Capitolo 41
Le parole vanno e vengono ma le sensazioni, quelle restano, nascono e prendono forma e colore diventando indelebili, scolpite, intoccabili. Non hanno un nome quando le incontri, non è nemmeno detto che tu possa assegnargliene uno un giorno, ma non se ne vanno senza lasciare il segno, mai. A volte si insidiano in un qualche luogo dimenticato dentro di noi, silenziose, ci sfiorano senza che nemmeno possiamo renderci contro di averle provate per poi magari trovare un loro senso in un giorno lontano.
Ci sono spiegazioni che non hanno bisogno di parole, risposte più esaustive date con un semplice gesto, sguardi che raccontano più di ogni storia. Ci sono momenti che non hanno bisogno di essere riempiti con la voce, perché hanno già la loro colonna sonora, anime che fanno talmente tanto rumore da cantare anche da mute.
Ho sempre pensato che le emozioni non si potessero raccontare, ma mi sbagliavo, forse perché ancora non sapevo cosa volesse dire avere il mare dentro, sentire la forza delle onde che imponenti s'infrangono sugli scogli del mio spirito, per ricordarmi che esiste qualcosa di più forte e prorompente dei macigni che mi porto nel profondo.
Esiste qualcosa che mi può salvare.
Con questo non sto dicendo che sarà Andrea a riportarmi a riva, io ci voglio prima imparare a nuotare da sola nel mio mare, voglio riuscire a dominare la corrente con le mie sole forze, prendere in mano il timone della mia vita e diventarne il capitano.
Ci sarà spazio per qualcun altro forse un giorno. Forse. Un giorno.
Ma per il momento mi accontento di ritrovare il posto per Melissa, in questo mondo.
Non sono più sola ora, ho una piccola creatura che confida in me. Non posso deluderla, i miei passi solcheranno la strada per i suoi. Devo necessariamente capire come si fa a camminare.
Andrea è in piedi davanti alla cassa che ride e scherza con il titolare, ha insistito per pagare e non ha voluto sentir ragioni. Lo osservo da poco distante mentre disegna il suo viso con mille espressioni, a vederlo adesso il suo sembra un animo che non conosce turbamenti, ma io so che non è così, da qualche parte sono sicura di averlo letto dentro di lui, per quel poco che mi sono azzardata ad entrare.
Saluta l'omone panciuto che sorridente intasca il contante, gli sorride ancora una volta turbandomi senza volerlo, si gira verso di me e sicuro mi raggiunge, ridendo con gli occhi. Maledetti.
-Ha pure voluto farmi credere di averci fatto lo sconto- sussurra, passandosi un dito sul labbro -sono stato al gioco- sorride -alle fine è un tipo simpatico e poi sono stato bene-
Ruoto lievemente la testa, involontariamente, scontrando ancora una volta il suo sguardo. Si morde il labbro.
Ma allora fa apposta
-Hai speso molto?- sono persa nel mio disagio, non so cosa dire.
-No- mi cerca con gli occhi -il giusto- ride -Andiamo?-
-Si- dico, alzando finalmente la testa.
Camminare di fianco Andrea è estremamente piacevole.
È un ottimo compagno di viaggio, la parola non gli manca mai, non scende mai nel banale e non si comporta in modo inopportuno.
Resta distante ma allo stesso tempo ti sfiora delicatamente, con le parole, con gli sguardi, con i gesti, con le attenzioni. Ti riesce a toccare persino con i silenzi.
Arriviamo a casa dopo una quarantina di minuti di passeggiata che nonostante la pancia piena non mi sono pesati per niente, mi sento leggera, libera, quasi posso ricominciare a credere di poter imparare a volare, un giorno.
-Prego- esclama, aprendomi nuovamente la strada, una volta davanti al cancello.
-Ti riconfermi cavaliere- sorrido.
-Per così poco...- mi sfiora la spalla seguendomi, ed io mi irrigidisco, di colpo -Scusa- dice. Se n'è accorto.
Cazzo
-Niente, figurati- tento di sembrare il più indifferente possibile.
Mi precede di qualche passo per aprire anche il portone, poi mi lascia passare, questa volta facendo ben attenzione a non urtarmi.
-Sono stato bene- afferma ad un certo punto, quasi arrivati alla fine delle scale che conducono al mio appartamento -sei di ottima compagnia- si premura di aggiungere, per evitare di essere frainteso.
Mi giro lievemente verso di lui, stando ben accorta nel non scontrarmi con i suoi occhi ancora una volta -Anche tu- sussurro.
Sorride. E io perdo l'equilibrio.
-Sei arrivata- esclama, sottolineando l'ovvio, davanti la porta di casa mia -magari qualche volta si può rifare, uscire insieme intendo... Io qui non conosco nessuno, e tu ti sei rivelata essere una possibile amica molto interessante- dice, smontando in un secondo la mia gioia di essere finalmente giunta alla fine delle mie prove, per la serata. -senza impegno, ovviamente- aggiunge, probabilmente istigato dalla mia faccia.
-S..si, perché no- rispondo, camuffando maldestramente l'imbarazzo.
-Bene- sorride -ti lascio andare... Buonanotte Melissa- m'incatena con lo sguardo.
-N..notte Andrea- non ce l'ho fatta a non spezzare la voce. Spero non se ne sia accorto.
Richiudo la porta di casa alle spalle, lascio cadere la borsa che si schianta facendo un rumore assurdo sul pavimento, probabilmente ho rotto il cellulare, e respiro lentamente.
Sono incastrata in un turbinio di sensazioni che girano talmente veloci da non lasciarsi nemmeno guardare. Ci sto provando a rincorrerle, ma si beffano di me sgattaiolandomi davanti.
Giro la testa guardandomi intorno e nulla di ciò che mi circonda sembra avere più lo stesso profilo, ogni cosa pare diversa da come la ricordo, o forse sono io che non ho più gli stessi occhi, forse sto cominciando a crederci, a crederci che si può ricominciare a vivere di nuovo.
Andrea mi ha dato la possibilità di guardare oltre ai limiti che involontariamente mi ero imposta, e lo ha fatto probabilmente senza rendersene conto e senza nessun impegno in particolare. Forse in realtà lui non ha fatto proprio niente, se non suonarmi quel campanello che ognuno di noi porta dentro e che io, purtroppo, mi ero dimenticata ormai di usare. Poi, il resto, l'ho fatto io stessa, permettendomi di mettermi in gioco, seppur con una semplice cena fra amici. Nuovi. Diversi. Forse più veri di quelli che ho avuto fino adesso. Forse. Ma anche se non dovesse essere così poco importa, perché ciò che conta ormai l'ho imparato. Ho imparato che io sono importante. Sempre. E comunque. Ho imparato che io merito di essere felice, merito di crederci, merito di provare, di sbagliare, di ricominciare. Di esistere per davvero, non dietro o sotto a qualcuno, come ho fatto fino ad oggi.
Non so bene spiegare da dove sia partito tutto questo. Non lo so, e non m'interessa.
So solo che il desiderio di vincere ora lo sto sentendo, il grido di rabbia del mio animo lasciato a patire troppo a lungo m'infiamma dentro, dovevo far rinascere Melissa e credo sia arrivato il momento, non vedo l'ora di sentire il suono che fa il mio cuore quando batte contento, ormai ricordo solo il rumore che fa il suo lamento.
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