「30/04/1865」
23.
Non sapeva se fosse vivo o morto, ma l'aria entrava regolarmente dentro i suoi polmoni e non provava alcun bruciore al suo petto.
Portò involontariamente una mano su di esso, in corrispondenza del cuore, per verificare se esso battesse ancora.
Rimase sconvolto quando si rese conto che continuava a pulsare, anche più veloce del normale, a causa dell'ansia e della paura della situazione. Non aveva il coraggio di aprire gli occhi per vedere cosa fosse successo, ma sperava che fosse intervenuta qualche entità sovrannaturale a salvarlo: se fosse successo questo giurava che si sarebbe comportato bene per il resto della sua vita.
Non era stata qualche divinità a salvarlo, purtroppo.
«Ragazzino, levati di qui!» sentì la voce di suo padre inveire contro qualcuno da cui provenivano degli ansimi di dolore, la cui voce era ben conosciuta a Jungkook.
A quel punto aprì le palpebre e portò entrambe le mani davanti alla sua bocca, sbarrando gli occhi.
Non doveva perdere tempo, si alzò e accorse verso il ragazzo: Taehyung era veramente corso verso di lui salvarlo?
Aveva camminato con una mano poggiata sul ventre dal pian terreno fino al terzo ordine, salendo con fatica le scale, poggiandosi alla ringhiera per evitare di cadere dolorante, e nel mentre pensava che doveva andare da Jungkook! Gliel'aveva proprio ordinato, che quando si sarebbe sentito bene avrebbe dovuto raggiungerlo e, sebbene non fosse ancora al pieno delle forze e con tanti dolori che gli impedivano di camminare bene, era giunto da lui.
E l'aveva visto indifeso.
Allora smise completamente di ragionare.
Come detto, non aveva idea di come avrebbe potuto reagire se Jungkook l'avesse abbandonato una terza volta, per cui avrebbe fatto di tutto per farlo rimanere al suo fianco.
Jungkook gli serviva, gli serviva per guardare le stelle! Con chi avrebbe parlato di filosofia senza di lui, chi avrebbe contribuito alla sua ispirazione se non lui?
La sua ispirazione... se ne rese realmente conto soltanto in quel momento: obiettivamente, se non ci fosse stato, come avrebbe scritto molte di quelle poesie che non aveva neanche consegnato a Seokjin, poiché estremamente personali?
Non sapeva chi fosse il soggetto, ma solamente quando si vide disposto a rinunciare addirittura la propria vita per accorrere da lui, si rese conto di quanto lui fosse stato importante fin dall'inizio.
Quel suo grande ed indispensabile amico.
La serata in quel locale, che li aveva fatti separare, ormai l'aveva dimenticata, perché era stata solo la causa della sua grande confusione e di tutti i suoi inutili complessi, mandandosi in rovina.
Aveva mandato tutto in fumo perché non c'era più Jungkook accanto a sé e non intendeva ripetere la stessa cosa una seconda volta, che sarebbe stata per sempre.
Appena Jungkook aprì gli occhi, si rese conto di un'ombra che si era contrapposta proprio tra lui e suo padre. Non seppe cosa fare, per qualche secondo si dimenticò addirittura come si facesse a respirare, rischiava di morire soffocato, anziché morire a causa di un proiettile.
Taehyung si era posto lì per salvarlo?
No, non l'aveva realmente fatto.
Nella sua mente rise incredulo, perché sapeva che era tutto uno scherzo e tutta una messa in scena: anzi, sapeva che era tutta una trovata della sua mente per fargli vivere un evento infernale, proprio quello che si meritava. Oppure era proprio quello l'inferno, che aveva conosciuto appena dopo lo sparo del proiettile? Essere costretti ad osservare la morte di una persona a lui tanto caro.
Voleva soltanto esplodere, oppure scomparire.
Sicuramente voleva liberare le tante lacrime che adesso premevano incessanti per scendere dai suoi occhi, bruciandoli. Taehyung era ancora in piedi davanti a lui, con le braccia aperte e mostrando vigorosamente il petto, con coraggio.
