「31/03/1866」
36.
Era imbarazzante quella situazione, in cui sia Jungkook sia Namjoon erano seduti sul marciapiede di Place de La Concorde, uno spazio immane nel quale loro due sembravano due minuscole formiche rannicchiate su loro stesse.
«Senti, mi dispiace. Non avrei voluto che ti capitasse tutto questo.» confessò Kook, alzando il capo e rivolgendo gli occhi verso quella carrozza che stava passando davanti a sé, poiché non aveva intenzione di rivolgere lo sguardo al suo amico. Faceva bene, dato che gli occhi lucidi del più grande avrebbero suscitato in lui un senso di sbaglio più intenso. Nessuno dei due non aveva detto niente da quando avevano lasciato Yoongi e Jimin nei pressi dell'Arco di Trionfo.
«Tu mi hai portato qui, mi hai trascinato qui da quella che era diventata casa mia, perché potessi rincontrare Yoongi e farmi dire che lui in questi due anni ha sempre e solo amato un altro uomo e che la mia unica utilità è stata quella di rimpiazzarlo.»
Il suo tono era rotto, Jungkook fece fatica a trattenere delle empatiche lacrime ribelli. Non sapeva che cosa avrebbe combinato se fosse mai capitato lo stesso con Taehyung: forse avrebbe dato di matto, il che pareva il minimo, mentre Namjoon invece era fin troppo calmo in quella situazione così triste.
Facendo mente locale, era stata per colpa di Yoongi che loro due avevano litigato. Certo, in primis perché Jungkook era un idiota, ma la motivazione era lui. Ma cosa stava andando a pensare, nessuno sa le conseguenze delle proprie azioni e Yoongi non avrebbe mai immaginato che un suo modo per distrarsi avrebbe causato un effetto disastroso per altri ragazzi. Disastroso non proprio: gli avvenimenti vissuti con Tae si sarebbero svolti alla stessa maniera? Era da egoisti da pensarla in quella maniera, ma era proprio innegabile che tutto ciò non fosse servito a qualcosa.
«Avresti preferito rimanere lì sperando invano in un ritorno di Yoongi o è stato meglio dirti la verità? Quella non era casa tua, Parigi è la tua casa, con i tuoi amici che non vedi da chissà quanto tempo, a cui tu hai mandato quella lettera, e che non ti hanno mai dimenticato.» gli disse con dolcezza, tirando su col naso alla fine della frase.
«Non mi hai mai dimenticato, ma evidentemente non sono più il tuo migliore amico. Forse il tuo migliore amico è proprio Jimin, no? Ti sei schierato dalla sua parte, eri d'accordo con questo piano. Yuqi anche, solo che, impulsiva com'è, non ha dato ascolto al suo buonsenso.»
«Volevamo fare ciò che era più giusto per te.»
«Avete sbagliato.» concluse Namjoon, guardando le proprie scarpe dato che non se la sentiva proprio di rivolgere il volto al cielo così nitido e soleggiato: contemplare una bellezza tanto intensa in un dolore così grande, non avrebbe fatto altro che imbruttirla.
Quel pomeriggio di discussione era ancora del quindici marzo: giorno delle idi che furono fatali per il console di Roma quanto per Joon, a cui parve di essere stato colpito da altrettante ventitré coltellate solo con l'uso delle parole. Jungkook, Yuqi e Jimin erano giunti nel suo paesino sperduto della Baviera, seguendo l'indirizzo scritto sulla lettera, e gli avevano detto di tornare con loro a Parigi, poiché Yoongi era lì e doveva parlargli di una cosa di estrema importanza. Addirittura, arrivò a pensare che gli volesse fare una proposta di matrimonio, anche se sarebbe stato impossibile agli occhi della legge; mai sarebbe stato in grado di immaginare un tale affronto! Non aveva avuto neanche per un secondo dei dubbi sulla parte più infedele di colui con cui desiderava condividere il resto della sua vita.
Era entusiasta nel rivedere Yoongi: Jungkook era rimasto con lui tutta la notte precedente ed erano andati in uno dei tanti locali in cui, tempo prima, passavano le serate spensierati e questo provocò loro tanta nostalgia, facendo sperare che sarebbe tornato tutto alla normalità e che potessero tenere tra le mani tutta la felicità che desideravano e si meritavano. In quanto alle scuse che Kook gli doveva, esse furono la prima cosa che si diedero non appena si ricongiunsero, in Baviera. Un grande abbraccio, il quale fu in grado di far sciogliere tutte i nodi delle preoccupazioni e delle colpe che si erano creati attorno al cuore del minore. Namjoon non ce l'aveva più con lui e si era pian piano accorto che il dolore causato dalle sue parole si era svilito e il rancore era passato.
Si era ricordato di quanto non potesse fare a meno del proprio migliore amico di cui non aveva avuto più tracce. Quello fu uno dei motivi principali che lo spinsero a scrivere finalmente una lettera ai ragazzi per comunicare come stesse.
Insomma, quella notte Kook e Joon ebbero il tempo di rinvigorirsi e recuperare le nottate passate da tutt'altra parte: ubriaco com'era, Jungkook si lasciò anche sfuggire che ormai viveva a Vienna con Taehyung, un ragazzo a cui si era legato sentimentalmente e per cui ormai provava qualcosa di potente, un'emozione che non aveva mai avvertito prima di allora. Namjoon non ci fece caso, dato che era brillo anche lui: le verità dell'altro passarono in secondo piano e fu come se non avesse mai confessato nulla. Ah, vero, non era in programma raccontargli di tutte queste novità. Verità, verità, verità, avevano organizzato tutto quel casino con il fine di fargli conoscere la verità, ma per primo Jungkook agiva come bugiardo per non sentirsi giudicato. Omettere la realtà dei fatti è sempre la scappatoia più efficiente.
La mattina fu fatidica, poiché con Jimin si erano prefissati di incontrarsi alle undici davanti al monumento commemorativo della vittoria napoleonica: accanto al biondo vi era anche Yoongi, come si erano concordati i due la sera prima, e Namjoon fu sul punto di corrergli contro e abbracciarlo, tutto mentre aveva un sorriso che andava da una parte dall'altra del viso e gli occhi tanto chiusi da non riuscire a vedere nulla. Saltellò, fece qualche versetto che evidenziò bene la sua euforia, ma quando fu sul punto di allargare le braccia, egli venne frenato di colpo e e tutto il suo corpo si irrigidì, diventando un grade e solido blocco.
Lo avrebbe riconosciuto tra tutta la gente del mondo, per cui quello non era affatto il suo Yoongi, i suoi occhi che non emanavano più la stessa allegria parlavano chiaro. Quel suo splendido sorriso si incurvò pian piano e sentì quell'orribile peso sulle proprie spalle, il macigno che gli impedì di camminare e lo fece fermare gradualmente, impuntandosi in mezzo alla strada, senza più voglia di andare verso il ragazzo tanto amato. Se Namjoon, fra tutti quattro, era quello schiacciato dal macigno, Jungkook e Jimin cercarono di distogliere gli sguardi dalla scena a causa del groppo amaro che avevano in gola; stavano facendo del bene, non del male, poiché la speranza è colei che raschia di più l'animo, più di qualsiasi altra cosa. Se ne sarebbe dimenticato, dimenticato di quel ragazzo, lo avrebbe fatto e lui sarebbe stato bene, sarebbe tornato a sorridere perché sostenuto da se stesso e non da un'altra persona. Anche se per un po' lui si sarebbe sentito abbandonato dal mondo, così non era, poiché lui aveva così tante persone accanto che erano in grado di sostenerlo; e anche se questa gente pareva troppo poca, così non era, perché anche un solo animo vicino e stretto era un grande dono, meglio del crogiolarsi nella solitudine.
