Capitolo 21
Riemergo da una schiera infinita di incubi ad occhi aperti solo dopo alcune ore, e mi rendo conto di essere rimasta per tutto il tempo immobile, a fissare lo schermo spento del televisore.
Il grande orologio appeso sopra al divano segna le quattro e un quarto.
Mi avvio controvoglia verso il bagno e, proprio mentre mi siedo sulla tazza del wc, il cellulare comincia impaziente a squillare.
Contraggo i muscoli trattenendo la pipì e corro a rispondere, con le mutande ancora abbassate. Il telefono è rimasto sopra il letto e non accenna a voler smettere di strimpellare.
Mi lancio di peso e rispondo senza controllare chi sta chiamando.
-Mel?- non ho nemmeno fatto a tempo a mettere il ricevitore all'orecchio.
Riaggancio di colpo.
Le mani tremano, sento ribollire il sangue nelle vene, come fosse benzina e qualcuno ci avesse appena dato fuoco.
Non può farmi questo, non può cercarmi ancora. A cosa può servire?
Lascio cadere il telefono sul letto e mi ci affloscio sopra, sgraziatamente. La stanza gira. Vorticosamente. Non riesco nemmeno a capire se sto davvero riuscendo a respirare. Tre lettere, tre lettere e sono bastate. Non ricordavo più il suono della sua voce pronunciare leggera il mio nome. A quante cose non ci si fa caso, quante cose si danno per scontate.
La fitta sul petto si fa sentire prepotente.
In cinque anni ce ne saranno state a milioni di telefonate, eppure non ho mai assorbito le vibrazioni della sua voce come ho fatto in questo momento. Anzi, adesso che ci penso, forse non l'ho mai ascoltata davvero, non ne ho mai incamerato davvero ogni dettaglio. Ora, risentendola, mi è sembrato di non riconoscerla neppure.
La cerco nei ricordi ma non riesco a trovare niente. Chissà se certe cose le ho rimosse per auto conservazione o se semplicemente non le ho mai assaporate veramente, tanto da non assimilarle neanche.
Eppure ci siamo amati, ci siamo amati davvero. Ci siamo cercati, spasmodicamente, e quotidianamente. E poi? Che è successo poi?
La mia mente ritorna per un attimo in riva al mare. Era l'estate di cinque anni fa.
Nora quel giorno di venire in spiaggia non ne voleva manco sentir parlare, ma davano una festa e io non ci volevo rinunciare per nessuna ragione. Sono riuscita a trascinarla al lido che si erano già fatte le sei di sera. La spiaggia era gremita di gente, gruppi di ragazzi sparsi ovunque, decine e decine di asciugamani abbandonati a se stessi sulla sabbia, sommersi da centinaia di bottiglie vuote. Borse e zainetti lasciati allo sbando, ciabatte e materassini dimenticati senza un perché. Schiamazzi e urla provenienti da ogni dove. L'odore di birra si espandeva forte nell'aria mischiato a quello dolce della marijuana e a quello acido dell'anti zanzare alla citronella. Un gruppetto di ragazze sedute in cerchio se la spassava chiacchierando e girandosi una canna, mentre alcuni altri, poco distanti, si apprestavano a calciare ridenti un pallone. Nora si lamentava. Aveva mal di pancia e si era voluta sedere impossessandosi di un telone arancio all'apparenza senza proprietario. L'avevo accontentata e mi ci ero accomodata anch'io, stappandomi una Beck's con l'accendino e tirando fuori dal marsupio una sigaretta. Non avevo nemmeno fatto in tempo a portarla alla bocca che già una mano rassicurante mi aveva appicciato fuoco davanti per accendermela. Avevo alzato gli occhi di colpo scontrandoli irrimediabilmente con due rifugi profondi e neri come la pece. Gli occhi di Daniele mi hanno portata via così, in un attimo. Mi ha rapita in quell'istante. Mi ha incatenato a se con la sola forza di uno sguardo. Quella sera non ci siamo mollati un solo minuto, ce ne siamo rimasti seduti vicini in riva al mare a parlare per ore, senza dar bada a ciò che ci succedeva attorno. Saremo potuti essere ovunque, non esisteva più nessun altro, solo la forte alchimia dei nostri pretenziosi sguardi. Quando la spiaggia si era nuovamente spopolata, noi ancora ce ne stavamo stretti in un abbraccio ad ammirare sognanti l'orizzonte. Avevo la testa appoggiata alla sua spalla e lui, nel mentre, mi aveva accolta cingendomi a se teneramente con il braccio. Mi sentivo protetta, al sicuro. A casa. A quel giorno se ne sono susseguiti moltissimi altri. Ci eravamo trovati ormai, e non pareva proprio avessimo intenzione di lasciarci.