Poggiò una mano sulla spalla del poeta, al fine di farlo smuovere e fargli dire una parola.
Ma emise un urlo di terrore quando le gambe di Taehyung si fecero molli, tanto che cadde per terra provocando un tonfo.
Scivolò di fianco, con le braccia ancora distese, nel mentre emetteva qualche gemito di dolore e chiudeva le palpebre.
Jungkook rimase con gli occhi serrati, non riuscì a guardare per qualche secondo in più Taehyung senza che dai suoi occhi non sgorgassero copiose lacrime.
E allora in quel teatro si fece silenzio, chiunque smise veramente di parlare e confabulare, di chiedere aiuto, di disperarsi, poiché c'era tanto altro per cui angosciarsi.
Quell'urlo di dolore squarciò lo stesso silenzio, provocandogli una ferita dalla quale, nella realtà, sarebbe uscito tanto sangue.
Voltò il capo verso suo padre, ancora con la pistola alta, con gli occhi adesso iniettati anche di sangue, mentre riprendeva a digrignare i denti verso la sua direzione.
«Brutto stronzo... te la farò pagare... TE LA FARÒ PAGARE!» urlò nella sua direzione con tutto il fiato che aveva in corpo, quasi a volersi consumare.
Quello non era più Jungkook, non era più il Jungkook fallito che fino a pochi secondi prima era davanti a sé e che poteva sconfiggere tranquillamente, poiché ancora un semplice bambino: aveva assunto le sembianze di una belva, che poteva attaccarlo da un momento all'altro. Indietreggiò di qualche passo, allentando la presa sulla pistola facendola leggermente scivolare tra le dita e si lasciò sfuggire una leggera goccia di sudore lungo la fronte.
«Che fai, codardo... CHE FAI!» urlò ancora, avvicinandosi senza alcuna paura verso di lui: aveva intenzione di sparargli? Gli andava bene, ma sarebbe rimasto in vita fino a quando avrebbe ricambiato lo sparo proprio in una sua tempia, facendogli esplodere il cervello e facendo uscire il suo sangue da naso e bocca.
Aveva osato fare del male a Taehyung. Togliendogli la vita.
«Indietreggi come un fottuto codardo... ed hai osato fare quello che hai fatto, hai osato uccidere e VUOI CAVARTELA COSÌ?» Jungkook si era avvicinato tanto a lui, fino ad arrivare l'uno di fronte all'altro, poggiando un dito sopra il suo petto.
Di che aveva paura adesso? Poteva benissimo farlo fuori in quel preciso istante, eppure non lo stava facendo? Aveva forse paura di quel fallito di suo figlio?
Spara bastardo, spara! Vediamo se hai il coraggio, così come hai appena fatto con lui.
La mano di Jungkook avvolse il collo dell'uomo, senza alcun ripensamento, stringendolo con tanta più forza che poteva, tanto da fargli comparire qualche vena sulla fronte, oltre che il proprio volto si tinse di rosso a causa di tutta la rabbia che stava provando.
Voleva tanto colpirlo, voleva tanto fargli del male.
Poteva benissimo farlo, ma il fatto di farlo finire in Paradiso come martire che aveva smesso di divincolarsi poiché senza più aria nei polmoni e incontrare proprio Taehyung, a cui aveva appena tolto la vita senza alcuna pietà, gli faceva ribrezzo.
Nessuno aveva il diritto di fargli del male o di farlo soffrire.
Non dopo che Jungkook stesso gli aveva provocato dolore e gli aveva promesso che nulla di tutto quello sarebbe più successo.
E quando si rese conto che l'immagine di Taehyung, che stava correndo con sé verso il tramonto, stava scomparendo pian piano dalla sua mente, subito sentì un secondo mancamento pervadergli per tutto il corpo.
Come era successo?
Sbarrò per una seconda volta gli occhi, lasciandoli appannare ed allentando la presa senza che se ne rendesse conto.
