo, le idee che mi ero fatta e lui, una volta finito di ascoltarmi, mi ha fortunatamente rassicurata ancora una volta.
A quanto pare le perdite fino a che si limitano ad essere lievi ci possono anche stare, a suo avviso è probabile che durante la visita si sia magari rotto qualche capillare, nulla di allarmante quindi.
Per quanto riguarda le fitte, sempre secondo lui, si tratta di pura e mera suggestione. Io non sono per niente d'accordo con questa sua stramba deduzione, ma lui ha ribadito con fermezza che l'ecografia l'avevamo fatta solo il giorno precedente, constatando che tutto era a posto e che quindi mi stavo sobbarcando di paranoie assurde e inutili.
Voglio credergli. Devo credergli.
Dopotutto lui è un medico quindi si presuppone che sappia ciò che sta dicendo. In teoria.
Mi sono cullata fra le parole garantiste del dottor Lodi cercando così inutilmente di far fronte all'ansia che, minuto dopo minuto, è comunque cresciuta in modo costante.
Le fitte alla pancia non sembravano volersi fermare e, assieme a loro, si sono susseguite anche le maledettissime perdite colorate che ogni donna incinta teme fortemente. Sono andate avanti fino a questa mattina, per dir la verità.
Al che ho richiamato allo studio e il dottore ha detto di cominciare da stasera con degli ovuli di progesterone da unire all'assunzione dell'acido folico.
Non ha spiegato a cosa dovrebbero servire, comunque Vabbe'.
Ora si è fatta quasi sera e la sveglia digitale sul comodino segna le sei e un quarto.
Sono scesa velocemente in farmacia, promettendo la ricetta per i prossimi giorni e sono subito corsa a ributtarmi a letto.
Ho fatto l'ultimo cambio al salva slip da un paio d'ore e, per fortuna, almeno fino a dieci minuti fa che sono andata a controllare, era pulito.
Nonostante questo però, l'angoscia che ormai mi accompagna tirannica da giorni non accenna a volersi staccare. C'è qualcosa, dentro di me, che mi dice non posso stare tranquilla.
È un po' come nell'incubo con cui mi sono ritrovata a scontrarmi spesso, quello in cui era semplicemente la paura a dominare, impedendomi persino i movimenti, addirittura forse la capacità di ragionare.
Ho sempre attribuito un significato estremamente superficiale a quelle mie associazioni mentali notturne ma forse adesso, ripensandoci bene, il mio inconscio altro non stava che a segnalarmi la mia fottuta incapacità nel gestire determinate situazioni. Come se io fossi fortemente intenzionata a scappare da un determinato contesto che non mi fa star bene ma, per una serie di motivi che riguardano me e soltanto me, non ne fossi in grado.
Ciò che mi impedisce di muovere anche solo un muscolo, nei miei incubi, non è una chissà che strana forza di gravità che mi tiene arrogantemente appiccicata al pavimento, no. Quella è semplicemente la proiezione che il mio cervello ha elaborato sfruttando non si sa bene che criteri di editing. Il vero messaggio lanciato dalla coscienza attraverso i sogni va sempre letto fra le righe.
Il rumore si percepisce lieve, ma posso dire quasi con assoluta certezza che qualcuno sta bussando.
Potrebbe essere chiunque considerando che ho staccato campanello e telefono da giorni e questo pensiero non aumenta di certo la mia voglia di alzarmi ad aprire.
Passando per il corridoio il mio sguardo si scontra furtivamente con lo specchio del bagno che si intravede, trasalisco allo sbattimento che si legge nella mia faccia, e proseguo senza voglia fino alla porta.
Mentre il blindato scivola socchiudo impercettibilmente gli occhi, quasi a volermi preparare psicologicamente a qualsiasi evenienza.
Devo dire che trovarmi davanti il viso sorridente di Andrea non mi stupisce più di tanto, anche se ho sperato fortemente che non fosse lui.
-Ciao Mel!- esclama in tono sgargiante -disturbo?-
-No- rispondo, cercando di esser convincente -ci mancherebbe- aggiungo, cadendo con l'occhio sul pacchetto regalo che tiene fra le mani.
Lui abbassa lo sguardo perforante, evidentemente imbarazzato.
-Questo è un pensiero per la tua piccola- esclama quindi, camuffando il disagio con un riuscitissimo sorriso e porgendomi poi il pacchettino simpaticamente incartato.
-M..mio Dio Andrea, io non ho parole davvero, non dovevi...- devo essere diventata fucsia come lo sfondo della carta con gli orsetti.
-A me è venuto naturale farlo Mel, davvero- si giustifica rialzando lo sguardo, anche se non è ancora del tutto a suo agio come al solito -Ho avuto paura di passare per troppo invadente, ti devo dire la verità... Ho sempre paura che tu possa fraintendermi in qualche modo, non so perché...- sorride, mordendosi impercettibilmente il labbro e abbassando lo sguardo per un attimo.
Non capisco perché si senta così a disagio, spero di non avergli dato modo io di pensare di essere stato inopportuno in qualche suo gesto.
-Non dire scemenze Andrea- controbatto nell'immediato, mi sento terribilmente in dovere di smorzare l'imbarazzo -Mi fa un piacere immenso ricevere questo pensiero, davvero- sono sincera -E non mi hai mai dato motivo per ritenere ambiguo un qualche tuo atteggiamento, anzi. Questo è ufficialmente il primo regalo per la mia principessa- sorrido -Che, a dire la verità, non mi ha dato ancora l'assoluta certezza sul suo essere una lei...-
-Ah, ho pensato anche a questo- sembra essersi rilassato -difatti ho scelto un qualcosa di neutro apposta per non rischiare neanche in minima parte di toppare!- ribatte esultante, facendo l'occhiolino.
-Dovevo immaginarlo- ridacchio, portandomi la mano davanti alla bocca -Avevi già dimostrato ampiamente di essere uno 'avanti'...-
Scoppiamo a ridere entrambi. Devo dire che ci voleva.
-Coraggio!- esclamo poi, stupendomi di me stessa -Che fai lì impalato? Vogliamo entrare a scartare questo prezioso primo traguardo?- chiedo, riconoscendo soprattutto a me stessa quanto anche solo un semplice pensierino, in una situazione magica come questa, possa rivelarsi entusiasmante ed essere percepito come 'un passo in più'.
-Volentieri!- esclama allora lui, seguendomi subito poi dentro casa, con un passo raggiante tanto quanto il mio.
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