Capitolo 20
L'aria soffiava leggera, e le foglie degli alberi in fiore si destreggiavano in una danza delicata, cullate dal vento. Un uccellino svolazzava maldestro per poi posarsi sul legno scheggiato, cinguettando e beccandosi le piume grigie con fare agitato.
I raggi del sole penetravano timidi fra i rami di quercia, illuminando insicuri i fili d'erba del prato non potato di recente. Una coccinella si apprestava a scalare impavida il gambo di un fiore mozzato, mentre un ape solitaria svolazzava fra i germogli incolti alla ricerca del polline più prelibato. Le voci e le risate eccitate dei bambini sovrastavano l'ambiente circostante, urlavano e correvano dietro al pallone calciandolo addosso alla gente. Una donna li riprendeva gridando furiosa e ansimante.
All'ombra di un mogano, poco distante, una manina paffuta coglieva un dente di leone ormai piuttosto malandato. Lo portava al naso lentigginoso e ne aspirava avida l'odore.
-Mel! Mel!- gridava con la sua vocina stridula
L'avevo raggiunta di corsa calpestando il prato, i fili d'erba mi solleticavano i piedini nudi e la gonnellina a fiori si era impigliata ad un ramo sporgente stracciandosi da un lato.
Nora mi aveva guardata tenendosi la mano sulla bocca.
-La tua mamma si arrabbierà- aveva detto, storcendo il naso.
Nascondeva qualcosa, lo teneva dietro la schiena. Ma io lo sapevo cos'era, era il fiore giallo che aveva raccolto prima. Mi aveva fatto un sorriso sdentato, tipico di chi ha sei anni e la fatina dei denti l'ha già spennata da un pezzo.
-Questo l'ho raccolto per noi- aveva poi proclamato, sventolando fiera il gambo spiegazzato -Lo faremo seccare come abbiamo fatto con la maestra a scuola, e poi lo incolleremo su un pezzo di carta sul quale scriveremo i nostri nomi- mi guardava sognante dietro i suoi occhioni scuri fin troppo grandi -poi papà lo metterà in cornice, e quando saremo grandi e andremo ad abitare assieme prima di sposarci, lo appenderemo al muro di casa nostra-
-E quando ci sposeremo?- avevo chiesto -Non potremo continuare a vivere assieme lo stesso?-
Ci aveva pensato un attimo fissando i due petali rimasti.
-Certo!- aveva esclamato lanciandosi di peso su di me -Io non ci voglio vivere con qualcun altro se tu non ci sei!- aveva aggiunto, scoccandomi un bacio rumoroso sulla guancia -Noi saremo migliori amiche per sempre!-
-Sorelle?- avevo chiesto
-Sorelle-
Sorelle.
Ripenso a quel momento e mi si attorciglia il cuore nel petto.
Rivedo le sue manine sporche di terra che mi porgono fiere quello che è poi diventato il sigillo di un amicizia che a conti fatti forse non è mai esistita, e mi chiedo se nella vita ho mai avuto un qualcosa in cui poter credere veramente. Di quello che siamo state, alla fine non è rimasto niente.
Lo schermo del telefono, ormai, è tornato nero di nuovo.
Non ho voglia di sbloccarlo. Non ho voglia di sapere cosa ha da dirmi questa volta Nora. Non ho voglia di farmi ancora del male.
Lo appoggio nella parte vuota del letto, al mio fianco, e mi metto a sedere.
La tapparella è semichiusa, la stanza in penombra. Mi fermo a fissare lo spazio che si è creato sulla cassettiera ora che non ci sono più i porta foto appoggiati sopra. Per un attimo li rivedo li, con i volti sorridenti di me e Daniele che mi fissano beffardi.
Chiudo gli occhi e lascio sbattere delicatamente la testa al muro. Gli occhi bruciano e le lacrime spingono impazienti per sfociare in un pianto disperato. Li stringo più forte ma riesco solo a provare ancora più dolore. Le guance si bagnano, senza ritegno. I battiti del cuore si fanno fitti, stringo forte i pugni perché mi dà l'illusione di aver in qualche modo il controllo. La nausea si fa forte, la testa comincia prepotente a girare.
Mi alzo con fatica e corro spedita fino al bagno lanciandomi in ginocchio ai piedi del water. Il caldo si fa sempre più soffocante, è quasi insopportabile. La tavoletta grigia si sdoppia, poi si triplica. Alzo gli occhi spostandoli sulle piastrelle ma non va meglio.
Mi sento bollire, forse ho la febbre. Rivoli di sudore scendono copiosi dalla fronte. Piego una gamba nel tentativo di rialzarmi ma come faccio leva sul braccio appoggiandomi al wc ecco che la giostra riparte e l'acido veloce sale.
Lascio crollare la testa e attendo sconsolata che la natura faccia il suo corso.
Non sto meglio.
Faccio forza sulle braccia aggrappandomi al lavandino di fronte e mi tiro in piedi. Ho una lama che mi trafigge da tempia a tempia. Apro l'acqua gelida e mi sciacquo abbondantemente il viso. Non posso andare avanti così.
