Capitolo 2
Percorro tentennando il lungo corridoio, interamente di marmo, fino all'ascensore. L'enorme tasto rotondo che riporta il numero zero, è bordato da una luce rossa.
Bloccato. Devo andare a piedi.
Sbuffo inviperita, e mi avvio rassegnata verso le scale.
Lo studio del dottor Lodi è al quarto piano, o almeno così diceva il cartello illustrativo all'ingresso.
Se non altro sono meno rampe di quante non me ne siano toccate per accompagnare la signora Tommasi e, per di più, questa volta non devo nemmeno sopportare il peso di un numero indefinito di borse della spesa. Arrivo alla fine dell'ottava rampa facendomi forza con questa misera consolazione.
Nel grande cartellone appeso al muro, al centro dell'androne, c'è scritto '4º Piano'. Ok. Ci sono.
Suono al campanello dell'enorme porta blindata, sulla cui targhetta è riportata la scritta 'Studio Medico' e, ancora una volta, dopo un breve e fastidioso suono, quest'ultima si apre, sempre senza che nessuna voce mi chieda di annunciarmi.
La grande e moderna sala d'attesa è semivuota.
Meglio, ciò dovrebbe significare che non dovrei attendere molto, anche se sicuramente, considerato il mio ritardo, avranno la precedenza le altre tre persone già sedute. Tre maleducati, oserei dire, visto che sono entrata e nessuno di loro mi ha degnata di uno sguardo, né tantomeno ha pensato di ricambiare al mio cordiale saluto.
Giro la testa verso la scrivania della segretaria. Non c'è nessuno. Decido allora di accomodarmi su una delle sedie lì a fianco, che già a guardarle appaiono comodissime, e finisco col perdermi ad osservare la porzione di pavimento, anch'esso di marmo, davanti a me.
Mi chiamo Melissa, Melissa Greco, in pochi mi chiamano Mel.
Sono in pochi perché, negli anni, ho scremato via via le conoscenze, pretendendo una certa qualità nei miei rapporti interpersonali, e sono finita, pian piano, per circondarmi solo da limitati eletti, ossia coloro che, a mio avviso, hanno meritato di rimanere figure ben salde nella mia vita. Ho ventiquattro anni e... Sono single.
Ebbene sì, sono single, non credo ci sia un modo diverso per definire la mia attuale situazione, e con oggi sono già otto giorni.
Vorrei poter dire di non aver contato i singoli minuti e secondi, ma purtroppo non è così.
Ho diviso con Daniele ben cinque anni della mia vita, e tutto avrei pensato, meno che vederlo finire fra le braccia di Nora, colei che fin dai primi anni d'asilo ho considerato come una sorella. Dura da accettare.
Si frequentavano già da mesi, gli stronzi. Me l'hanno fatta per bene.
Inutile dire che mi hanno distrutta, lecco ancora le ferite sanguinanti, ma sia ben chiaro, lo faccio in silenzio. Tutto, ma non arriverò a ledere la mia dignità fino a questo punto, non avranno mai la soddisfazione di vedere con i loro occhi quanto male mi hanno fatto. Devono leggere solo lo schifo che provo.
Se mi trovo qui, oggi, è anche colpa loro. Non sono più stata bene da quel giorno.
-Greco Melissa...?- una soave voce di donna si alza leggera, distogliendomi fortunatamente dai miei infausti pensieri.
Mi alzo dalla comodissima e modernissima sedia seguendo di buon passo l'esile segretaria, che non si è tolta per un solo istante quel suo fin troppo professionale sorriso dalla faccia.
Lo studio del dottor Lodi è spaziosissimo, i pavimenti seguono quella che ho capito essere la linea comune dell'edificio e sono quindi di marmo, i muri invece sono spatolati e di color grigio, un grigio molto tenue. Al centro della stanza vi è posizionata un enorme scrivania. Noto arricciando il naso che anche il piano di quest'ultima è di marmo, sulla base del bianco, le gambe invece sono di legno, come anche le sedie che vi sono posizionate attorno. Una più grande da un lato, quello opposto a dove mi trovo io, e due più piccole e modeste dall'altro. Mi accomodo su una di queste e attendo.
