Capitolo 25
Quando ero bambina fantasticavo sul fatto che mio padre non se ne fosse semplicemente andato, abbandonando mia madre ancora prima di sapere che sarei nata, ma che fosse invece una persona importante. Nello specifico mi ero inventata che fosse un infiltrato della CIA, che lavorasse in incognito all'estero e che io e mamma non potessimo vederlo per questo motivo. Ovviamente il mio nome non era Melissa, e tantomeno di cognome facevo Greco. Era tutta una copertura.
È incredibile la forza che hanno i bambini di costruire mondi diversi con la mente, luoghi dipinti col pensiero per potersi sentire in qualche modo al sicuro.
Io mi sono sempre rifugiata nelle mie fantasie, ho sempre cercato di disegnarmeli i miei paesaggi, la mia storia me la son sempre raccontata, ma poi un bel giorno è successo che sono cresciuta e, senza rendermene conto, ho abbandonato tela e pennello e lasciato che la realtà colorasse a suo modo.
Non so dire se questo ha rappresentato un qualche modo di tradire me stessa, in fin dei conti ho smesso di ritrarre il mondo per come lo avrei desiderato, per come avrei voluto vederlo e questa è mancanza di lealtà verso le proprie aspettative, verso le proprie speranze, verso i propri sentimenti. Mi sono imposta di credere che crescere volesse dire spogliarsi di quella fantasia che ti permette di pitturare le cose per come le riflette il cuore, anziché la retina e, così facendo, ho condannato me stessa a privarmi della libertà di sognare. Mi sono ritrovata a vivere all'interno di un quadro che non ho dipinto io, e si, in fin dei conti in parte l'ho fatto per scelta. Non mi piace com'è rappresentata la mia vita, eppure mi rendo conto di essermici ritrovata dentro, come fossi stata una semplice spettatrice, come se la mia esistenza non fosse dipesa da me nemmeno in minima parte. Ho lasciato che qualcun altro dipingesse la mia tela e che poi, una volta stufo, ci scarabocchiasse pure sopra. Il vero problema è che se ora volessi riprendere in mano il pennello non ricorderei nemmeno più come si usa. Rimarrei immobile con la risposta in mano incapace di muovere gli arti, incapace di muovere il cuore, incapace di muovere l'anima. Quando ero bambina non l'avrei mai creduto possibile tutto questo, non avrei mai immaginato che, un bel giorno, mi sarei tagliata le ali di mia spontanea volontà, non avrei mai pensato che avrei smesso di credere. Di credere in me stessa. Di credere nella vita. Non avrei mai pensato di cadere. Di fallire. Di perdere tutto. Di perdere Tutti.
È ora di cena ma io non ho fame.
È appena finito il telegiornale, non mi pare abbiano detto nulla di nuovo ben che a dire il vero non l'ho proprio ascoltato e Daniele, per fortuna, deve ancora richiamare.
Si, per fortuna, perché se prima potevo dire di aver trovato non so dove un minuscolo input per parlargli, ora non so dire davvero dove sia finito. Credo sia scappato. Magari aveva una famiglia e se n'è tornato a casa, perlomeno l'input non l'avevo trovato fedifrago. O invece si? E mi ha abbandonata anche lui per un'altra? Ok, basta con i vaneggi, o mi rinchiudono.
In ogni caso ho deciso che domattina, non appena mi sveglierò, chiamerò il dottor Lodi. Ho intenzione di chiedergli se esiste qualche escamotage che mi possa evitare di mettere in mezzo lo stronzo, dopotutto ho scambiato solo due parole con un'impiegata, magari mi sto fasciando la testa prima del tempo e senza motivo, con un po' di fortuna potrei sperare di trovare un sistema alternativo. Spero.
Mi alzo dal divano stiracchiandomi e mi trascino fino in cucina aprendo schifata la dispensa. È piena di leccornie di ogni tipo, ma non mi fa voglia niente. Nausea. Solo nausea. Richiudo lo sportello e tento con il frigo. Peggio che peggio.
Faccio volare l'anta in preda ad un conato e corro spedita fino al bagno, inginocchiandomi, come ormai è mia usanza fare, abbracciando la tavoletta.
La vampata di caldo parte feroce, scoppia da dentro e quasi mi fa svenire. Chiudo gli occhi cercando di controllare il respiro ma questo senso di oppressione sembra non volermi mollare, mi si è buttato sopra e pare avere tutta l'intenzione di schiacciarmi. Stringo il water con forza e l'acidità sale, se non altro liberandomi, almeno un po'.
Ora sto meglio. Non bene, meglio.
Mi alzo con fatica e l'occhio non può fare a meno di cadermi sulla mia immagine riflessa allo specchio. Devo essere dimagrita. Si, decisamente. Ho il viso scavato, pallido, sembro quasi malata anzi no, peggio, drogata. Faccio un lieve sobbalzo alla vista di cotanto orrore. Apro l'acqua gelida sul lavandino e mi sciacquo il viso, sperando che questo lo possa in qualche modo rigenerare e poi torno sempre strascinandomi fino al salotto per lanciarmi di peso sul divano.
Ormai sono quasi le nove e mezza, i film in prima serata sono iniziati e io non posso nemmeno immaginare di mettermi a cena che già mi viene da correre di nuovo al bagno. Fantastico.
Lascio sprofondare la testa sul cuscinone grigio e, sul più bello che sembro lì lì per rilassarmi, ecco che squilla impavido il telefono.
Fanculo. Fanculo fanculo fanculo
Mi alzo imprecando a gran voce. Due passi e afferro la cornetta.
-Pronto?- sembro un'indemoniata.
Silenzio.
Forse dovrei tentare un po' più dolce, magari ho fatto paura
-Pronto?- riprovo, questa volta con un tono decisamente più rilassato.
Silenzio.
Allontano la cornetta, la guardo, la scuoto, la rimetto all'orecchio, e ritento -Pronto??-
Silenzio.
Poi un rumore, impercettibile, forse un respiro.
E poi di nuovo silenzio.
Sono interdetta.
Continuo a tenere l'apparecchio fisso in posizione ma non perché voglio farlo. Non riesco più a muovere un solo muscolo.
-P..pronto?- richiedo, questa volta con la voce tremante.
Dall'altra parte nessuna voce, solo un frastuono, forte, inclassificabile.
Poi, il silenzio.
O meglio, il classico suono del telefono quando cade la telefonata.
Il cuore pompa veloce, le gambe tremano. La consapevolezza che chi ha chiamato non l'ha fatto a caso c'è e mi fonde il cervello.
Mi lancio sulla porta e chiudo il chiavistello mentre fiumi di lacrime mi rigano il viso.
Giro la testa e lo sguardo mi cade sulla rosa, l'ultima, quella che ho trovato prima.
Il respiro si fa corto, ansimante.
Il dubbio si fa atroce, pressante.
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