Il giorno di Natale di quell'anno mamma non era a casa. Non che per me fosse strano, da noi non si festeggiava mai, tantomeno le ricorrenze. Agnese lo aveva saputo e aveva voluto invitarmi a casa loro per pranzo. È stata dolcissima.
Dopo aver mangiato il panettone ce ne eravamo usciti nel porticato ed è stato lì che è successo, è stato lì che l'abbiamo progettato. Due anni e mezzo dopo siamo entrati a vivere in questa casa, pieni di aspettative, colmi di speranze. Con forte convinzione, saturi d'amore.
Chissà dov'è finito poi, tutto quell'amore. Chissà se realmente c'è mai stato.
Nora e Daniele non si sono mai presi. Mai.
Lui l'ha sempre ritenuta una sconsiderata fuori da ogni grazia, lei un presuntuoso pallone gonfiato. Lui ha sempre accusato lei di minare alla salute del nostro rapporto, lei ha sempre additato lui come quello che architettava di tutto per allontanarci.
Come ci siano finiti poi, felici assieme a desiderare pure un figlio, non riesco proprio a spiegarmelo.
Stringo ancora il mio Samsung fra le mani.
Non ha più squillato, Daniele non ha più provato a chiamare. Mi chiedo cosa avesse mai da dirmi. Fisso lo schermo con soggezione. C'è ancora un messaggio di Nora lì, pronto ad aspettarmi. Premo rassegnata sull'immagine della bustina, dopotutto di sicuro non può mangiarmi.
Due gruppi distinti di lettere appaiono chiari sullo schermo.
Faccio un po' fatica ma cerco di mettere a fuoco.
'Come stai?'
No.
L'unica cosa che mi passa adesso per il cervello è la parola no. Non può essere, non può essere così assurda.
Rido istericamente e mi alzo di scatto, ho il telefono stretto ancora fra le mani, tutto, tutto posso accettare, ma che ora si prendano pure gioco di me no, questo non lo tollero! Come sto? Hanno pure il coraggio di chiedere come sto!
Hanno fatto a brandelli il mio cuore, mi hanno avvelenata con le loro bugie, hanno giocato con i miei sentimenti, si sono impossessati della mia vita per distruggerla, e ora? Cosa possono volere ancora, ora?
Mi lascio cadere sul divano tentando di controllare il respiro e allentare la morsa ingestibile che mi stringe il petto, vorrei piangere ma ormai nemmeno le lacrime sembrano più voler collaborare, il dolore rimane tutto lì, incastrato fra le costole a comprimere feroce cuore e polmoni, impedendomi di respirare, impedendomi di vivere. Il salotto gira. Tutto gira. Respiro lentamente ma la situazione non sembra voler minimamente migliorare.
Saranno assieme adesso gli stronzi, e prima di chiamarmi si devono essere pure accordati. Nora deve avergli detto di avermi incrociata stamattina all'ospedale e a quel punto si sono premurati d'informarsi se stessi bene. Che teneri. Che carini. Quasi mi commuovo. Scuoto la testa atterrita da questa riflessione e abbandono la testa sullo schienale del divano.
Il campanello suona. Una sola volta, quasi impercettibilmente.
Non ho voglia, non ho voglia di aprire.
Sbuffo sonoramente e mi tiro su per grazia divina. La stanza continua a girarmi attorno, cammino lentamente fino all'ingresso rischiando di finire con il culo per terra per ben due volte. Mi appoggio di peso sulla maniglia e apro con fatica.
Non c'è nessuno.
Bah! Se ne saranno andati.
Mi spingo di nuovo dentro e, proprio mentre mi appresto a richiudere la porta, la scorgo a malapena cadere. Riapro il blindato di scatto.
La rosa se ne sta lì, per terra, ai miei piedi, esattamente sopra al tappetino rosso con scritto 'Welcome' che Daniele ha comprato. È caduta dall'alto, con lo spostamento d'aria, ne sono sicura, l'ho vista.
Indietreggio di un passo senza staccare lo sguardo dal fiore rosso. I battiti sono aumentati e la testa, se possibile, gira ancora più forte. Ormai non posso più mentire a me stessa, non posso più fingere che questi fatti siano legati al caso.
Qualcuno sta lanciando un messaggio e lo sta lanciando a me.
Ma chi? E cosa può avere da dirmi?
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