"Lasciamoli soli" disse il biondo, mettendo una mano sulla spalla di Jungkook.
«Sai cosa ho provato? Ho avvertito come se neanche tu fossi più dalla mia parte e fossi andato dalla loro. Mi sono sentito tradito: e come biasimarti, noi ci siamo persi e non penso nulla tornerà mai come prima. Sarebbe cattivo imporre chi, tra me e Jimin, devi preferire, poiché è una tua scelta. Non so, non sono abbastanza lucido da capire se ti voglio ancora come amico.»
«Sono un pessimo amico, ma le mie scelte non dovrebbero influenzare i nostri rapporti, soprattutto se non vengo influenzato dalla simpatia verso nessuno, ma solamente dall'intenzione di fare ciò che è meglio per tutti quanti e, puntualmente sbaglio. Sbaglio sempre, credo che tu abbia capito come sono fatto, dato che mi conosci da anni e almeno sotto questo aspetto non sono cambiato neanche di un millimetro. Vorrei aver subito un cambiamento, ma per quanto io ci provi non ne sono in grado, per cui devo accettarmi così come sono. Hai davanti a te lo stesso Jungkook di due anni fa: forse sono maturato, oppure lo faccio solamente sembrare, quando invece rimango sempre quel ragazzetto ventenne, ventunenne, o così come ero durante l'adolescenza. Che so, forse sono destinato a rimanere un giovane per sempre, intrappolato dalle catene della mia mente: non basta quanto io provi a divincolarmi, ad urlare, ma la mia maschera di fuori mostrerà perennemente la solita espressione.»
«Se questa dovesse essere l'ultima volta in cui ci vedremo, lo sarebbe perché mi ricorderesti del mio dolore ed io non voglio pensarci. Jungkook, sono distrutto, tu non capisci veramente. Cosa faresti se la persona che ami di più al mondo ti scaricasse. E perché? Hai fatto qualcosa di male? Hai solo avuto la sfortuna di arrivare più tardi, hai creduto che i vostri destini fossero intrecciati da qualcosa di più forte dal semplice "ti amo".»
Jungkook abbassò il capo, pensando a quella eventualità che lo fece rabbrividire poiché comparì davanti ai suoi occhi come se fosse nel suo incubo peggiore. Cupo, scurito dall'ombra di quella carrozza che si era posta davanti a loro, per far scendere i passeggeri dalla parte opposta. La giacca del bruno si sporcò della polvere che le ruote e gli zoccoli dei cavalli avevano alzato; un po' di detriti gli finirono anche tra le ciocche dei capelli. Non voleva immaginare Taehyung che se ne andava via, ma perché continuava a farlo? Era forse una punizione divina per ciò che aveva fatto a Namjoon? E se la sola fantasia era come una tortura, come se l'avessero legato per mani e piedi e lo stessero tirando dalle parti opposte, come se, goccia dopo goccia, fosse costretto ad avvertire sopra al suo capo un potente e corrosivo acido, come sarebbe potuto esserlo nella realtà?
No, no, non desiderava immaginarselo, doveva fermarsi, doveva impedire al suo cuore di battere così forte da uscire fuori dal petto, in preda al bruciore, così doloroso da spingerlo ad urlare. Come aveva fatto, cosa era successo, perché? Perché proprio lui doveva finire per essere così malato di quel sentimento, perché non poteva rimanere per conto proprio? Forse lui e Taehyung erano destinati ad incontrarsi, ma se non fosse stato così? Cosa avrebbe fatto, come avrebbe potuto smettere di attingere a quella fonte che gli causava dipendenza?
«Jungkook? Tutto bene?»
Aveva notato che si era incurvato di più rispetto a qualche minuto prima, come assalito da un malore. Non ci aveva sbagliato di molto, ma a lui ciò non poteva proprio raccontarlo. Di nuovo, l'omissione è la scappatoia da un giudizio critico.
«Sto bene.» Namjoon annuì e tornò a guardare davanti a sé, non appena la carrozza si spostò dal punto di cui si erano messi a sedere, tornando a far risplendere il sole sopra i loro visi, anche se in quella dolorosa giornata era come se non esistesse.
«Tu non mi capisci, Kook, lo so che non mi capisci.» riprese, per cui il minore fece lo sforzo più grande di posare lo sguardo su di lui, anche se non riuscì proprio a scontrare gli occhi.
«Perché non posso capire? Non sono tanto stolto, potrei anche riuscirci.» gli disse con un velo di fastidio, che riuscì a reprimere verso la fine della frase, dato che non era proprio il momento di infierire e aggredirlo.
«Tu hai mai amato qualcuno? Hai amato così come io amo Yoongi?»
«Non so come tu ami Yoongi.» distolse nuovamente lo sguardo, che poggiò a terra, mentre mandava giù per la gola un groppo amaro.» Tu sei un grandissimo scemo, devi smetterla di amarlo, perché amarlo ti fa solo male.»
«Come potrei smettere di colpo!» esclamò alzando il tono di voce e guardando indignato quella parte del profilo di Jungkook che era in grado di scorgere. Strinse forte i pugni assieme alle palpebre, arricciando il naso e disegnando delle rughe di espressione accanto agli occhi. La sua bocca rimase stranamente impassibile, quasi innaturale, ma ciò non fece nulla all'altro ragazzo, che rimase fermo al suo posto, in preda ad un'altra stretta al petto. Se non avesse saputo che era un dolore sentimentale, avrebbe creduto di stare sul punto di avere un infarto a neanche ventiquattro anni. «Non hai mai incontrato la persona con cui sei destinato a convivere tutta la tua vita, come fai a sapere cosa si prova quando si ama?»
«Chiunque sia quella persona, sono sicuro che esiste, sia per me sia per te. Un giorno io la troverò e la troverai anche tu, quella persona a cui il tuo animo è legato da fin quando sei nato, che sia uomo o donna. Un giorno potresti trovare un uomo che ti fa provare il crepacuore quando non sei accanto a lui e una leggera preoccupazione ti potrebbe portare da un medico, dato che i due cuori sono cuciti da un filo invisibile che non vi permette di stare troppo lontani l'uno dall'altro. Quel giorno deve ancora arrivare, perché tu adesso potresti sentire dolore, ma Yoongi non avverte quel che stai provando. Non siete legati assieme, sei solo tu che ti sei graffiato con quel maledetto ago senza accorgertene e hai creduto che nella cruna ci fosse quel maledetto filo.»
«Non esiste un'anima gemella, come la stai definendo tu. Non esiste, e se fossimo nati per essere da soli?»
Fece quello sforzo, si voltò per l'ultima volta, nella quale Namjoon si accorse del volto di Jungkook segnato dalla sofferenza.