Possibile che suo padre aveva appena tolto la vita di un giovane tanto colmo di vitalità, allegria, entusiasmo? Tutte sensazioni che lui avrebbe voluto continuare a provare.
Ma come avrebbe potuto se Taehyung era l'unico che era stato in grado di fargliele provare, assieme alla spensieratezza? Grazie a lui si era leggermente reso conto che l'impulsività non era soltanto un suo problema e che non era l'unica persona che soffriva per questo: eppure Taehyung sorrideva al suo mondo irrazionale, contrariamente a quanto faceva Jungkook.
Il mondo irrazionale era splendido e se ne era accorto soltanto in quel momento, quando era troppo tardi per poterlo condividere con qualcuno.
Taehyung? Taehyung? Taehyung dove sei? Taehyung so che sei qui, perché non ritorni da me? Perché non me lo ripeti ancora una volta, perché non ripeti ancora una volta che sono meraviglioso? Voglio sentirlo dire dalle tue labbra, perché solo grazie a te riesco a capirlo e riesco a crederci un minimo, solo grazie a te ho creduto un minimo a tutte le mie potenzialità.
Chi avrebbe mai pensato che il tempo in cui siamo stati distanti ci avrebbe fatti riunire ancora di più, al nostro ritrovo.
Tempo, perché hai fatto questo a me? Perché, se volevi farmi del male, hai detto alla Morte di prendere con sé un angelo, anziché il diavolo che tanto lo meritava?
Per favore, per favore, vorrei solo che non se ne andasse, perché cercherei seriamente di risolvere tutto quello che in passato ho fatto di sbagliato: diventerò una persona migliore se, Morte, non lo portassi con te, sotto il tuo mantello.
Ti prego, odioso Destino, perché mi fai questo? Tante erano le punizioni, perché hai rubato un angelo? Perché mi togli la possibilità di osservare ancora mia madre, la Luna, senza che io scoppi a piangere? Quale divinità è tanto crudele di vietare anche ad un povero diavolo di osservare la Luna?
Perché, Destino, mi hai condotto ad una fine tanto orribile, senza provare ad osservare cosa il mio cuore è in grado di fare?
Ti prego, Morte, se hai portato via lui e non puoi più riportarlo indietro, almeno fa' sì che io gli stia accanto per l'eternità, lontano da quel mostro di mio padre.
Lo so che non me lo merito, ma gliel'avevo promesso che non l'avrei lasciato ancora una volta.
Ti prego, Morte, ti scongiuro: sii, per una volta, clemente, risparmia tutte le mie salate lacrime, che non farebbero altro se non danneggiare ulteriormente un cuore già lesionato.
Vi prego, tutti voi, abbiate pietà di colui che è stato maledetto dalla sfortuna il giorno in cui è nato.
Sfortunatamente, il sacrificio di Taehyung rivelò essere vano: quell'uomo approfittò dell'attimo di distrazione di Jungkook per spostare la mano del ragazzo dal suo collo e scappare via, lasciando l'altro senza parole e senza neanche riuscire ad emettere un singolo suono o un singolo lamento.
Voleva solo scomparire, adesso.
Era un fallito e il suo amico si era sacrificato per lui.
Perché, Taehyung, perché l'hai fatto? Perché hai perso la tua giovane vita per un ragazzo qualunque, quando avevi tanti anni davanti a te?
Stava scappando, osava ancora una volta scappare, questa volta dopo aver fatto cadere la pistola per terra, con l'intenzione di andar via per sempre da quella belva che suo figlio si mostrava essere. Una belva con un cuore che era stato appena distrutto a causa sua.
Con la coda dell'occhio lo vide correre via, utilizzando nuovamente la scalinata in marmo, tanto bella: anche essa sembrava una scultura, come tutto quello che il teatro conteneva.
Tutto sembrava essersi trasformato sotto i suoi, sembrava come se Taehyung gli avesse donato quel suo modo di vedere il mondo, colmo di meraviglie e colmo di irrazionalità, di stranezza.
