Capitolo 12

-Signorina Greco? Signorina Greco, mi sente?-

Apro con fatica l'occhio sinistro e scorgo due baffi crespi e grigi che si agitano a pochi centimetri dalla mia faccia. Schiudo anche l'altro occhio e un signor Giordano trafelato appare all'improvviso alla mia vista. Mi guardo attorno e mi rendo conto solo dopo qualche istante di essere distesa sul pavimento del pianerottolo.

-Oh, Santo Iddio, menomale! Non mi stava rispondendo, mi ero preoccupato!- dice, mentre intanto con fatica io mi metto a sedere.

Ho la schiena a pezzi. Provo a tirare le braccia nella speranza di rilassare in parte le contratture. Noto di avere una copertina leggera di cotone rosso sopra le gambe, deve avermela messa addosso lui poco fa. Piego una gamba e mi faccio forza sul braccio nel tentativo di rialzarmi. L'uomo mi guarda perplesso e sembra anche alquanto preoccupato, visto che sto facendo più fatica del normale a mettermi dritta.

-Allora... Si può sapere cosa ci fa qua? Non c'è l'ha un letto in casa per dormire?- chiede, con il solito fare burbero che lo caratterizza.

Vedermi alzare in piedi deve averlo tranquillizzato.

-Mi sono chiusa fuori ieri sera tardi.- dico, per giustificarmi. -Non sapendo dove andare mi sono accomodata qui, nella speranza che arrivasse presto mattina.- concludo poi, raccogliendo la coperta da terra e porgendogliela.

Il signor Giordano contrae i muscoli del viso e mi guarda di traverso.

-Beh? Devo ripiegargliela io?- chiede, arricciando i baffi alquanto scocciato.

Resto immobile per un attimo poi, rendendomi conto della gaffe, ritiro le mani con le quali gli stavo porgendo il pezzo di stoffa rosso, e rispondo -Deve scusarmi, mi sono appena svegliata.- credo di essere rossa paonazza -Prima la lavo e poi gliela torno.- concludo poi, deglutendo a fatica.

Ernesto Giordano aggrotta la fronte rugosa che si raggrinzisce, se possibile, ancora di più. -Ma cosa sta dicendo?- dice -Ha battuto la testa? Quella coperta non è mia!-

Ora la fronte l'ho aggrottata io.
Se non è sua, allora chi può avermela messa? Io abito al penultimo piano, quasi nessuno si spinge fin quassù, ad eccezione appunto del signor Giordano che mi abita affianco e della signora Tommasi che sta al sesto.
L'appartamento di fianco a lei è sempre suo, ed è disabitato ormai da tempo, visto che da quanto ne so lo usava il figlio per alloggiarci durante le brevi visite alla madre. Quindi, non rimane nessun altro.

-Che ore sono?- chiedo.

Magari è mattino inoltrato, e la signora Tommasi è già scesa per le spese.
Questo spiegherebbe il perché io mi sia ritrovata coperta, anche se comunque non mi spiegherei il motivo per il quale mi ha lasciata lì, senza tentare di svegliarmi.

-Le sette e mezzo del mattino- afferma un signor Giordano sempre più irritato -se non le dispiace, io ora dovrei andare- conclude poi, dandomi le spalle e avviandosi verso le scale borbottando fra sé e sé.

Le sette e mezzo. Non è possibile.
Livia Tommasi esce tutte le mattine alle otto, non un minuto prima, non un minuto dopo, anche perché il supermercato non apre prima di quell'ora, e non avrebbe senso per lei muoversi con tanto anticipo.
E allora, chi è stato?
Tiro fuori il cellulare dalla tasca della tuta e apro la fotocamera per guardare in che stato è la mia faccia. Improponibile. Vabbe', non che me l'aspettassi altrimenti.
I capelli poi, non ne parliamo, assomigliano tanto ad un mocio, quello che si usa per pulire i pavimenti.
Sospiro rassegnata al fatto che non ho alcuna possibilità di migliorare la mia immagine e mi appresto a scendere a mia volta le scale, componendo intanto il numero di mia madre, che sarà furiosa, visto che mi sono dimenticata di mandarle il messaggio ieri sera.
Risponde dopo un solo squillo.

-Che fine hai fatto?- urla, aggredendomi dall'altra parte del telefono. Per fortuna.

-Ciao mamma. Scusa ma ieri non stavo bene e mi sono addormentata.- dico, condendo la mia risposta con un sospiro convincente -Quando mi sono svegliata era già tardi, e avevo paura di svegliarti- concludo poi, sperando che le sia sufficiente come giustificazione.

-Ancora non stai bene Melissa?- tuona lei, come se fosse una mia colpa -Eh no!- continua, -Adesso lo chiamo io quel dottor Lodi, voglio vederci chiaro, con tutti i quattrini che ti ha spillato...-

-NO!- affermo, decisa. Adesso sto gridando anche più di lei. -Sono abbastanza grande per vedermela da sola mamma, grazie lo stesso.- sto grugnando dalla rabbia -ho mangiato del sushi ieri a pranzo e deve avermi fatto male. Sono andata a fare un giro al centro commerciale.- dico poi, stringendo forte il pugno libero al ricordo del giorno prima. -In ogni caso ti chiamavo perché mi sono chiusa fuori, e ho bisogno del doppione delle chiavi.- concludo, felice di essere arrivata finalmente al sodo.