«Namjoon, non lo so. Ho sempre adorato fare sproloqui e riflessioni filosofiche, ma in questo momento non ho motivo di ritrovare la verità: a cosa mi serve trovare la verità se tanto non è sempre cangiante? Non lo so se abbiamo un'anima gemella, non lo so se ognuno di noi è destinato a morire solo e tutto questo non è altro che un'invenzione dell'uomo per rendere più piacevole l'istinto della riproduzione, non ho neanche la più pallida idea se il fato esiste e se ci sta controllando tutti quanti, ma non mi interessa, non voglio pensarci. Non voglio neanche pensare al fatto che amo qualcuno o meno, no, che questi pensieri vadano via dalla mia mente.»
Era davvero sofferente. Quello era amore? No: stava ridacchiando incredulo nella propria mente, scosse il capo nella realtà. Non poteva essere ricaduto in quella trappola mortale. Perché? Non avrebbe mai smesso di chiederselo. Tutti i mesi passati accanto a Taehyung erano scomparsi temporaneamente dalla sua mente, incapace di ricordarseli, per cui quel sentimento gli risultò così ingiustificato. Non aveva fondamenta.
Trappola mortale! Quale grande pregio hanno gli uomini, in grado di far ammattirne altri senza usare le armi, ma solo attraverso delle parole dolci! Jungkook portò le mani sulla testa, stringendola, mentre si posizionava a terra con le braccia incrociate: la sua testa gli stava facendo così tanto male. Le sue parole dolci! Stavano ricomparendo nella sua memoria veloci come un fulmine, scatenandogli brividi lungo tutto il corpo. Il tatto, anch'esso si rese conto dei ricordi che avevano cucito quel piccolo cuoricino ad un altro, senza che neanche se ne accorgesse: il modo in cui loro si erano toccati le mani tutte le volte, oppure come le loro pelli si scontravano l'una contro l'altra mentre dormivano assieme, le labbra soffici come due minuscole nuvole che lui aveva il privilegio di toccare con le proprie, congiungendole, avvertendone il sapore, altro elemento essenziale. L'olfatto, che riportava alla mente la fragranza della sua pelle, che si mischiava al profumo della pastafrolla dei cornetti che avevano condiviso, guardandosi negli occhi e avvertendo l'atmosfera dolce come fosse fatta di zucchero. L'udito, la sua risata, la sua voce bassa e penetrante.
No, non poteva essere amore, quello.
«Stai bene davvero?»
«No. E' che mi dispiace. Hai ragione, io non potrei mai provare l'amore che provi per Yoongi e questa situazione mi distrugge e lacera dentro. Avrei dovuto sgridare Jimin e intimargli di non avvicinarsi più a lui. Un bravo amico lo avrebbe fatto.»
Stava delirando e l'unico modo per non destare sospetti era quello di compiacerlo con ciò che voleva sentire. «Mi sono schierato dalla parte di Jimin senza che me ne rendessi conto, ma se tu volessi smettere di essermi amico, ti capirei. Fossi in te, mi alzerei e me ne andrei seduta stante. In questi due anni ho pensato sempre a te, ai miei errori, e la mia colpa è cresciuta e mi logorava, ma io dovevo starmi zitto, poiché non potevo fare nulla in contrario.»
Non sapeva proprio se fosse stato il Karma ad averlo fatto innamorare di Taehyung. No! Un attimo, no, non voleva usare la parola "innamorato"! Pensarlo l'avrebbe reso vivido e pronunciarlo l'avrebbe reso reale.
Namjoon ripensò a ciò che era avvenuto poco prima, subito dopo che Jimin e Jungkook li avevano lasciati per conto proprio. Joon si era avvicinato lentamente a lui, mentre Yoongi aveva indietreggiato di qualche passo, tenendo il capo basso, forse perché anche lui, nel profondo, sapeva di aver sbagliato. Prediligeva una pace interiore dovuta a tutto ciò che desiderava, non un'infelicità data da quel ragazzo che gli avrebbe impedito di stare con colui che amava veramente. Era stato uno sbaglio, uno lungo sbaglio, e la lontananza da Jimin gli aveva fatto capire chi fra i due amava veramente. Detto così sembra come se Yoongi non fosse altro che in un gioco, nel quale qualcun altro stava governando la propria vita e quella degli altri due, con perfidia e intrattenimento.
"Quindi non hai intenzione di ritornare con me?" gli aveva chiesto prima, Namjoon a Yoongi, dopo alcuni giri di parole che avevano ucciso ancora più il suo sorriso. Gli erano diventati anche gli occhi rossi, ma doveva trattenersi: doveva rimanere forte e fargli vedere che stava scegliendo la direzione sbagliata.
"Quel ragazzo, Jimin, ti ho parlato di lui in passato, no? Lo hai conosciuto." aveva annuito.
La freccia lo aveva trafitto furtiva e sarebbe caduto a terra emettendo un urlo straziante. Yoongi non aveva affatto l'aria di uno che gli stava facendo uno scherzo, anche se lo sperò fino all'ultimo. Quando era stato il loro ultimo bacio? Con quanta innaturalezza se lo era preso: quanto diverso era diventato negli ultimi tempi in cui era stato sempre Joon che avanzava le labbra per primo.
«Tutto non gira intorno a me, è risaputo, ma sto cominciando a credere che tutto quanto ce l'abbia con me, dato che al momento non credo esista una persona più sfortunata di me. E che altre sventure mi devono accadere? Sono pronto a ricevere tutto quello che la vita ha da offrimi.» deglutì e tirò su col naso, togliendo la prima lacrima ribelle che si faceva largo sulla sua guancia. «Sono pentito di aver incontrato Yoongi quella sera. La mia vita sarebbe stata più bella.»
«Namjoon, tu sei stato felice quando stavi con lui?»
«Così tanto che mi ero definito l'uomo più felice e fortunato del mondo, avevo urlato ad alta voce, verso una distesa di campi e montagne, creando un eco entusiasmante, quanto fosse bella la vita; ma, come difetto di tutti gli uomini, ho parlato troppo presto e qualche divinità mi ha preso di mira per la mia vanità nel definirmi superiore in fortuna rispetto a tutti gli altri.»
«Non buttare i ricordi che hai con lui, per favore, non bruciarli solamente perché lui si è comportato in questa maniera con te. E non devi importartene se ha deciso se andare via, perché se in passato sei stato felice, non puoi convertire tutta la tua felicità, quell'emozione che tu meriti veramente. Tienila a dispetto e considerati graziato per aver avuto in passato quel tuo bellissimo sorriso sulle labbra. La felicità e i momenti d'euforia sono parte integrante di te e non smettono di formarti come persona, non puoi dire di essere Namjoon senza quell'attimo in cui, tre anni fa, abbiamo fatto una battuta stupida, oppure quell'attimo in cui tu e Yoongi vi siete baciati. Il passato non va rinnegato e non devi mai pentirti, perché prima o poi le tue scelte confluiranno verso un loro perché.»
«Strano di questi tempi sentire qualcuno parlare in questa maniera. Non eri stanco di fare filosofia?»
«Non sono stanco di esserti amico. Puoi rinnegarmi, abbandonarmi, andare via e odiarmi per il resto della tua vita, ma seguendo questo pensiero che ho appena detto, in nome dei vecchi ricordi felici, io mi offro di rimanere con te.»
«Non hai di meglio da fare che stare appresso ad un povero ragazzo col cuore spezzato?»
«Credimi, non c'è niente di meglio da fare.»
