Capitolo 14

Lo guardo sorpresa.
Mi sarei aspettata di andare a sbattere contro chiunque meno che a lui. Di nuovo.
Il ragazzo mi porge la mano, ancora una volta, guardandomi fisso con quegli occhi color ghiaccio magnetici ed enigmatici che mi hanno perforato l'anima già al primo incontro.

-Scusa- dico imbarazzata, approfittando nuovamente del suo aiuto e afferrandogli incerta la mano per rimettermi in piedi. -Ero di corsa, ha squillato il cellulare e...-

-Attenta!- mi ferma lui. -Potrei anche pensare che tu lo faccia apposta...- dice, sfoggiando un sorrisetto beffardo tipico di chi ti sta palesemente canzonando.

Lo guardo leggermente storta.

-Comunque piacere- continua -Io sono Andrea e abito da poco in città!- esclama, porgendomi di nuovo la mano, questa volta per presentarsi. Ha un sorriso stupendo.

-Piacere.- dico io stringendogliela, più per cortesia che per altro, visto che sono in ritardo e non vedo l'ora di defilarmi. Oltretutto io il suo sguardo non lo reggo, mi mette in imbarazzo, me ne voglio andare. Subito.
-Sono Melissa.- concludo.

Molla la sicura presa e, senza togliermi gli occhi di dosso mi chiede dove sono diretta.
Lo guardo perplessa.
Lui continua a fissarmi, in attesa di risposta, non rendendosi minimamente conto di aver fatto una domanda fuori luogo. Dopotutto neanche ci conosciamo, perché mai dovrei dirgli dove devo andare.
Magari è un maniaco.

-A cena.- rispondo, comunque. Non ha la faccia da maniaco, perlomeno non sembra. -Con un'amica. Un'amica che mi aspetta da almeno un quarto d'ora- aggiungo, sottolineando il mio ritardo e sperando di riuscir a porre quindi fine nell'immediato all'imbarazzante conversazione.

-E dove?- chiede lui, sempre più invadente.

-Poco lontano da qui- rispondo, vaga e leggermente scocciata -Ora scusami, ma devo proprio andare- concludo, avanzando di un passo per tener fede a quanto appena detto.

-Aspetta!- esclama lui, chinandosi verso il marciapiede. -Ti è caduta questa- dice poi, rialzandosi e porgendomi la rosa rossa che ho trovato poco fa sul pianerottolo di casa.

Dev'essermi caduta dalla borsa quando son finita per terra.

-Grazie.- dico io, visibilmente a disagio e afferrando il fiore ormai malconcio. -Ci vediamo... Buona Serata.- concludo, infine.

Mi sorride salutandomi a sua volta, ma sembra quasi deluso, dispiaciuto.
Forse mi avrebbe volentieri invitata a bere qualcosa, in fin dei conti è un uomo e io non sono proprio del tutto da buttare, ci sta.
Ma comunque non credo si perderà d'animo, è un bellissimo ragazzo, sicuramente ne avrà già una schiera di donne che non aspettano altro che un minimo cenno da lui.
Appena girato l'angolo, di me, si sarà già dimenticato.
E io non ho bisogno di questo, non ho bisogno di niente anzi in questo momento, se non di convogliare tutte le attenzioni ed energie verso me stessa e quella che è la mia attuale situazione. Un uomo non è di sicuro una soluzione, nemmeno come semplice diversivo, prima ho bisogno di ritrovare Melissa.

Sono arrivata da Camilla con ben sedici minuti di ritardo.
È stata clemente comunque, non mi ha sfanculata, complice anche il fatto che nel frattempo ha incontrato un cliente del locale dove lavora (che, fra l'altro, le piace un sacco) ed è stata invitata ad attendermi seduta al bar con davanti un succulento spritz.
Diciamo che mi ha quasi ringraziata per essere arrivata più tardi del previsto.
Mi sono unita a loro ordinando un aperitivo a mia volta e, dopo aver fatto due chiacchiere in compagnia abbiamo salutato Simone, che ha protestato scherzosamente perché non voleva ce ne andassimo, e ci siamo avviate al ristorante cinese poco distante. Per fortuna aveva prenotato, perché era pieno di gente.
Ho ordinato involtini primavera, spaghetti di soia con carne e pollo piccante, lei invece ci ha dato di zuppa di pesce, riso alla cantonese e pollo al curry. Poi, alla fine, abbiamo diviso un po' il tutto.
La cena è trascorsa in modo piacevole, abbiamo chiacchierato del più e del meno senza però addentrarci in discorsi infelici.
Quando ci siamo alzate da tavola per poco non rotolavamo entrambe. Abbiamo preso un gelato e lo abbiamo mangiato camminando fino alla fermata del tram. Sono riuscita a prendere l'ultimo per un pelo. Camilla mi ha salutata lì, e ha proseguito a piedi fino casa sua, poco distante.