Sospira a sua volta, come dispiaciuta. -Ora non sono a casa, Melissa.- risponde, sconfiggendo ogni mia speranza. -Sono fuori città con Mario e non rientrerò prima di domani sera.- aggiunge poi, dandomi il colpo di grazia.

Devo reggermi alla maniglia del portone, per evitare di cadere.
Mario è il nuovo fidanzato di mia madre, e fanno spesso week end fuori porta come due giovani fidanzatini.
-È molto meglio della convivenza- aveva detto lei -così è impossibile che si spenga la passione-

Mi sa che aveva ragione.

Oltretutto lei mi crede ancora con Daniele, ergo, penserà che passeremo la notte a casa di sua madre, o che lui abbia una coppia a sua volta per aprire la serratura che ho appena cambiato.
Chiudo la telefonata nel panico più completo.
Sono chiusa fuori fino a domani sera, vestita con un paio di pantaloni della tuta slavati e una maglietta rosa a pois che a tutto può servire, meno che a girarci per strada. Per non parlare del mio aspetto poi, che si addice perfettamente all'immagine della tossicodipendente scapestrata appena evasa dal centro di recupero.
Se non avessi il terrore di finire rinchiusa in qualche ospedale psichiatrico, dato il mio stato mentale dell'ultimo periodo, credo inizierei ad urlare.
Ravano dentro la tasca della tuta e tiro fuori quattro euro di moneta e qualche spicciolo. Il resto di ieri, delle sigarette.
Sicuramente non sono sufficienti per prendere una stanza in albergo, li userò quindi per fare colazione, visto che il buco sullo stomaco comincia a farsi sentire prepotente.
Mi lancio fuori dal cancello del giardino condominiale assistita da una nuova forza, donatami dal pensiero del succulento cornetto alla crema che mi sarei sparata a breve.
Attraverso la strada rischiando quasi di farmi investire e proseguo per qualche centinaio di metri, fino a via Mazzini.
Al civico 34, da non più di un paio di mesi, una giovane coppia ci ha aperto una pasticceria, tentando la sorte. Devo dire che sono molto bravi entrambi, spero vivamente che vengano sempre assistiti da una buona stella.
Entro da 'Sweet Dream' e un irresistibile profumo di brioches appena sfornate mi avvolge. Aspiro profondamente l'aria per assaporarlo fino a fondo.
Silvia è al banco, con i suoi capelli biondi perfettamente ordinati, e mi guarda stranita attraverso enormi occhioni verdi da cerbiatta.
Chissà cosa starà pensando nel vedermi conciata in questo stato.
Magari crederà che io sia uscita completamente di testa, tanto alla fine lo hanno saputo tutti che Daniele se n'è andato, perché non pensare che mi sia ridotta in stati pietosi per questo.
Le sorrido, anche se in realtà vorrei sprofondare sotto il pavimento e mi avvicino a lei come niente fosse, che ricambia non meno perplessa di prima il mio sorriso. Poi, da donna intelligente qual è, mi chiede cosa desidero ordinare senza fare domande.
Ho preso ben due cornetti, uno alla crema e l'altro al cioccolato.
Può sembrare esagerato, lo so, ma in fin dei conti ieri sera non ho mangiato.
Ho rinunciato al cappuccino schiumoso per lasciar spazio ad un più stimolante caffè e, dopo aver ritirato il tutto, mi sono accomodata su uno dei tavolini del plateatico esterno. Non ho lasciato che Silvia mi servisse, c'è molta gente in pasticceria stamattina e ha già il suo bel da fare.
Afferro la prima brioches e la porto alla bocca, chiudendo gli occhi per assaporare a pieno il sapore del primo morso. È a dir poco deliziosa, il gusto travolgente della crema appena fatta mi esplode in bocca rallegrando, se non altro, le mie papille gustative.
La ripongo sul piattino soddisfatta per passare, intanto, al caffè.
Poi, anche se solo per un istante, una strana sensazione mi attraversa il corpo trafiggendomi.
Una figura misteriosa cammina dall'altra parte della strada, a testa bassa. Porta una felpa appesa al braccio e sono sicura di intravedere pure un cappuccio.
È lontano ormai, mi da le spalle, ma posso dire che è sicuramente moro. E giovane, anche se non troppo.
Per un attimo mi balena per la mente il pensiero che possa essere il tipo balordo di cui tanto parlano le mie vicine di casa.

E se fosse stato lui a coprirmi questa notte?

Scuoto la testa a quell'assurdo pensiero e mi ricompongo, continuando poi, assorta nelle più strane riflessioni, la mia succulenta colazione.

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