«Ma cosa vuoi fare? Non mi vuoi far dimenticare dei momenti con lui, cosa vuoi che faccia?»
Rimasero in silenzio per qualche secondo, Jungkook rifletteva. Perché lo stava facendo? Questo l'avrebbe trattenuto a Parigi per un altro po' e non sarebbe potuto ritornare da Taehyung, a Vienna, così come desiderava.
Ma l'amore lo spaventava, la situazione di Namjoon lo faceva rabbrividire e non aveva intenzione di innamorarsi di Taehyung per poi finire come il suo amico.
«Ti farò assimilare tutto quanto come fosse un lontano sogno che la tua memoria richiama solo per prendersi gioco di te.»
Anche lui doveva farlo e prendersi qualche minuto per capire che quel passo azzardato lo avrebbe condotto solamente ad un grande malore se fosse finito tutto male. Solo lui era quello caduto nella trappola mortale, dei due. Il fatto che ormai era diventato di rito baciarsi e scambiarsi spinte effusioni, non significava che entrambi fossero coinvolti in quel vincolo amoroso. Per Tae sicuramente non era sicuramente così, affermava e temeva, dubitando delle loro parole passate, ma il suo dolce sorriso lo confondeva e non capiva veramente quali fossero i suoi pensieri a riguardo, né avevano mai avuto l'occasione di parlare di cosa loro erano effettivamente. Amici? Ma che amici, come se lo fossero mai stati nel vero senso della parola.
«Mi stai proponendo di andare a bere, di nuovo?»
«Sì, per favore. Sbronziamoci come se non ci fosse un domani.»
Ma Namjoon era troppo preso dalla sua tragedia per rendersi conto che, sebbene le risposte negative, Jungkook aveva realmente bisogno di aiuto.
Namjoon e Jungkook trascorsero alla fine ogni sera di quelle due settimane davanti allo stesso bancone, ironicamente quello frequentato dal minore quando tutta la storia era iniziata, davanti all'uomo con i grandi baffoni.
«Monsieur Jeon, non crede di star esagerando? È il sesto questa sera. Potrebbe sentirsi male. Monsieur Kim, non faccia come sta facendo il suo amico!» tentò di metterli in guarda l'uomo ancora con quei grandi baffi sul volto.
L'uomo scosse il capo e versò un altro bicchiere di Whiskey nel bicchiere di Jungkook dopo un suo cenno negativo. «E lasciamo perdere tutte le formalità, quante volte te l'ho detto! E poi io sono Boyer, chiamami Boyer!»
Jungkook era ubriaco come poche volte, tra cui almeno una decina nella sua ultima permanenza a Parigi. Si era prefissato di mantenere il nome falso, almeno per sicurezza, ma a quanto pare la sua copertura si era dissolta non appena aveva bevuto un bicchierino dopo che il barista lo aveva riconosciuto come suo vecchio cliente.
«Ah Namjoon, devi proprio conoscerlo il mio ragazzo, è proprio bello, è bellissimo! Quando tu non c'eri eravamo andati a guardare la luna tante volte, era diventato come un appuntamento! Scommetto che quel bastardo di Yoongi non ti ha mai organizzato questi appuntamenti, vero?» continuò a ridere, con le guance arrossate; fece poi battere bruscamente il suo pugno ben stretto sul bancone, attirando l'attenzione di gran parte degli uomini, di certo molto più lucidi di loro due.
«Racconta di più di quest'uomo!» esclamò un signore lì vicino, anche lui con un bicchiere mezzo pieno in mano, interessato a quel ragazzo tanto divertito. Egli aveva le gote rosse, lo sguardo di ghiaccio e la pinguedine in tutto il corpo. La barba a chiazze bianche gli era ispida e aveva degli abiti trasandati e puzzolenti di alcool.
«Ah! È bellissimo, bellissimo! Ho già detto che è bellissimo? Lui è la bellezza, lui è l'arte! Ogni volta che lo guardo negli occhi mi ci perdo, per quanto sono profondi, sono così perso per lui! Noi viviamo a Vienna, accanto ad un grande duomo, ma solamente in una piccola stanza. Ma mi basta, perché sto con lui! Ci siamo conosciuti davanti ad un'editoria ed io ero davvero invidioso perché lui era uno scrittore di successo ed io invece una nullità! Se io scrivessi adesso tutto quello che ho vissuto con lui sarebbe il miglior romanzo di sempre, sarei ricordato da tutti i grandi letterati e sarei sulla bocca di tutti! Mi ha insegnato quel che di cultura ancora non sapevo, perché la vera cultura è l'arte che ignoravo, non l'infruttuosa conoscenza. Ma la cultura con lui è diventata bella come una distesa di fiori, non smetto mai di imparare cose nuove, dalla più stupida a quella più enorme che mi era sfuggita. È tutta colpa di mio padre se adesso sono ridotto come uno straccio, se mi è passato per la testa il suicidio più di un paio di volte. Tutta colpa sua, lui che voleva farmi diventare uno scrittore!»
«Ragazzo, ragazzo, sei proprio un visionario! Rinchiuso in una realtà tutta tua. Coloro che sono più creativi sono quelli che hanno successo nella scrittura: buona fortuna, ragazzo!»
«Non mento, non mento! Lui esiste veramente, ed è solo mio!»
«Jungkook è innamorato! L'ometto sta crescendo!» sghignazzò Namjoon, anche lui ebbro come poche volte.
«No! Non sto crescendo, non sono innamorato!» ribatté con un broncio infantile, per cui tracannò un altro bicchiere di Whiskey subito dopo, stringendo poi le braccia al petto.
«Mio caro! Quando ero giovane, non mi convincevo affatto riguardo i miei sentimenti verso la mia futura moglie.» riprese l'uomo, togliendosi il cappello malmesso dalla testa e aggiustando le sue ciocche di capelli abbastanza sporchi dietro un suo orecchio.
«Ma poi vi siete sposati, è andata bene!» il bruno vide un briciolo di speranza nella frase del signore, che intanto aveva lasciato i soldi sul bancone e si era alzato. «Stai andando a casa da lei, vero, vero?»
«Mio caro ragazzo! Vedi tu stesso dove sono andato a finire dopo tanti anni: quella che era la mia futura moglie ha deciso di scappare dalla Francia per andare in America con un altro uomo, dato che io non mi decidevo ad accettare i miei sentimenti per lei e a sposarle per darle una famiglia. Sto andando nella mia casa fredda e spoglia, ma con lei sarebbe stata diversa. Non ti far scappare quel ragazzo! Scrivilo in una delle tue storie per non farlo andare via almeno da lì!»
Detto ciò, l'uomo oltrepassò la porta del locale, scomparendo così come era apparso, senza che nessuno se ne accorgesse. Jungkook girò il capo verso Namjoon, sconvolto. «No! Non è possibile che lui se ne vada, lui non può farlo! Ha continuato a pensarmi anche quando io l'ho abbandonato per mesi, non può!»
«Magari si stancherà di te se non ti fai avanti. Un altro!» esclamò poi verso il barista.
«Ma io sono già avanti! Lui mi ama già, sono io l'unico per lui!»
«E te l'ha mai detto?»
Il vetro del bicchiere di Jungkook diventò un ammasso di schegge a contatto con il pavimento, dopo averlo fatto scivolare dalla sua mano. I suoi occhi rimasero sgranati, il suono sordo di esso che scontrava le tavole del pavimento risuonò per tutta la stanza.