Era meraviglioso.
Era meraviglioso! Gli pareva di essere su un'alta collina, dalla quale riusciva a vedere quel ruscello scorrere, il quale era nella realtà la scalinata principale del teatro.
Si avvicinò alla balconata, non osservando il corpo di Taehyung disteso per terra, ma scambiandolo per una ninfa addormentata che si stava soltanto riposando. Poteva osservare il sole oltre le vetrate dalle quale entrava soltanto la notte, nella realtà.
Taehyung era figlio del Sole o della Luna? Probabilmente del Sole, era così felice e solare, ogni volta.
Eppure gli aveva detto che anche lui aveva una sua Luna, adesso era veramente confuso. Il grande lampadario che scendeva dal soffitto splendeva, così come fa una stella, e lui la osservava, quasi volendosi inchinare al suo cospetto.
Tutte le persone che nella realtà stavano al piano di sotto e che avevano alzato il capo per osservare la scena, ancora impauriti, non erano altro che dei piccoli boccioli in quella valle incantata.
Solo allora voltò il capo, notando la ninfa addormentata, con una smorfia di dolore sul volto, colpita dalla freccia del cacciatore che era scappato.
Il cacciatore non è forse temerario nella sua natura?
In quella valle incantata sembrava essere tutto scomposto, surreale, ma era proprio per quello che la sua immaginazione gli diceva che era un posto meraviglioso.
Quella non era la realtà, era soltanto la sua mente, e non voleva metterla a tacere, poiché era molto meglio della realtà stessa.
Eppure la ninfa era morta in entrambi i mondi e il cacciatore scappava più veloce di un coniglio.
Chiuse gli occhi, stringendo i pugni e abbassando il capo.
Perché se l'era lasciato sfuggire quando era lui che doveva diventare il temuto cacciatore che semina giustizia, in quell'assurda fiaba?
Mosse le gambe il più veloce che poteva, come se stesse inseguendo il tramonto per la seconda volta, senza neanche far attenzione ai gradini delle scale, poiché non era proprio il momento di inciampare.
Vide la sua ombra correre per la seconda volta, inseguendolo senza più l'arma nella mano, poiché ormai non si fidava più di quell'aggeggio infernale.
L'avrebbe acchiappato e gliel'avrebbe fatta pagare una volta per tutte!
Era veloce e il suo corpo non poteva sentirsi stanco il quel momento, non poteva neanche avere il fiatone, poiché questo sarebbe significato di non avere abbastanza fiato nei polmoni per farla pagare a quell'uomo.
Si era avvicinato a lui ancora e ancora, era sempre più vicino, stava quasi per afferrargli la giacca con la mano.
Le sue gambe gli stavano bruciando, ma non poteva abbandonare la sua missione, poiché già l'aveva iniziata. Suo padre aveva ormai raggiunto la base della grande scalinata, sotto gli sguardi di tutti, comprese le guardie che si erano fermate stremate dopo aver inseguito i due per un lungo percorso. Avevano provato a bloccarli, ma era stato vano! A Jungkook non importava di quegli uomini, doveva mettere finalmente a tacere il padre una volta per tutte, togliendogli la facoltà di parlare, di respirare e di osservare.
Quella valle incantata aveva lasciato posto alla realtà, poiché solo nella realtà poteva osservare il cacciatore nelle sue vere sembianze e riuscire finalmente ad ucciderlo.
L'uomo girò verso sinistra, prendendo stoltamente la scalinata che conduceva sotto il piano terra, in una stanza senza uscita. Jungkook ridacchiò, col sudore che gli grondava dalla fronte, perché sapeva che ormai era arrivata la sua ora e avrebbe finalmente visto gli occhi di quell'uomo colmi di pentimento.
Le guardie li avevano abbandonati completamente, quasi spaventati dallo stesso Jungkook, il quale pareva avere lo stesso diavolo infuocato nello sguardo.