Non ci sono lettini o nessuno strumento tipico che ricordi uno studio medico qua dentro, la cosa mi lascia perlplessa. Mi guardo intorno perdendomi nella vastità della stanza, che appare forse più grande di ciò che in realtà è, perché molto spoglia. Oltre alla scrivania, c'è solo una piccola libreria e una cassettiera, di quelle in ferro, che deve contenere documenti e incartamenti vari. Non posso fare a meno di soffermarmi sul tavolo sul quale sono seduta e pensare che, effettivamente, non c'entra nulla nel suo stile, con la linea che segue il resto dello studio.
Il dottor Lodi entra da una porta laterale, ha la testa bassa e lo sguardo rivolto alla cartellina che tiene fra le mani.
-Buongiorno- dice, alzando gli occhi nascosti da lenti troppo spesse, per poi rivolgerli verso di me. -Lei è la signorina Greco.- afferma poi, sottolineando l'ovvio e accomodandosi sulla sedia che mi si trova di fronte.
-Esatto.- ribatto io, rizzandomi composta -Buongiorno dottore.-
Comincia a sfogliare i fogli contenuti nella cartellina che stringeva fra le mani fino a poco fa, battendo ritmicamente le dita sul marmo della scrivania. Sembra decisamente assorto.
Mi sposto leggermente sulla destra, appoggiandomi totalmente al poggia braccia della sedia, tentando così di evitare il raggio di sole impertinente che mi sta molestando da almeno cinque minuti, ossia da quanto mi sono seduta ordinata all'arrivo del medico. Ci riesco con successo, anche se questo significa assumere una posa decisamente più... Comoda, diciamo.
Il dottor Lodi non mi degna della minima attenzione, continua inesorabile a passare le dita di una mano fra le carte e a intonare una specie di marcia da esecuzione capitale con le dita dell'altra. Comincio a muovere nervosamente una gamba, poi passo ad arricciarmi un singolo ciuffo di capelli freneticamente. Lo faccio sempre quando sono nervosa, afferro una piccola ciocca dei miei lunghi capelli castani e la torturo per ore, arricciandomela fra le dita.
Il silenzio si fa disarmante e percepisco l'ansia salire come un formicolio che parte dalla più profonda estremità del ventre. Fisso il medico che ho di fronte intensamente, forse sperando così di richiamare la sua attenzione. Niente.
Rimane a testa bassa per un altro paio d'interminabili minuti, poi, finalmente, alza il viso e mi rivolge lo sguardo.
-Bene, signora Greco. Ho visionato tutte le sue carte- asserisce, con aria risoluta.
Non mi era mai capitato prima d'ora che mi chiamassero 'signora', complice forse il fatto che dimostro decisamente meno rispetto i miei ventiquattro anni. Devo dire che fa uno strano effetto.
-So che si è rivolta a noi per un controllo generale- continua, -e posso dirle tranquillamente che è tutto a posto, lei non ha niente che non va, signora Greco- si ferma un momento per cambiare espressione e, dopo essersi rivestito di un sorriso professionale e falso tanto quanto quello della sua segretaria, lascia cadere sulla scrivania le carte, e dice -Lei è incinta, signora Greco! Le faccio i miei più sentiti complimenti!-
Ok.
Ora svengo.
Non l'ha detto veramente, sono io che ho capito male. Incin.. Cosa?? Come? Quando?? Perché??? No. Non è possibile. Non è assolutamente possibile.
Respira Melissa. Respira.
-N..non è possibile...- ribatto, con un filo di voce.
Il dottor Lodi si toglie il falso quanto irritante sorriso dalla faccia e ritorna ad indossare le vesti austere e risolute di poco prima.
-C'è qualcosa che non va signora Greco? Le ho dato forse una cattiva notizia?- chiede, cercando di dare un senso alla mia tutt'altro che felice reazione.