Come poteva essere tanto sicuro, con quelle parole che erano conosciute solo dal suo più profondo subconscio, mentre non aveva mai osato pronunciarle ad alta voce.
«Hai dato la tua risposta, Kook. Fai attenzione, è pur sempre uomo, degli uomini non ci si può fidare.»
«Perché, delle donne ci si può fidare?» replicò lui, ancora con sguardo fisso rivolto verso il vuoto, incapace anche di sbattere le palpebre, sebbene la sclera cominciò a bruciare e la sua visione divenne giallognola.
«Perché, ci si può fidare di qualcuno? Da quando in qua?»
Jungkook infine inumidì l'occhio, tenendolo chiuso per qualche secondo. «No. Non ci si può fidare di nessuno, sono veramente uno sciocco. Forse dovrei tornare a casa e dirgli ciò che penso.»
«Dovresti.» sentì una voce amica dietro di sé che appoggiava la sua mano sulla propria spalla. Pareva proprio un deja-vù quella situazione. «Jungkook, devi tornare a casa.»
«Yuqi, vai via. Perché sei venuta da noi?» chiese con un po' di fastidio sulla punta della sua lingua. Voleva prelevarlo ancora una volta e prenderlo a schiaffi fino a farlo riprendere? Stava con Namjoon, il loro amico, e doveva lasciarli stare. Poteva rimanere con Minsoo, quella sera, invece di spiarli.
«Ti stai crogiolando nella tua disperazione senza alcun motivo, quando sai benissimo che lui ti aspetta. E poi» si avvicinò a lui sussurrando «Ti ho sentito, hai praticamente detto a tutti quanti chi sei e dove abiti e la tua storia. Andiamocene, prima che capiscono che non sono frottole da ubriaco, ma è tutto vero. Muoviti, finiresti nei guai.» lo strattonò per un braccio, mugolando. «E muoviti!»
Ma la risposta fu negativa: con un ennesimo "un altro" le fece intendere che non aveva intenzione di uscire di lì.
«Monsieur Jeon, o Boyer, o come lei si vuole far chiamare,» intervenne il barista, anch'egli con uno sguardo preoccupato come quello della rossa. «io le consiglierei di ascoltare la sua amica. Non è lucido e qui l'hanno ascoltata tutti, se qualcun altro, oltre a me, credesse alla sua avventura, finirebbe per lasciarci le penne. Fanno cose terribili per punire persone come te e non vorrei essere nei tuoi panni. O, se dovessi esserci, al posto tuo mi alzerei immediatamente di qui.» il suo tono, dalle sembianze paterne, era tale al fine di dargli un serio consiglio. Si tolse un attimo quel grembiule e mise da parte l'avarizia di tutti i venditori, ignorando un ennesimo cospicuo guadagno al fine di salvare Jungkook il meglio che poteva.
«Grazie, la ringrazio tanto, lei è davvero gentile.» ringraziò Yuqi, con un tenero sorriso. «Namjoon, fa' qualcosa anche tu, prendilo da sotto l'ascella e aiutami a trascinarlo!» esclamò.
Non ebbe neanche il tempo di finire la frase, che il viso di Joon cadde a peso morto sopra al bancone, provocando un tonfo nel quale le ossa del naso e della fronte risuonarono contro il solido e lucido legno. Lei spalancò la bocca, incredula.
«Va bene, fanculo.» esclamò e subito dopo prese il lembo della sua gonna che toccava fino a terra e stracciò il tessuto con tutta la violenza che poteva trovare nelle sue braccia. Sarebbe dovuto essere abbastanza imbarazzante mostrare la sua biancheria intima - che le arrivava da sotto al ginocchio, lasciando scoperto il polpaccio - ma era necessario per non inciampare e stare più comoda. Lasciò per terra gran parte del vestito di color giallo spento. Ad essere in bella vista erano anche le tasche, legate alla sua vita sottile da un filo stretto tramite un paio di nodi. Proprio da una di esse uscì fuori un po' di spago abbastanza spesso e, senza Jungkook potesse fare nulla per impedirglielo, poiché poco in grado di elaborare cosa stava facendo, prese i suoi polsi e lo avvolse attorno ad essi, come se fosse un prigioniero di una nave pirata.
«Così non avrai tanta voglia di andare via. Aiutami a portarli fuori di qui, non c'è un retro?» ordinò, rivolgendosi al barista tanto gentile. «Io porto questa testa calda e tu porti quello svenuto. Se è svenuto. È svenuto, vero? Non sarà morto?»
L'uomo scosse il capo, prendendo Namjoon da sotto le braccia per poterlo trasportare, anche se era un peso davvero immane, per lui che non faceva sforzi del genere da un bel po' di tempo.
«Ma dove mi stai portando? Che stai facendo? Lasciami, lasciami!» strillò. «Non ho intenzione di andarmene, mi sta rapendo, mi sta rapendo!»
Se li meritò proprio quei ceffoni in pieno viso, uno da una guancia e uno dall'altra.
Dopo di ciò, Kook non ebbe più neanche il coraggio di aprir bocca per lamentarsi: come negare l'aver paura di una ragazza come Yuqi, nel profondo?
Fecero entrambi una bella sudata a trascinare i due ragazzi, che sembravano macigni per entrambi, ma alla fine riuscirono a portarli a qualche isolato di distanza, nella quale vi era la vecchia casa di Taehyung, dove Jungkook e Namjoon avevano alloggiato in quel periodo. Di tornare e incontrare Hoseok e Minsoo? No, non se ne parlava proprio. Almeno, questo era quello che voleva Jungkook, poi, quando se ne sarebbe andato, Nam avrebbe potuto scegliere di fare ciò che più desiderava. Come lo aveva giustificato a lui tutto quello? Semplice, aveva acquistato una casa tutta sua per scrivere e pensare ai propri affari e di solito lui e i ragazzi si vedevano poco e niente - più poco, però. Suo padre? Ancora in giro, tutto esattamente come l'aveva lasciato a due anni prima e, fortunatamente, mai Namjoon si era ricordato delle confessioni di cui neanche Jungkook stesso era a conoscenza.
«Le devo qualcosa? Tipo tutto quello che loro hanno bevuto stasera.» chiese la ragazza riconoscente, dopo aver posato Jungkook per terra, ancora con un broncio. «Che ti potevi anche muoverti un po' per aiutarmi, eh, invece di fare il sacco di patate.» lo rimproverò, ricevendo uno sbuffo scocciato in risposta.
«Niente, comunque. Credo di aver guadagnato per un mese intero con questi due e con tutti gli alcolici che hanno assunto in queste serate.»
«Notevole, se non fosse che hanno sperperato tutti i loro soldi.» fu inevitabile un sonoro scontro della fronte di Yuqi con la propria mano, mentre scuoteva il capo ancora incredula. «Grazie mille, siete un uomo davvero di cuore.» gli sorrise riconoscente, «Torni a lavoro, la notte è ancora giovane.»
Il barista annuì e poi non perse tempo a fare dietrofront e correre verso il suo locale alla velocità più alta che poteva.
Ma guarda tu che mi tocca fare, la mamma che mette a letto i propri bambini. Io, bambini? Esilarante.