Erano giunti nella stanza degli specchi, adiacente alla sala delle grandi esposizioni, nella quale vi erano le loro figure riflesse ed era quindi più complicato distinguere quelle reali dalle fittizie.
Anche Jungkook cadde in questa trappola, bastò che si distraesse un attimo, che si scontrò con uno dei riflessi, credendo che stesse per afferrare suo padre: probabilmente lo confuse a causa delle lacrime che ancora erano presenti nei suoi occhi.
Cadde a terra, portandosi una mano sul capo, dove aveva battuto, e se lo strofinò, approfittandone per prendere fiato, grondante.
Era intrappolato in quella stanza degli specchi e sgranò gli occhi quando vide la figura di suo padre avvicinarsi nella sua direzione, per l'ennesima volta con quel ghigno sul volto.
Nessuno aveva un'arma, ma il fatto che stesse davanti a lui, trionfante, stava a significare che aveva vinto in quella battaglia.
Lui era rimasto sempre così freddo e crudele, mentre Jungkook era stato sopraffatto dalle sue emozioni, dalla sua irrazionalità e immaginazione, tanto che esse l'avevano portato a perdere.
In quel mondo, quello reale, i sognatori non potevano continuare a vivere.
Non avevano un'arma, eppure stava per morire comunque.
«Figliolo, ammetti la tua sconfitta. Ammetti di essere un fallito. Il tuo amico è morto, ormai. È morto. Non puoi riportarlo in vita, non puoi fare nulla. Che vivi a fare se sei disposto a farmi fuori solo per vendicarti di quello che gli ho fatto? Che senso ha vivere senza di lui?»
Bastardo, grandissimo bastardo, ma aveva ragione.
Si rese conto che lui in realtà aveva trovato soltanto una motivazione per continuare a vivere, la quale non era la Luna, ma era la persona con cui osservava la Luna.
Ironico, realmente ironico non sapere neanche cosa l'avesse portato a considerare quel ragazzo in tale maniera. Forse proprio il fatto di avergli fatto scoprire quell'assurdo mondo?
Chiuse gli occhi per l'ennesima volta: attendeva che prendesse quella sua bottiglia in vetro, la stessa con la quale tempo prima aveva tentato di togliergli la vita, e che la conficcasse nel suo petto, proprio nella zona del suo cuore, mentre l'uomo osservava la sua anima fuoriuscire dagli occhi.
Non usò una bottiglia però, poiché si sentì uno sparo rompere il silenzio che, ancora, era diventato padrone di quel luogo. Aveva usato la pistola per ucciderlo?
Ma aveva lasciato la pistola per terra, prima.
Jungkook spalancò gli occhi, rendendosi conto che l'uomo, davanti a lui, che prima camminava con sguardo minaccioso, adesso aveva gli occhi sbarrati e vuoti.
Cosa stava succedendo? Stava forse fingendo, quell'uomo? Stava forse tentando di imbrogliarlo, ancora e ancora fino a quando non l'avrebbe fatto fuori? Doveva muoversi, allora, non voleva essere per così tanto in quel supplizio, voleva che finisse tutto subito.
Taehyung, già osservava la figura di Taehyung davanti a sé.
Taehyung.
Suo padre cadde per terra e non appena si rese conto di colui che stava dietro di lui, con la pistola in mano, sentì le gambe farsi molli e gli occhi riempirsi di lacrime.
Erano ancora lacrime di tristezza, quelle? Tentò di alzarsi, sebbene inciampò un paio di volte, avvertendo il suo cuore andare veloce.
Doveva alzarsi, doveva correre da lui.
Sorpassò il corpo di suo padre mentre dai suoi occhi sgorgavano le tante lacrime di gioia, rivedendo davanti a sé quel ragazzo che non voleva affatto abbandonare, non adesso che aveva capito che era indispensabile per lui per continuare a vivere.
Taehyung.
Era davanti a sé ed abbassò la pistola, facendola poi cadere per terra.