Le luci dei lampioni illuminano insicure la strada.
Una polo sfreccia nella penombra, rompendo l'assordante silenzio della notte. Una volta sparita nel buio, solo il forte frinire dei grilli rimane a diffondersi imponente nell'aria.
Cammino a passo spedito fino al cancello, frugando nella borsa in cerca delle chiavi.
Mi sembra di scorgere una figura che si muove nell'ombra, proprio lì, a pochi passi dal portone, dove iniziano i garage. Allungo la testa decelerando nel tentativo di vederci più chiaro. La luce fissa dell'androne delle scale diffonde un timido bagliore che si irradia in parte del giardino. Non sembra esserci nessuno.
Proseguo fino a raggiungere l'atrio, quasi correndo. Una volta dentro, scuoto la testa divertita pensando alla forte suggestione che mi hanno creato le teorie della signora Meli. Ho addirittura pensato di aver visto qualcuno. Ridicolo.
Salgo zompettando i cinque piani di scale. Questa sera sono quasi allegra, non so spiegarmi come sia possibile, ma è così.
Dentro casa fa caldissimo.
Comincio a spogliarmi appena richiusa la porta alle spalle avviandomi, nel mentre, diretta alla doccia. Il rumore deciso del getto d'acqua irrompe nel silenzio assordante del bagno. Sembra pioggia che cade infrangendosi sull'asfalto della strada.
Chiudo gli occhi godendomi la dolce melodia e mi ci immergo sotto, lasciandomi scivolare le gocce fresche e rigeneranti sul corpo. Ne esco rinata.
Ora posso quasi dire di essere pronta per dormire.
Faccio un ultima tappa in cucina, optando per una camomilla. Metto l'acqua sul fuoco ed esco fuori in terrazza.
Una leggera brezza mi accarezza delicata il viso, sorrido serena al suo tocco raffinato accoccolandomi sullo sgabello.
I ciclamini rosa nei vasi appesi al parapetto si muovono impercettibilmente, li osservo accarezzandone lievemente i petali vellutati e respirando a pieni polmoni per godere a pieno del gradevole profumo.
Mi torna alla mente il giorno in cui Daniele ha portato a casa i semi.
Era una giornata di pioggia, ma lui aveva voluto a tutti i costi piantarli, sparpagliando terra per tutta la terrazza e impiastricciando, ovviamente, tutto il pavimento.
Quando sono rientrata dal lavoro, per poco non lanciavo tutto giù in strada. Inutile dire che non aveva pulito niente, eh no, lui il suo lavoro (casino) già l'aveva fatto. Quello toccava a a me. Da tanto ho urlato quel giorno ricordo di essere rimasta senza voce per quasi una settimana.
Riusciva spesso a farmi davvero arrabbiare, lo stronzo. Ma poi era anche bravissimo nel farmi sentire in colpa, oh sì, in quello era veramente bravo.

Si percepisce appena lo sfrigolio dell'acqua che bolle, in lontananza. Mi alzo e raggiungo il fornello.
Con la camomilla fumante fra le mani, torno serena all'aria aperta.
Il silenzio ora è assordante, nemmeno i grilli cantano più. La strada sottostante è deserta. Fisso la bibita calda dentro la tazza.
Un rumore ferroso irrompe all'improvviso, facendomi sobbalzare.

Rialzo di scatto lo sguardo dirigendolo verso di sotto.

Una figura sinistra ha scavalcato il cancello del giardino condominiale ed ora si sta allontanando nell'oscurità della notte.
Un fremito di paura parte da dentro. La tazza mi cade dalle mani, infrangendosi sulle piastrelle della terrazza e rompendosi in tanti piccoli pezzettini.

Esiste, esiste davvero.

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