Dopo qualche ora passata a dormire e a riacquistare le forze, il più giovane dei due sembrò riprendersi.
«Yuqi, sono vivo?» chiese Jungkook con voce roca, in quel suo letto a fianco della finestra, non tanto lontano da quello dove riposava tranquillo Namjoon, ancora scosso da quel colpo al capo, ma che respirava senza alcun apparente problema. La ragazza era seduta sopra le sue coperte, che aveva adeguatamente sistemato per rimetterli a letto.
«Camera vostra è un disastro, menomale che non ci state per tutto il giorno.» si lamentò tramite dei sussurri, ma fu comunque impossibile non notare quel suo fare scocciato.
«Mi puoi rimboccare anche le coperte?» chiese il minore con un sorrisetto sul volto, sperando di smorzare l'atmosfera.
«Piccolo Kook, chiedimelo di nuovo e dalle coperte ti butto fuori.»
Lui emise un piccolo ridacchio, guardando verso la porta di fronte a sé, poi girando il capo alla sua sinistra, notando il suo amico calmo e spensierato.
«Che mi è successo? Mi ricordo solo che sono entrato nel nostro solito locale e poi il barista ci ha salutato, e nient'altro. Le quattro di notte?» si chiese perplesso alla fine, dopo essersi abituato alla visione notturna ed esser stato in grado di leggere i numeri romani sopra quel piccolo pendolo.
«Hai indovinato...» disse esausta nella voce, nascondendo le borse sotto gli occhi a causa del sonno. «Ed è giusto anche ciò che riguarda ieri sera, solo che poi ti sei ubriacato come al solito e fai tu due conti.»
«Sei rimasta con noi tutta la notte?» domandò incredulo, mettendosi a sedere con le gambe incrociate, al fine di guardare meglio il volto di Yuqi, illuminata regalmente dalla luce fioca proveniente dalla finestra.
Il suo profilo era, come al solito, meraviglioso.
Lei annuì timidamente, imbarazzata nel mostrare quel suo lato di lei altruista. «E perché sei in mutande? Fuori fa freddo, non è neanche aprile, prenderai qualche malanno.»
Neanche Jungkook, con lei, aveva mostrato mai il suo lato più altruista, ma adesso c'erano solamente loro e non c'era alcun motivo di mentire sul loro vero modo di essere, nascondendolo da una rigida maschera. Kook si era abituato a tenerla via, dato che con Taehyung aveva smesso di indossarla già da tantissimo tempo, a partire da quelle prime volte che si erano incontrati.
«Per trasportarti qui era più comodo togliermi la gonna.» prese il lembo della parte inferiore della biancheria formata da tanti strati di tessuto e giocò con esso. «È stato necessario farlo, anche non eri ancora stato mandato a terra da tutta quella quantità di alcool pesante. Hai praticamente detto a tutti quanti il tuo segreto, chi è Taehyung e quanto ti piaccia. Dubito che Namjoon se lo ricorderà mai, ma molti dei tanti terranno presente il tuo volto e il nome, se qualcuno prendesse per vero ciò che hai detto, finiresti nei guai. Sarebbe meglio se tu tornassi da Taehyung, a Vienna: non è lì dove tu vuoi stare?»
Non lo stava cacciando, ma gli diede un semplice consiglio da amica che teneva a lui.
Lui buttò la testa all'indietro, sul cuscino, sospirando. «Certo che voglio tornare da lui, lo sai che mi piace e a quanto pare adesso lo sanno tutti, anche se mi hanno preso come un pazzo ubriaco che va in giro a raccontare fandonie.»
«Che bambino che sei. Hai mai avuto una fidanzatina prima o è del tutto nuovo per te, quindi è entusiasmante dire "mi piace"? Vivete insieme da circa un anno, la tua mente lo ha già capito, ma tu proprio non ne vuoi sapere. E mi sa che ho anche capito perché sei rimasto qui: hai paura di dirgli che lo ami?»
La sua osservazione era stata fatta con dolcezza e neanche per un secondo aveva smesso di essere tale quando l'argomento principale verteva sui suoi sentimenti.
Kook avvertì una forte stretta al cuore e così fece anche con le sue palpebre e i suoi pugni.
«Non voglio tornare da lui con questa consapevolezza, ovvero che dalle mie labbra prima o poi dovranno uscire quelle due parole. Sarebbe strano e ho paura di ciò che è così strano: non so come potrebbe reagire Tae se glielo dicessi, se volesse che il nostro rapporto si fermi immediatamente prima? Non so se vuole che rimaniamo amici, tanto stretti che fanno riflessioni filosofiche ed aprono il loro cuore alle stelle del cielo, rendendosi vulnerabili. Il nostro rapporto così è meraviglioso, ma se ci penso, il mio petto esplode. Voglio solo baciarlo ancora e ancora, riprendere fino allo sfinimento e non smettere mai. Intenderlo come mio è un'utopia. Ed ho paura che sia davvero un'utopia, voglio che sia vero, ma neanche scoprire il contrario. Non lo so se Taehyung mi ama, ma non voglio scoprire la risposta se ciò comprende del dolore.»
«Già il fatto di aver ammesso a te stesso di amare qualcuno è un gran bel passo. Poi, era inevitabile: in treno, quante volte hai detto a me e Jimin che vi siete baciati tu e lui? Sempre, non c'è stato un giorno senza un vostro bacio, senza un voi. Stento a credere che lui non provi qualcosa di forte per te e, per come me lo hai descritto, sembra incapace di farti del male. Te lo avrebbe detto che non aveva interesse per te in quel senso e il tuo massimo poteva essere come un amico di letto. I segni dell'amore sono chiari e sicuramente li stai manifestando da mesi, anche se non lo avevi mai realizzato: ti pare che Taehyung non se ne sia accorto e non stia semplicemente aspettando te che ti decidi? Amare è diverso dal piacerti qualcuno e, fidati, tu lo ami.»
«Ma sono pessimo: quando ami qualcuno dovresti fare di tutto per quella persona e per il suo bene e cercare di non pensare a ciò che è meglio per te stesso. Ho miseramente fallito dal principio, dato che sono rimasto qui per nascondermi dalla realtà dei fatti.»
La ragazza poggiò con dolcezza una mano sulla sua spalla, in modo da rassicurarlo il meglio che poteva. «L'avrai fatto decine di volte, ma adesso ti sfugge dalla mente. Sai, è un'abitudine che abbiamo tutti, quella di dimenticarci ciò che abbiamo fatto di buono e le cose cattive. Soprattutto se sei una persona per bene e Taehyung è fortunato ad averti.»
Jungkook ridacchiò tristemente, portando una mano a coprire il suo volto.
«Al massimo, sono io fortunato ad avere lui, che mi ha cambiato nel profondo. Il suo modo di fare e di vedere il mondo mi hanno portato ad avere nuove consapevolezze su me stesso e mi ha aiutato a capire quali fossero le decisioni giuste e quali quelle sbagliate. Eppure il vizio di fare delle cazzate non me lo sono tolto e credo non accadrà mai. Sono irrecuperabile, un bambino perenne col suo modo di fare.»