Aveva avuto un mancamento, Jungkook non riuscì a respirare per la seconda volta, ma questo non lo fermò dall'abbracciare Taehyung, vivo e vegeto davanti a sé e che stava semplicemente tenendo una mano sul suo fianco destro, dal quale ancora stava sgorgando del sangue scuro.
«Sei... sei...» gli disse Jungkook con voce tremante, senza smettere per un attimo di piangere come un bambino.
La Morte l'aveva ascoltato e l'aveva lasciato sulla terra, prendendo con se quel mostro. Forse si era resa conto di aver sbagliato ed era ritornata per rimediare al suo errore?
«Sono vivo.» gli rispose l'altro con voce roca e dolorante. «Mi avevi detto di raggiungerti e l'ho fatto. Dovevamo vincere, noi due. Ti avevo fatto una promessa, quella che avremmo eliminato la causa del tuo dolore.»
Si guardarono negli occhi, sorridendo, e allora Taehyung passò un dito su una delle guance umide di Jungkook.
Lui emise una piccola risata, ancora emozionato dall'averlo davanti: si era preso un così grande spavento, così tanto da sentire ancora un forte dolore al cuore, come se stesse per esplodere.
Girò poi il capo verso l'uomo steso per terra, rendendosi conto del foro proprio in corrispondenza della sua schiena dalla quale era entrato il proiettile.
Sul pavimento c'era un'enorme chiazza di sangue e si sentì, paradossalmente, per la prima volta dopo tanto, leggero e senza preoccupazioni.
«EHI, VOI DUE!» sussultarono entrambi e voltarono il capo assieme verso la guardia che li aveva chiamati, affiancata da tante altri uomini.
«Ce la fai a correre?» gli chiese sottovoce Kook, osservando che c'era un'uscita proprio alla fine del corridoio che portava fuori dalla stanza degli specchi.
«Non lo so, ci provo. Tienimi la mano, nel caso dovessi cadere.» rispose sempre con voce roca, senza togliere la mano dalla ferita.
E allora corsero il più velocemente che potevano, sebbene rallentati da quell'inconveniente, tanto che Taehyung emise tanti gemiti di dolore.
Non era loro destino essere catturati quella sera, non era loro destino finire in prigione: fortuna che Jungkook conosceva il teatro più di coloro che ci lavoravano, poiché prima si nascosero dentro uno stanzino, approfittandone per prendere fiato, poi uscirono di lì quando tutti quegli uomini se ne furono andati.
Una volta fuori Jungkook si affrettò a prendere i cappotti che avevano lasciato dietro quella colonna priva di luce ed entrambi se li misero nuovamente indosso; proseguirono verso uno dei tanti vicoli bui, Taehyung mentre appoggiato alle spalle di Jungkook.
«Sono contento che tu sia vivo.»
L'altro emise una piccola risata, mozzata dal dolore, che gli causò un'ennesima smorfia. «Ho visto. Stavi piangendo come un bambino.»
«Credevo ti avesse ammazzato!» si apprestò a scusarsi mentre le sue guance si tinsero di rosso per l'imbarazzo: menomale che Taehyung non se ne accorse, altrimenti avrebbe continuato a punzecchiarlo, sebbene il dolore.
«Mi ha colpito solo al fianco, fortunatamente. Aveva la mira bassa, stava puntando verso di te. Mi sono spostato abbastanza con le gambe affinché non ti colpisse.»
Jungkook si fermò, volendo guardare i suoi occhi per esprimere tutta la sua riconoscenza. «Ti ringrazio di cuore. Senza di te sarei morto.»
«Senza di te sarei morto anche io, a dire la verità.» ridacchiò ancora.
Kook si morse il labbro, distogliendo lo sguardo cercando ancora di non mostrare il suo imbarazzo. «È stato un lavoro di squadra.»
«Un piano a prova di errore, Kook.»
