Capitolo 27

Mi sento sprofondare in un baratro.
Scuro, profondo, un abisso tetro, infernale.
Mi sono distesa sul divano e mi sento risucchiare, come se si fosse creato un vortice fra i cuscini che non vuole per nessun motivo lasciarmi andare.
La stanza gira e assieme a lei gira pure la porta, il mobiletto, il televisore. O forse loro sono fermi e a girare sono io. Non lo so, fatto sta che tutto si muove e anche chiudendo gli occhi la situazione non migliora.
La voce di Daniele continua a risuonarmi nella testa più vivida che mai, ancora una volta mi trovo a chiedermi come sia possibile percepirla così estranea, così distante, così diversa. È un po' come quando torni in un posto dopo tanto tempo e tutto ti pare più piccolo rispetto a come lo ricordavi, come se l'immagine fissata nella tua mente fosse rimasta sospesa nell'attimo in cui l'hai immagazzinata, compressa e poi archiviata. Se ne resta ferma lì, senza essere contaminata dal tempo che passa, tu cresci, cambi ma lei no, rimane cristallizzata in quel momento, così finisce che quando la vai a pescare nel magazzino dei ricordi la percepisci diversa rispetto come la rimembravi, ma in realtà non è lei ad essere diversa, diverso sei solamente tu, diverso è diventato il tuo modo di vedere le cose.
Mi alzo con estrema fatica e mi costringo a fare qualcosa da mangiare. Sono uno straccio. Non mi reggo in piedi.
La dispensa è piena di roba. Pasta, tonno in scatola, funghi sempre in scatola, sughi pronti di ogni tipo. Mi fanno schifo ma in questo periodo, per me sola poi, non ho proprio voglia di cucinare. Richiudo lo sportello presa da un momento d'indecisione e provo a farmi venire qualche estro puntando sul frigo. Anche qui c'è un po' di tutto ma metà della roba sarà sicuramente da buttare, considerando il tempo che è passato dall'ultima volta che ho fatto la spesa. Sospiro afflitta richiudendo anche quest'ultimo e ripiego sul pacco di biscotti secchi che è ancora sopra al tavolo avvolto nel sacchetto di plastica. Perlomeno qualcosa nello stomaco mi ci finisce.
Addento la prima stellina di frolla e il pensiero di dover richiamare Daniele entro le sei del pomeriggio che chiude lo studio medico mi fa salire l'ennesimo conato di vomito. Il biscotto sembra quasi salato, è immangiabile.
Mi alzo rumorosamente dalla sedia e lo getto via, a malapena morsicato.

Fanculo. Fanculo a tutto, fanculo anche ai biscotti

Suonano alla porta proprio mentre richiudo il sacchetto della spazzatura, pieno, perché non le butto da almeno cinque giorni. Corro innervosita ad aprire, non tollero nessuno più, adesso meno che mai.
Afferro la maniglia violentemente facendo volare il blindato e un paio di occhi color ghiaccio intriganti e perforanti mi si parano davanti.

Andrea. Cazzo

Mi rendo conto di avere un aspetto improponibile, capelli arruffati, occhiaie fino a terra, un pezzo di stoffa stinto sgualcito addosso... Insomma, 'na catastrofe!
Andrea mi guarda sorridente e forse un po' in imbarazzo. Credo di avere una faccia sconvolta, deve aver pensato di non avermi fatto proprio una gran sorpresa, difatti, dopo un momento di défaillance, abbassa per un attimo i suoi stupendi occhi, e dice

-Ciao Melissa. Ti disturbo?-

Rialza fugacemente lo sguardo. Ora mi sta fissando e in me comincia a salire prepotente la sensazione di disagio.

-Ciao- dico, cercando di camuffare inutilmente l'imbarazzo -no tranquillo, non disturbi- lo guardo per un momento tentando comunque di non incrociare i suoi occhi -vuoi entrare?-

No Melissa ti prego, perché? Perché gliel'hai chiesto?

Lui sembra rilassarsi, gli è spuntato pure il suo solito sorriso.

-Se davvero non ti crea disturbo...- esclama quindi, appoggiando una mano sullo stipite della porta e lasciandosi cadere sul fianco. Mi sta guardando impaziente.

-Prego, entra- ribatto allora, spostandomi da davanti l'ingresso e lasciandogli libero il passaggio.

Sono piuttosto scocciata da questa intrusione per dire la verità, già mi mette a disagio solitamente figuriamoci adesso, che mi prende forse in uno dei momenti peggiori della mia vita, nell'intimità di casa mia e con l'aspetto di una scapestrata che non ha mai inserito nel suo vocabolario la parola 'riabilitazione'. Comunque, ormai è qua, sentiamo cosa ha da dire.