«Sai una cosa? I bambini sono soliti a dire di essere grandi e non ammettono i loro errori, né cercano di migliorarsi. Quando si accorgono che nel loro modo di fare c'è qualcosa di sbagliato e smettono di essere presuntuosi, chiedendo scusa, allora sapranno che sono veramente cresciuti. Gli adulti fanno certe cazzate che sono addirittura memorabili: credo che tu ti sia dimenticato dove viviamo, no? La storia di Francia, soprattutto negli ultimi tempi, è costellata da uomini che hanno sbagliato, ma la cosa grave è che hanno continuato a credere di essere nel giusto. Stai vivendo una crescita interiore graduale, anche se il tuo corpo è già quello di un uomo e risponde ai propri istinti: ma è diverso, l'ideologia e il buon senso sono due cose che si imparano col tempo e con gli sbagli.»
«Tu non capisci,» la fermò, tenendo ancora gli occhi chiusi, a disagio per quanto lei stesse credendo in lui, sebbene fosse certo che non era all'altezza delle sue aspettative. «non puoi dire che sono abbastanza capace di imparare dai miei errori se già un'altra volta ho abbandonato Taehyung, eppure lui mi ha perdonato e siamo andati via di qui assieme. Non mi perdonerà una seconda volta, neanche una terza, perché sono capace di sbagliare tante altre volte e lui ci starebbe male. Magari si sta sentendo come Namjoon quando Yoongi non si è fatto più vivo lì, in Baviera. Sono passate solo due settimane, ma non sono in grado di decidere tanto velocemente se rimanere qui o andarmene: vorrei entrambe le cose! Ma non posso dividermi in due. Vorrei prima sapere cosa farebbe Taehyung, non voglio farmi del male. Yuqi, ah, non so che fare!» si strinse i capelli tra le dita, disperato «Rimandare mi sembra l'opzione migliore in questo momento.»
Lei scosse il capo, sospirando. «Devi prendere una dannatissima decisione e lo devi fare adesso. Sai che se non tornerai da Taehyung te lo pentirai per tutta la vita? Hai detto tu stesso che lui è come una medicina per te, ha curato gran parte dei tuoi difetti. Questi tuoi dubbi sono solo paure momentanee, perché non ti pentirai mai di essere ritornato a Vienna. Come tu hai incoraggiato Jimin a inseguire il proprio amore, io incoraggio te e ti spingo ad afferrarlo e a tenerlo stretto, senza mai più lasciarlo: è terapeutico per te.»
Jungkook sospirò, guardando il soffitto e riflettendo sulle sue parole, che avevano quel loro buon senso. Anche se lei si era arrabbiata con Jimin, il quale aveva seguito proprio quello stesso consiglio, adesso Yuqi lo stava riproponendo con convinzione, mentre continuava a infondergli sicurezza tramite quella mano posata sulla spalla.
Dalla finestra si intravedevano dei fasci di luce lunare che, tanto chiari, irradiavano il pavimento, provocandogli altra notevole nostalgia di quando condivideva quella stanza con Taehyung ed era una solita visione: qualche volta aveva dato posto a delle labbra incurvate dalla tristezza, poiché le nuvole notturne coprivano quel bello scenario, nel quale la Luna appariva potente quanto il Sole.
Gli ritornò in mente il ricordo di una notte in cui Tae, ancora sveglio e incuriosito da come il ragazzo tenesse sempre la testa inclinata verso destra, per addormentarsi, provò a darne un motivo, e ci azzeccò subito in pieno: era il momento della Luna di risplendere, anche se con quella fioca luce; lei non accecava, lei cantava una dolce ninna nanna con quella sua azione gentile, tale che nei suoi sogni Kook poteva sentire la sua voce soave. Era una dolce mamma lei!
Il ragazzo sorrise al ricordo: era una dolce mamma, colei che ti coccola e che ti sta accanto, una figura di cui lui aveva necessariamente bisogno e a questo, probabilmente, il moro aveva fatto attenzione. Lo aveva letto dal principio, già da subito aveva capito che era il figlio della Luna perché la Luna rassicura e non è esuberante come il Sole, il padre della sua infanzia, non ti ferisce con i suoi raggi e, soprattutto, la puoi guardare negli occhi e leggerla da capo a fondo.
Distolse gli occhi da quella fascia biancastra e tornò a concentrarsi sul tono gentile della sua amica, che lo rassicurava e che gli stava dando il migliore consiglio che poteva, proprio come una madre è in grado di fare, o meglio, come la Luna è in grado di fare.
«Tornare a Vienna, lasciare Namjoon, dire a Taehyung che lo amo.»
Lo amo, lo amo, lo amo: il suo petto si infuocò a causa di quelle parole ardenti, le quali fecero muovere anche i suoi arti inferiori dall'emozione e il suo viso diventò caldo, le sue dita formicolarono; un'espressione da ebete fece largo sul suo volto. «Sarebbe pazzo. Le mie corde vocali non sono proprio capaci di pronunciarlo di fronte a lui, come se si rompessero. Una volta ci ho pensato, sai? Mi sono chiesto cosa avrebbe potuto rispondere o come avrebbe reagito. No, lo consideravo ancora come un grande amico, non ci eravamo ancora neanche baciati. Un grande amico di cui ero cotto e con il quale era diventato imbarazzante dormire nella stessa stanza. Era così incantevole il suo profilo addormentato che rivolgeva verso di me durante le notti: ed io lo guardavo, ne coglievo ogni singolo alone di bellezza, me ne riempivo il cuore. Mi chiedevo come facesse la natura ad aver creato un essere così perfetto esteriormente e interiormente, è veramente raro trovare persone del genere. Appunto, è stata una di quelle notti che mi ha spinto ad avere questo pensiero, nel dormiveglia: e se fosse successo, se mi fossi innamorato di lui? Come glielo avrei detto? Sarei rimasto in silenzio ad aspettare che anche lui facesse lo stesso?»
Jungkook scosse il capo, ridacchiando, con una strana luce nei suoi occhi.
«E adesso sono un ragazzo innamorato. Ma davvero, mi senti? Che colmo, più ci penso e più ci rido sopra. Come fai a non ridere di me?»
Lei scosse il capo, con un dolce sorriso, poi portò il capo all'indietro, ancora incredula da quella situazione e mettendosi effettivamente a ridere anche lei.
«Sei così dolce, Jungkook, quanto ingenuo e quanto adorabile. Non ti facevo così, stasera ho scoperto un nuovo lato di te.»
Il ragazzo annuì, comprensivo «Sai, anche io. C'è sempre tanto da scoprire su se stessi ed io lo faccio ogni giorno che passa. Per esempio, oggi ho scoperto che parlare ad alta voce mi fa schiarire le idee, quando credevo che rimuginare per conto mio mi faceva più che bene e mi aiutava a non avere pensieri malsani. Insomma, me ne hai dato una conferma, con Taehyung ormai parlo sempre e mi sfogo, per cui sono tanto felice da non avere degli enormi pesi nella mia testa che mi condurrebbero nella direzione sbagliata.»
«Sfogati. Continua a farlo, se ti aiuta a raggiungere la decisione giusta.»
Entrambi si voltarono sobbalzando, dato che avevano sentito un mugugno provenire da Namjoon; si accorsero che si era solamente voltato dall'altra parte, ma non aveva aperto gli occhi.