Desiderava tanto dirgli quanto bene aveva capito di volergli, ma le sue parole si estinsero ancor prima di fuoriuscire dalla sua bocca: allora si strinse a lui, con un secondo caldo abbraccio, questa volta senza pressione e rivolto solo al comunicargli tutto quello che il suo cuore desiderava, ma che non riusciva a fare poiché non trovava le parole giuste.
L'abbraccio fu interrotto da un ennesimo lamento di Taehyung, il quale levò la mano dal proprio fianco e si rese conto, sotto la luce lunare, di averla completamente sporca di sangue.
Deglutì preoccupato, dato che si sentiva anche debole a causa della sua ingente perdita e temeva che, se non avessero agito presto, sarebbe morto dissanguato.
Ma non era solo quello il problema: da lontano, in particolare da Place de l'Opéra, si potevano udire le voci di tutte guardie che stavano cercando i due assassini.
«Jungkook, ho paura che abbiamo trascurato un piccolo dettaglio.» gli disse con voce grave, voltandosi verso tutte le voci.
«Saremo ricercati.» disse lui, dando voce alle preoccupazioni dell'altro. «Non è stato un piano perfetto, non sarei dovuto intervenire quando stavi parlando con mio padre. Avrei dovuto seguire il piano e avremmo risolto tutto e subito e non ti avrebbe fatto né del male né avresti rischiato di morire.» si scusò rammaricato, abbassando il capo. Tae gli mise una mano sulla spalla, quella ancora pulita, convincendolo a guardare negli occhi: gli sorrise, tentando di tirargli su il morale.
«Capisco perché tu l'abbia fatto, tranquillo Jungkook, è tutto apposto. Perché non me l'hai detto prima?»
Kook si morse il labbro tristemente, reprimendo ancora una volta le lacrime: ecco, adesso gli avrebbe detto che non voleva più avere a che fare con un bugiardo come lui.
«Jeon Jungkook. Suona bene come nome. Molto meglio di Boyer.» gli disse solamente, passandogli ancora una volta il dito per togliergli quella lacrima ribelle. «Non mi importa che nome tu abbia: mi basta averti accanto a me.» lo consolò, ricevendo un sorriso riconoscente in risposta.
Entrambi si volevano tanto dire quel "ti voglio bene", ma bastava che aleggiasse soltanto nell'aria, comunicato tramite le più mute parole.
Taehyung alzò il capo, per osservare la posizione della luna «Dovrebbe essere quasi passata la mezzanotte. A passo normale ci vogliono quindici minuti da qui a casa mia, è a metà strada tra qui e il Montmartre, ormai conosci dove si trova. Andiamo via, per favore.»
Ci volle un po' di più per arrivare, il che fu normale per le condizioni del ragazzo, ma una volta che Taehyung entrò in casa propria stette per cadere privo di forze, dato il sangue che per tutto il tragitto aveva continuato a sgorgare. Fortunatamente Mathilde non era in casa, poiché Tae le aveva detto di passare la serata a prendersi cura di sua zia. Tutta la sua fronte stava sudando per la fatica, per cui Jungkook lo fece sedere su una sedia nella cucina dopo aver tolto i cappotti e i cappelli e corse a prendere qualche pezza per farlo asciugare ed altre per tentare di medicare la ferita in qualche maniera. Non dovevano aspettare così tanto, avrebbe dovuto già da subito avvolgere del tessuto lì attorno, ma aveva paura che avrebbe sentito ancora più male.
Fortunatamente si resero subito conto che il proiettile aveva attraversato la zona cutanea tangenzialmente: se Taehyung si fosse trovato più a destra, probabilmente sarebbe morto poiché si sarebbe perforato qualche organo vitale o avrebbe perso molto più sangue.
Jungkook lo aiutò a togliersi la giacca e sfilarsi la camicia, ormai entrambe danneggiate, facendo rimanere il ragazzo ancora dolorante a petto nudo. Si rese conto che il livido causato dai calci dato da suo padre comprendeva tutta la zona del suo ventre: doveva prenderseli lui tutti quei mali, non il suo amico.