Signora Greco. Quanto m'innervosisce sentirmi chiamare 'signora' Greco.
Cerco di riprendermi, nonostante quelle due parole, che lui non sa, ma mi si sono schiantate dritte in faccia, con la stessa violenza che avrebbe avuto l'impatto con un treno in corsa lanciato alla massima velocità.
'È incinta', ha detto, e lo ha fatto con la stessa tranquillità che avrebbe potuto usare per informarmi che ciò che mi tormenta da settimane è una semplice influenza.
Invece no, è qualcosa di molto più grande. Qualcosa d'infinitamente grande, e l'uomo che ho davanti non sembra comprenderne nemmeno in minima parte l'enormità.
-Ci dev'essere un errore- affermo, decisa. -Io ho sempre preso la pillola.-
Il dottor Lodi si riarma di un sorriso alquanto beffardo, solleva il sopracciglio brizzolato, e risponde -Nessun errore, signora Greco, glielo assicuro- sospira, e riprende, orgoglioso di poter sfoggiare le sue competenze -come penso lei già ben saprà, la pillola non è sempre un metodo contraccettivo infallibile. Le basti pensare che è sufficiente una semplice influenza intestinale per alterarne l'effetto. Ignorare questi possibili e importanti fattori di contrasto, può portare anche ad avere fastidiosi effetti indesiderati, quali sono le gravidanze non gradite. In ogni caso, lei è già in sei settimane.- conclude, apparentemente soddisfatto per avermi tappato la bocca.
In sei settimane? Ma sei settimane de che?? No. Non è possibile.
-Ho avuto il ciclo- controbatto, in preda alla più totale confusione. -Non è possibile!-
-All'inizio della gravidanza, signora Greco, alcune donne possono avere delle perdite di sangue, generalmente lievi, che vengono abitualmente scambiate per il ciclo mestruale. Mai sentito parlare di perdite da impianto?- risponde lui, quasi seccato dalla mia presunta ignoranza in materia.
Vorrei controbattere, chiedergli qualcosa, chiedergli perché, come e quando è successo, ma non mi esce una sola parola dalla bocca. Sono paralizzata.
-Signora Greco, tutto ok? Vuole che chiamiamo il suo compagno?-
Mi sta guardando impaziente. Probabilmente il mio turno dovrebbe già essere finito da un pezzo e sto ritardando la sua tabella di marcia, ergo, non vede l'ora di sbattermi fuori di qui.
-Non c'è nessun compagno- rispondo, stringendo subito poi la lingua fra i denti, onde evitare di sfancularlo per la sua indelicatezza.
Il dottor Lodi mi rivolge uno sguardo indefinito, misto tra il disgusto e la compassione. Lo odio, si, lo odio.
È proprio vero, per fare certi lavori ci vuole una sorta di vocazione, non son certo per tutti. Diciamo che, per fare il medico, avere una buona dosa di empatia e umanità non guasterebbe. Ma non mi sembrano certo doti attribuibili a costui che mi trovo di fronte.
-Si prenda il suo tempo per riflettere e... non dimentichi che ci sono tante vie, signora Greco- conclude poi, lanciando fra le righe un triste messaggio, e liquidandomi senza darmi possibilità di replica alcuna.
Esco dallo studio, trascinandomi letteralmente su gambe che, a quanto pare, non vogliono più saperne di reggermi su.
Il freddo vento che mi accoglie all'esterno non sembra più così nemico ora, resto immobile qualche secondo lasciando che giochi vispo con i miei capelli, nella speranza che, almeno lui, riesca a restituirmi l'energia necessaria.
Aspetto un figlio, un figlio che è anche dell'uomo che mi ha tradita, mi ha tradita con quella che è stata la migliore amica di sempre, l'altra parte di me, oltre a lui.
Aspetto un figlio che è anche di un uomo che ora ama un'altra, che è stato mio ma non lo è più e non tornerà mai ad esserlo.
Aspetto un figlio che non dovrei aspettare.
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