Andrea si accomoda in casa e si siede direttamente sul divano, pare sentirsi perfettamente a suo agio. Lui.
Io sono ancora immobile ferma vicino alla porta e lo sto guardando. Ora l'impaziente sono io.

-Allora- dico, avvicinandomi e sedendo a mia volta sul divano -ho sentito che hai trovato l'appartamento- mi sembra un buon inizio per rompere il ghiaccio.

Lui mi fissa con quei due diamanti con cui non mi riesco davvero a scontrare poi, sistemandosi se possibile ancora più comodo fra i cuscini, porta un braccio dietro la testa, e dice

-Già. Difatti passavo giusto per ringraziarti, pensavo di fare un giro di qua domani ma ho trovato del tempo adesso e sono venuto a portare intanto una parte di caparra alla signora Tommasi- si rimette composto e, senza togliermi lo sguardo di dosso, continua -sei stata la mia fortuna, Melissa, senza di te non avrei saputo davvero dove sbattere la testa. Credevo di poter fare le cose con calma e invece mi sono ritrovato a dover sistemare tutto all'improvviso, senza il tuo aiuto non so davvero come avrei fatto!-

Si alza di scatto e comincia a camminare su e giù per la stanza. Io lo guardo perplessa per un secondo, poi seguo il suo esempio e mi metto in piedi anch'io.
Non sta fermo un attimo. Mi agita.
Ad un certo punto si blocca di colpo e si gira verso di me aumentando artificialmente il volume del suo sorriso

-Volevo chiederti se ti va di uscire una di queste sere, magari a cena- dice poi, senza prendere il respiro fra una parola e l'altra.

Ora non sembra più sciolto e rilassato come prima, si è irrigidito di colpo. È immobile e mi sta guardando, ogni singolo muscolo del suo corpo pare contratto.
Io non sono messa meglio. Devo fissare i piedi al pavimento perché la stanza ha ripreso a girare e credo di essere lì lì per svenire.

-A.a cena?- chiedo, con un filo di voce. Credo di essere diventata bianca come la parete.

-Si, a cena. Ma non pensare male- dice, per tentare di recuperare la situazione -è solo un modo per sdebitarmi, una cena fra amici, conoscenti, mettila un po' come vuoi tu-

Ora lo sto guardando perplessa, ma devo dire che mi sono leggermente rilassata.
Ho incrociato le braccia e storto la bocca tramutandola in una sottospecie di sorrisetto con un che di beffardo. Andrea è ancora lì che mi fissa immobile e pare non aspettare altro che un mio cenno, una risposta.

-OK- esclamo, ad un certo punto. Non lo so nemmeno io il perché.

Lui pare rischiararsi di nuovo, questa volta il sorriso che gli spunta sulle labbra sembra sincero e reale.

-Ottimo!- esclama allora -Lasciami un paio di giorni che mi destreggio nel trasloco e pensa a quando potresti essere libera-

Ahahah divertente. Io ormai sono sempre libera.

-D'accordo- rispondo, comunque -ho il tuo numero, ti chiamo io- non vedo l'ora che se ne vada ad essere sincera, la sensazione di disagio si sta rifacendo sentire e sta volta più forte che mai.

-Bene. Allora aspetto. Ora vado, devo passare in ospedale. A proposito, come sta la tua amica?- s'informa, serio.

Cazzo. Mi ero dimenticata della stronzata che gli ho raccontato quel giorno in gelateria. E comunque sono una persona orribile. Non gli ho nemmeno chiesto come sta la persona che va quotidianamente a trovare e di cui mi ha parlato con tanto sentimento e trasporto. Voglio sprofondare.

Abbasso lo sguardo arrossendo -Sta meglio- dico, vergognandomi di me stessa - E invece...?-

-Stabile- risponde lui senza darmi il tempo di imbastire la domanda. -E purtroppo stabile, nella sua situazione, non è una condizione ottimale- sussurra poi, come parlasse più che altro con se stesso.

Lo guardo sinceramente dispiaciuta, non so cosa dire, non trovo le parole.
Lui sembra percepire il mio imbarazzo, difatti si riprende quasi subito, riporta su di me lo sguardo e dice

-Ora devo andare- sorride, anche se con sforzo -altrimenti si fa tardi-

Gli sorrido di rimando anche se in realtà in questo momento avrei una forte voglia di toccarlo, accarezzarlo, forse abbracciarlo, non lo so, non lo so spiegare.

-D'accordo- gli dico sempre nel più totale imbarazzo -Allora ci sentiamo-

-Ci conto!- esclama lui, apprestandosi a raggiungere di buon passo la porta.

Poi, accenna con la mano un saluto, un ultimo sorriso, e se ne va.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top