«L'aceto è in quel mobile lì,» indicò una piccola credenza non molto distante «fortunatamente ne è rimasta mezza brocca.» disse, poggiando la testa sulla sua mano, a causa del leggero giramento di capo avuto non appena si sedette sulla sedia.
Kook accorse a prenderlo e si procurò qualche altra pezza dal cassetto, inginocchiandosi poi davanti a Taehyung e passando delicatamente un po' del liquido sulla ferita, cercando di non causargli tanto dolore.
Continuava comunque ad emettere dei lamenti, per cui il più piccolo aumentò la cautela utilizzata.
«Jungoo-» lo chiamò, mentre stringeva i denti per il dolore.
«Ho finito, Tae, ho finito, sii paziente. Non è niente, tranquillo, durerà qualche altro secondo.»
«Non voglio- ahia,» si lamentò ancora «non voglio dirti questo, voglio dirti che- che non possiamo restare qui. Ci cercheranno e ci prenderanno, se non ci hanno catturato oggi lo faranno domani e non possiamo nasconderci nei vicoli per sempre.»
Jungkook alzò gli occhi verso di lui, rimanendo con la pezza umida di aceto a mezz'aria, sperando che quella non fosse l'unica soluzione.
«Ma non... non possiamo lasciare Parigi così, è la nostra città, poi tua sorella... a chi lascerai tua sorella?» chiese in confusione il ragazzo, lasciando intravedere anche la sua preoccupazione.
«Le parlerò e la farò rimanere con mia zia, anche se non so se continuerà a vivere per molto, non sta molto bene ultimamente.»
Il bruno sbatté ripetutamente le palpebre, incredulo. «Cosa? E allora come-»
«Troveremo una soluzione. Riusciremo a cavarcela, ma da qui dobbiamo andarcene via, è pericoloso. E non posso rischiare di perderti ancora, Jungkook.» ammise, tanto da far addolcire l'espressione dell'altro, che riprese a passare la pezza sopra la sua ferita, causandogli un altro gemito di dolore. Lo stava facendo per il suo bene. «Ti prego, sarà la cosa migliore per entrambi. Useremo quei soldi che ho conservato per poter andare via, voglio continuare a vivere lontano da una cella.»
Jungkook si morse il labbro, adesso mettendosi per terra sulle ginocchia, guardando verso il basso indeciso se accettare oppure decidere di rimanere a Parigi. Che altro aveva da fare in quella città? L'unica cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di abbandonare Soyeon, ma anche a lei aveva promesso che sarebbe rimasto.
Era un bugiardo, questo era vero, ma non poteva certo fare del male ad altri, ancora una volta. Si era ripromesso che questo non sarebbe mai più successo.
Il fatto era che si trovava davanti un bivio, ed entrambe erano persone che non intendeva ferire.
«Taehyung... non lo so... ti giuro, non lo so. Sarebbe avventato dirti di sì e scappare via.»
«Lo capisco.» disse l'altro sospirando. «Se tu non vuoi andartene via, lo capisco, davvero. Probabilmente capirò tra qualche minuto quanto sia stupida la mia proposta, perché te l'ho fatta senza pensarci su. Ma adesso trovo che sia estremamente sensata e l'unica soluzione. Forse trovi stupido anche il fatto che io voglia rimanere con te, ma mi sento al sicuro, Jungkook, quando sono con te.»
Kook alzò lo sguardo verso di lui, annuendo con sguardo malinconico. «Anch'io mi sento al sicuro. Ho paura che abbiamo combinato una grande cazzata per il nostro futuro, Tae.»
«No! Adesso sarai... sarai tranquillo, senza quell'uomo a tormentarti. Le forze dell'ordine ci staranno forse cercando, ma non sono legate a nessuno di noi da qualche tanto farci ammattire come faceva lui con te. Andiamocene, andiamo via da Parigi, solo io e te.»
Era l'unico modo per essere felici e spensierati.
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