In cucina la tapparella è alzata, la luce del sole entra spavalda. Socchiudo leggermente gli occhi infastidita dalla sua invadenza. Il ticchettio delle gocce d'acqua che perde a intermittenza il lavandino si mischia allo scandire del tempo dettato dall'orologio del salotto. Il frigo emette un fastidioso ronzio, insistente ed irritante. Continua imperterrito il suo lamento senza trovare pace.
Apro insicura la dispensa alla ricerca di un minimo stimolo di fame, ma alla sola vista del cibo la nausea torna alla carica strafottente. Prelevo il pacco dei biscotti secchi che mi fanno schifo e la chiudo rassegnata.
Tiro i lembi della confezione con troppa forza strappandola irrimediabilmente.
Fanculo
Striscio violentemente la sedia sul pavimento e mi rialzo di scatto. Devo recuperare un sacchetto di plastica in cui richiuderli. Mi piego per aprire il cassetto e il telefono fisso comincia insistente a squillare.
No. Non adesso vi prego, non adesso
Mi rialzo veloce e in un balzo arrivo ad alzare la cornetta.
-Pronto?-
-Mel! Sono Carla!-
Ah grazie a Dio. Pensavo peggio.
-Ciao Carla! Come va?-
-Bene tesoro, bene. Qui tutto bene- dice -Tu piuttosto! Come stai? Come procede? Non ti abbiamo più sentita!-
Chiudo gli occhi pensando ad un modo per evadere alla domanda ma non me ne viene in mente uno.
-Io sto bene- rispondo quindi -Annoiata dal non far niente, ma tutto sommato sto bene- stringo forte la cornetta conscia di aver detto una cazzata -Comunque pensavo di passare a trovarvi uno di questi giorni!- esclamo poi, felice di aver dirottato la conversazione verso altri lidi.
-A dire il vero pensavamo di vederti già qualche giorno fa!- ribatte lei, quasi scocciata -Ti passo Elisa va', ci teneva pure lei a salutarti... Elisa! Elisa!- grida poi, richiamando in modo sgraziato al telefono la mia collega.
Si interrompe la comunicazione per un secondo, lasciando spazio al brusio di sottofondo del locale. Poi, un rumore di cornetta sbattuta e una sbuffata d'aria al microfono.
-Pronto? Pronto Mel?-
-Eli!- esclamo, decisamente più rilassata.
-Ho provato a chiamarti sul cellulare- dice, agitata -Ma perché non rispondi?-
Piego l'angolo della bocca verso il basso ripensando al messaggio di Nora.
-L'ho lasciato in camera silenzioso Eli. Stavo dormendo- Mento, ma ora non ho la forza per spiegare -Che è successo?-
-Michele- sussurra, in tono sommesso -È diventato ingestibile. Vuole sapere perché non vieni più a lavorare, arriva sbattendo le mani sul banco e grida il tuo nome. Fa paura Mel, ha gli occhi fuori dalla testa quell'uomo!-
Deglutisco trattenendo per un attimo il respiro.
-Digli che non lavoro più li- se la metterà via, prima o poi.
-Lo abbiamo già fatto- dice, dopo un sospiro smorzato -Ma lui ha grugnato e poi, con la bava alla bocca, ha biascicato un qualcosa che nessuna delle due ha capito- risoffia fastidiosamente l'aria nel microfono della cornetta -Non mi piace questa storia Mel, non mi piace proprio per niente. Ora che sei sola poi... Cerca di stare attenta!-
-Non ti preoccupare- dico, decisa -Non penso mi farebbe mai del male, anche fosse- a questo non credo veramente, ma non ho bisogno di un altro pensiero che mi faccia preoccupare.
-Vabbe'...- fa una breve pausa -Se lo dici tu! Comunque avere un occhio di riguardo non può farti male- dice poi, con fare materno -In linea generale, intendo!-
Capisco il suo messaggio fra le righe e si, ha proprio ragione.
-Ora ti lascio- esclama, con poca convinzione -Carla è già impaziente che mi guarda!-
-Capisco!- le rispondo, ben consapevole dell'impazienza di cui parla -Ti chiamo stasera Eli!-
-Ecco, brava!-ribatte lei -Vado. Ciao!-
-Ciao Miss! Buon lavoro-
Riaggancio il telefono e vengo nuovamente sommersa da un silenzio assordante, spezzato solo dal ticchettio dell'orologio. Da qui non si sente l'insistenza delle gocce e nemmeno il brusio frustrante del frigo.
Lo sguardo alienato di Michele mi si materializza davanti. Ne posso quasi sentire l'odore acre, di stantio, di sudore impregnato.
Il tempo si è come fermato.
I battiti cominciano ad accelerare, la fronte a sudare e un dubbio atroce mi mette radici nel profondo. Il suo biascicare comincia ad affollare insidioso gli incubi nella mia mente.
Lo sento chiaro, lo sento chiaro ora.
Sibila. Sibila inquietante il mio nome...
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