«Va bene. C'è poi questa parte di me che ho scoperto due anni fa all'incirca, che se rifletto su questioni più o meno profonde a mente aperta, viene fuori la mia anima. Ti rendi conto? Eppure lei rimane sempre dentro di me, non mi uccide affatto il riflettere filosoficamente. Soprattutto quando tengo il mento rivolto verso l'alto.» concluse sussurrando, fissando con palpebre socchiuse verso il soffitto, immaginando di trovarsi su quel prato del Montmartre. Avvertì una forza più potente che era in grado di tirare il suo corpo all'insù, anche se, realmente, questo non stava accadendo: come se si sentisse più leggero.
«Un genio ha bisogno di essere pazzo e provare l'infelicità per poter sprigionare tutte le sue capacità e avere quella giusta spinta in grado di portarlo all'apice del successo; ma io sono così felice adesso, stando qui, invece, avverto di essere combattuto, ed è realmente soddisfacente immergere i propri dolori nell'alcool, oppure, avvertire quella dannatissima stretta al cuore che non ti permette neanche di respirare. È la stretta dell'amore, che mi chiede di ritornare a casa, la mia vera casa, che non è l'Austria, ma è colui con cui vivo. So che la mia mente sarebbe in grado di produrre le opere migliori esistenti se ricevesse un dolore tanto grande, come questo che entrambi stiamo immaginando. Ne uscirei distrutto, magari mi pentirei, desidererei di morire ancora e ancora, ma forse è la giusta spinta. Tutti i modi sono quelli corretti e non esistono idee sbagliate nel capire chi sono veramente e quali sono le mie capacità e perché nessuno abbia mai scelto i miei scritti. La mia mente è fatta così, sai che sono un confusionario e, a quanto pare, riprendo qualcosa che parevo essere stato in grado di dimenticare. Papà è morto, non avrei più alcun motivo per provarci e riprovarci: ma sono fatto così, voglio sapere cos'è che mi manca, cerco di fare ciò che è giusto e alla fine faccio cazzate. Non voglio essere uno scrittore, assolutamente no, perché è sfiancante, ma voglio spremermi fino all'ultima goccia, anche se nessuno leggerà ciò che ho scritto. Forse neanche tu lo leggerai, forse neanche Taehyung, se continuo a usare la sua distanza per questa malsana idea. E sai perché? Perché, forse, mi odio più di quanto io sia in grado di amare e, magari, so di non meritarmi tutto questo. La mia mente è un labirinto senza fine, ci sono tante argomentazioni che adesso ti potrei dire, ma che non riesco a riorganizzare. Sarebbe intrigante capire come descrivere il battito del cuore, quella stretta inconfondibile che solo un malato d'amore può avere.»
Yuqi abbassò il capo, dopo aver continuato ad osservare il profilo del ragazzo intento ad contemplare verso l'altro, mentre parlava senza sosta.
Non aveva mai provato quella stretta e, sebbene lei fosse distinta da Jungkook, non aveva mai avuto quei pensieri tanto profondi riguardanti i sentimenti che provava per Minsoo. Sicuramente perché si erano messi assieme quando ancora erano dei ragazzini e lei era troppo piccola per capire quale fosse l'amore.
«Quella stretta, no? La si avverte, il cuore che diminuisce di volume, si comprime e diventa più piccolo della solita misura di un pugno. Il sangue passa con più difficoltà, come se tutti i tessuti del petto si contraessero e, per un secondo, al suo centro ci fosse un corpo oscuro che attira a sé tutto ciò che ho dentro di me. Quando hai l'impressione di cadere e rotolare a causa del sobbalzo che ti provoca.»
«Jungkook, scusa se ti interrompo»
Doveva interromperlo. Jungkook era un suo amico e quel discorso aveva fatto venire a lei quella grande illuminazione che tanto il ragazzo acclamava. I ricordi del suo passato si erano fatti vivi nella propria memoria di fronte a quella sorta di elogio all'amore che aveva iniziato e che, sicuramente, era in grado di continuare fino a che si sarebbe addormentato, sfinito dalle proprie parole. Per esempio, balenavano dei momenti che credeva aver dimenticato e che, in quel momento, le parevano solamente un ritratto lontano fatto dalla propria immaginazione: come quando lei, con quell'incantevole vestito blu e i suoi capelli sistemati in dolci onde, con uno smagliante sorriso e ancora nel pieno dell'adolescenza, accorreva ad incontrare quell'unico ragazzo che era stato parte della sua vita, che l'avesse mai fatta sentire bella, che le avesse fatto dei complimenti.
Con quel sorriso esprimeva tutta la sua certezza di avere un futuro con lui, di essere fatti apposta per stare l'uno con l'altra, dato che la fortuna li aveva spinti a stare sotto lo stesso tetto. Nel suo ricordo risuonava la campana della chiesa dove si scambiarono un fugace bacio, tenendo gli occhi chiusi. Un brivido le attraversò tutta la schiena quando si rese conto che quella sera, quel bacio, non fu in grado di provocarle niente se non il semplice imbarazzo. Se l'amore non fosse esistito come parola, ne avrebbe ignorato l'esistenza e non avrebbe mai forzato di provarlo. Aveva sempre creduto in qualcosa di sbagliato, perché ciò che lei aveva considerato vero amore era solamente gratificazione verso se stessa, riguardo cui voleva avere tanti apprezzamenti. Ma quello che provava Jungkook era qualcosa di nuovo, che la lasciava a bocca aperta e, con l'intuizione, poteva accorgersi che era di qualche gradino più in alto a quello che aveva provato lei, quando le era cominciato a piacere Minsoo da un'altra ottica, più speciale.
«Non dovrei intromettermi nel tuo ragionamento, perché, alla fine, anche se ti do tutti i consigli che voglio, non sarei tanto in grado di farti cambiare idea. Ma, secondo il mio onesto parere, dovresti partire e tornare da lui. Trovo che l'amore, quello che tu provi per lui, che è davvero maturato e ormai non può tornare indietro, lo provano solamente poche persone e poche volte nella propria vita, solo alcuni eletti sono in grado di avere questo privilegio. Hai la possibilità di provare una sensazione meravigliosa con colui che ami al tuo fianco, perché dovresti sprecarla? Solo per avere la soddisfazione di avere un dannatissimo libro che hai bramato avere a causa di quel mostro, che di suo figlio non si importava granché? Jungkook, quell'uomo voleva solo i tuoi soldi, non si è mai curato se tu avessi talento o meno. E di certo le case editrici fanno lo stesso. Ci ho lavorato lì dentro e so per certo come funziona: ho visto grandi pezzi essere scartati per i motivi più stupidi esistenti, e alcuni venivano scartati per la propria personalità. Sei semplicemente troppo profondo e speciale, sei veramente un genio per poter essere comparato a quei quattro deficienti. Il fine principale è quello di fare soldi, ma se tu non sei affine agli ideali borghesi o semplicemente sei diverso dagli ideali di qualsiasi classe, vieni scartato. Ma tu hai talento, il talento ti scorre nelle vene e tu hai la stoffa per essere un letterato di tutto rispetto, il quale ha ancora una lunga strada da fare, che percorrerà a testa alta. Non puoi privarti dell'emozione di avere Taehyung al tuo fianco: ci sono persone che l'amore non l'hanno mai provato e che, se ti sentissero, diventerebbero subito invidiosi e sarebbero delusi dalle tue decisioni e il tuo pensiero. Ti prego, parti. Vai da lui, fallo per lui.»
Fallo per me.
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